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Il piano segreto di Berlino per "germanizzare" l'Europa

 

L'idea di Schäuble è quella di un'Unione ancora più rigida che non fa sconti a chi sgarra. E a guida tedesca

 

I suoi uomini all'opera nella Detlev-Rohwedder-Haus, raro esempio di architettura nazista sfuggito ai bombardamenti alleati su Berlino, immaginano già un'Ue senza gli inglesi finalmente piegata al rigorismo.

È stato Handelsblatt, il primo quotidiano economico tedesco, a svelare cosa bolle in pentola: il «piano segreto» punta a inchiodare «gli Stati membri davanti alla loro responsabilità per una politica di bilancio stabile»; massimo rispetto, dunque, per le regole sul Patto di stabilità, sul Patto per la crescita o sul Fiscal compact. Come ottenere tanta severità da una manica di paesi mediterranei indisciplinati? È semplice: «Immaginando la possibilità per la Commissione di respingere i bilanci nazionali che non corrispondano alle direttive europee sul deficit». Questo il bastone. Quanto alla carota, il piano Schäuble prevede anche uno stimolo: la corretta implementazione delle direttive rivolte ai singoli Stati darebbe accesso a più risorse dei fondi strutturali.

«Niente di nuovo sotto il sole», spiega al Giornale Björn Hacker, docente di Economia Politica all'Università delle Scienze Applicate di Berlino (Htw). «A chi in Germania o all'estero - come il vicecancelliere Sigmar Gabriel, Matteo Renzi e Francois Hollande - chiede un bilancio comune, Schäuble risponde picche: nessun nuovo budget ma solo le risorse già esistenti. E a chi non rispetta le direttive, non toccano neppure i fondi strutturali». Secondo l'accademico il piano del falco del pareggio di bilancio avrebbe effetti depressivi: «Uno stato già in difficoltà non solo non potrà ricorrere a uno stimolo fiscale o a politiche espansive, ma si vedrà tagliare anche le risorse dei fondi strutturali».

Quanto alla Commissione, il rafforzamento del suo potere sarebbe solo formale. La riforma serve infatti a privarla del ruolo di custode dei Trattati, assegnato a una non meglio specificata autorità garante non elettiva. Ridotto il numero dei commissari, al collegio oggi guidato da Juncker resterebbe solo l'onere di approvare o respingere i bilanci nazionali non in regola. «Sarebbe la fine del potere politico della Commissione: una vendetta per avere in passato concesso dilazioni e flessibilità agli Stati invece di attivare le procedure per deficit eccessivo». La scure del ministro si abbatte poi sull'unica istituzione che in questi anni ha agito in piena autonomia: la Banca centrale europea. Il programma di Schäuble prevede di toglierle il controllo delle banche europee, definito «in conflitto d'interessi con la gestione della politica monetaria».

«Sarebbe la fine del progetto di un'unione bancaria: d'altronde né il ministro né la Merkel l'hanno mai voluta - ricorda il docente - ma nel 2012 Mario Monti e l'allora neoeletto Hollande strapparono la promessa alla cancelliera, che da parte sua cercava il loro appoggio per il Fiscal compact». Il piano svelato da Handelsblatt presenta però un vantaggio: è capace di scontentare sia chi crede a un'unione più stretta basata su una vera unione monetaria e bancaria sia gli euroscettici che chiedono un'Ue con meno competenze. L'ultima novità Schäuble la riserva per l'Esm: il Meccanismo europeo di stabilità assume progressivamente le competenze della troika, oggi suddivise fra Commissione, Bce e Fmi. Una «riforma positiva» per Hacker che ha il pregio, dalla prospettiva di Schäuble di far fuori il Fondo monetario internazionale, colpevole in passato di aver proposto la ristrutturazione del debito greco, laddove i tedeschi «vogliono esigere i loro crediti senza sconti».

Fonte: http://www.ilgiornale.it/
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Bye Bye petrolio: nel 2040 un’auto nuova su tre sarà elettrica (e l’oro nero crollerà)

 

C’è un momento, preciso e imprevedibile, in cui una nuova tecnologia si afferma e dilaga in tutto il mondo senza freni. È accaduto nello scorso decennio con gli smartphone, in quello precedente con i cellulari, negli anni Settanta con le tv a colori. Non è facile indovinare quale sarà la prossima tecnologia ad affermarsi e in che tempi. Bloomberg New Energy Finance però non ha dubbi sul “cosa” e sul “quando”: si tratterà delle auto elettriche, che si affermeranno definitivamente nell’arco della prossima generazione.

Nel 2040 il 35% delle nuove auto (contro l’1% di oggi) avrà una spina per ricaricare le batterie, spiega la ricerca, e le vetture elettriche a lungo raggio costeranno meno di 22mila dollari (circa 20mila euro). Il tutto sarà possibile grazie al crollo dei prezzi delle batterie agli ioni di litio, che già oggi costano il 65% in meno che nel 2010, ma che sono destinate entro il 2030 a costare un terzo degli attuali prezzi, spiega Colin McKerracher di Bloomberg New Energy Finance, o forse ancora meno per effetto dell’innovazione tecnologica.

Considerando i costi complessivi di possesso, lo studio calcola che già tra una decina d’anni i veicoli al 100% elettrici come la Nissan Leaf (non, quindi, gli ibridi) diventeranno più economici delle vetture con il tradizionale motore a combustione. E questo senza calcolare il peso di futuri incentivi all’uso dell’auto elettrica. La nuova generazioni di veicoli in grado di percorrere 200 miglia (oltre 320 chilometri) senza ricaricare le batterie è in rampa di lancio: si tratta per esempio della Tesla Model 3 e della Chevy Bolt, in arrivo nell’arco del prossimo anno e mezzo.

Ormai i costruttori stanno investendo miliardi nell’auto del futuro. Il tasso di crescita globale del settore, l’anno scorso, è stato del 60%, e Tesla prevede che resterà tale almeno fino al 2020. Come nota Tom Randall di Bloomberg, è più o meno lo stesso passo che ha permesso alla Ford T di battere cavalli e carrozze negli anni Dieci del Novecento (per dare un’idea di Ford T ne vennero fabbricate oltre 15 milioni tra il 1908 e il 1927, più del triplo delle Nuove 500 prodotte dalla Fiat tra il 1957 e il 1975). Ecco: secondo lo studio di Bloomberg New Energy Finance le auto elettriche, che nel 2015 si stima fossero 462mila, toccheranno quota 41 milioni.

Non è difficile intuire chi farà la fine del cavallo all’epoca della Ford T, nel caso dell’auto elettrica. Già negli ultimi due anni il settore petrolifero - e tutte le nazioni che si reggono sull’oil, dalla Russia al Medio Oriente - ha visto sgretolarsi prezzi e certezze, ma ora la cosa potrebbe diventare ancora più seria. Se la crescita dei veicoli elettrici dovesse mantenere il passo (+60% l’anno), già nel 2023 ci sarebbero due milioni di barili di petrolio in eccesso rispetto alla domanda.

Certo, va poi considerata la variabile del prezzo del greggio, che può accelerare o rallentare il destino elettrico delle quattro ruote. «La nostra previsione centrale è basata su un greggio che torna a 50 dollari, salendo a 70 dollari nel 2040 - spiega Salim Morsy, senior analyst di Bloomberg New Energy Finance - . Ma è interessante notare che, anche qualora il petrolio crollasse a 20 dollari restando schiacciato a quei livelli, l’effetto sarebbe solo di ritardare al 2030 “l’elettrificazione di massa” delle auto».

Attenzione poi alla cosiddetta “variabile Uber”, di cui il report di Bloomberg tiene conto. Se il fenomeno delride sharing dovesse continuare a crescere a questo ritmo, spiega la ricerca, le auto “in condivisione” percorreranno molti più chilometri, rendendo ancora più conveniente la scelta di vetture elettriche. In caso di crescita continua di Uber (e degli altri servizi simili come Lyft), nel 2040 le auto con la presa di corrente potrebbero rappresentare addirittura la metà del mercato. E il vecchio motore a combustione? Poco alla volta finirà nei musei, di fianco alle cabine telefoniche e alle banconote cartacee.

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Milletrecento miliardi: negli Usa esplode la bomba del debito degli studenti

 
 

Milletrecento miliardi: negli Usa esplode la bomba del debito degli studenti (raddoppiato in otto anni)

Incredibile ma vero, esiste qualcosa al mondo in grado di relativizzare il problema del debito pubblico italiano (e non è quello giapponese). Arriva dai potenti Stati Uniti ed è enorme, sinistro e apparentemente incontrollabile: è il debito contratto dagli studenti che vogliono frequentare le costose - a volte costosissime - università americane.

La notizia del superamento dei mille miliardi di dollari fece scapore: era il 25 aprile 2012, e tutti gridarono allo scandalo chiedendo urgenti provvedimenti. Quattro anni dopo gli Stati Uniti si ritrovano con glistudent debts aumentati di oltre il 32% a quota 1320 miliardi di dollari: quattro volte il Pil della Danimarca, due volte e mezzo il deficit pubblico statunitense, 21 volte il patrimonio netto di Warren Buffett.

«Queste sono cifre enormi - spiega Maggie Thompson, executive director di Generation Progress, braccio “giovanile” di uno dei più importanti think thank americani - è necessario affrontare al più presto il problema, che non è un freno solo per le giovani generazioni ma per l’intera economia».

Gli studenti americani, infatti, si ritrovano appena usciti dall’università con un fardello medio di 35mila dollari da pagare, per lo più attraverso i famosi “prestiti Stafford” dal nome del programma federale che offre tassi di interesse e condizioni di rimborso favorevoli. Il vero problema - e lì non c’è piano di rimborso che tenga - è quando il neolaureato non trova lavoro: accade, secondo le statistiche, al 7,8% degli ex studenti, ai quali andrebbe aggiunto il quasi 17% degli “indefiniti” (quelli che lavorano meno ore di quante vorrebbero, che non lavorano ma sono in cerca di un’occupazione o che hanno abbandonato del tutto la ricerca di un impiego).

Per alcuni di loro c’è lo spettro del default, l’impossibilità di ripagare i prestiti, che colpisce per esempio quasi il 20% degli “studenti mutuatari” dell’Università statale del New Mexico e il 15% di quelli della Ohio University. Non stupisce veder spuntare alcune proteste, come la marcia di studenti dello scorso novembre a New York, condita da striscioni che recitavano “L’istruzione è un diritto” e “Cancellate il debito studentesco”.

Ma quello che preoccupa non è solo lo stock accumulato: il vero problema è che la crescita del debito studentesco è apparentemente incontrollabile - il ritmo è di circa 100 miliardi l’anno - almeno finché qualcuno non deciderà seriamente di metterci mano . E’ incredibile pensare come solo otto anni fa lo student debt fosse la metà di quello attuale. E se si traccia un grafico per visualizzarlo, si vede plasticamente una retta dritta come una spada che dall’angolino in basso a sinistra vola verso quello in alto a destra. Insomma una brutta bestia feroce, al confronto della quale la gestione del debito pubblico italiano - che pure sappiamo non essere un gioco da ragazzi - pare mansueta come un agnellino.

L’amministrazione Obama sta cercando di correre ai ripari, cercando di rendere meno pesante per gli studenti il fardello del “mutuo universitario” con piani di ammortamento più gestibili. Del resto, il presidente americano è alle prese col problema anche sul piano personale: come mostrano le sue dichiarazioni dei redditi, da bravo padre di famiglia Obama nel 2014 ha accantonato una cifra considerevole (tra 200mila e 400mila dollari) in quattro dei 529 “piani di risparmio” per pagare le spese dell’università alle figlie Malia e Sasha.

Anche i due candidati democratici (la Clinton e Sanders) hanno promesso di occuparsi del debito studentesco, e persino quelli repubblicani hanno sfiorato il tema durante la campagna. Ma la realtà è che una soluzione reale al problema appare lontana, anche perché le rette sono in aumento anche nelle meno costose università pubbliche: dopo la recessione, la spending review dei singoli Stati americani si è infatti tradotta in cospicui tagli all’istruzione. Ormai in molti definiscono quella del debito studentesco una vera e propria bolla finanziaria, e solo il futuro ci potrà dire quali record sarà in grado di infrangere prima di esplodere.


Fonte: www.ilsole24ore.com

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www.nextme.it

Centro studi Confindustria: sempre più difficile fare impresa in Italia

 

Centro studi Confindustria: sempre più difficile fare impresa in Italia

L'Italia si conferma un Paese di imprenditori ma emergono segni di scoraggiamento perchè fare impresa nella penisola è sempre più difficile. Tasse, burocrazia, difficoltà di accesso al credito restano i principali ostacoli all'attività. Lo dice il Centro studi di Confindustria in una ricerca realizzata per il convegno biennale che si svolge a Parma. La quota di lavoratori indipendenti sul totale degli occupati è del 24,9% sul totale dei lavoratori, molto più alta rispetto alla media Ue, doppia rispetto a quella francese e tedesca, la crisi ha però «ha senza dubbio contribuito a ridurre la voglia di avviare nuove iniziative: il 78% degli imprenditori ritiene che rispetto al passato l'avvio di una nuova impresa sia più complicato». La società italiana ha una buona percezione dell'imprenditore: il 53% degli italiani ha un’opinione positiva della figura imprenditoriale, anche se rispetto al passato è peggiorata per il 45,5% degli interpellati; il 41,3% giudica gli imprenditori competenti e il 19% pensa che sia una persona onesta e corretta.

Negli ultimi anni la vocazione imprenditoriale del Paese, ma non solo in Italia, è in regresso: il tasso di natalità delle imprese è sceso dal 12,5% del 2006 all'8,1% del 2014. Le ragioni, secondo il CsC, sono diverse, influenzate anche dalla crisi del modello di sviluppo industriale. Ed emerge «un senso di scoraggiamento dei potenziali nuovi imprenditori: oggi, fra gli italiani, il 44% sceglierebbe un lavoro indipendente contro il 51% del 2009». La crisi ha sicuramente inciso sulla voglia di aprire nuove imprese, ma, fra i principali ostacoli all'attività , il 54,3% degli intervistati annovera le tasse, il 45,7% la burocrazia e il 37,7% l'accesso al credito. La ricerca mette in luce che il 41,2% delle imprese è di prima generazione, una quota che ha un trend in aumento, mentre il 48,5% è stato avviato in passato dalla famiglia.

 
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Panama Papers, premier islandese si dimette. Obama: "Su tasse,stesse regole per tutti,anche aziende"

 

Cina censura informazioni. Francia, coinvolta cerchia di Marine Le Pen. Digitando la parola 'Panama' sui motori di ricerca cinesi si aprono link per lo più disabilitati o articoli su personaggi sportivi. Credit Suisse e Hsbc negano di aver utilizzato strutture offshore per aggirare le tasse. Gb, peggiora la posizione di Cameron. Negli elenchi anche centinaia di olandesi tra cui l'ex calciatore Seedorf
 
PANAMA -  Travolto dallo scandalo 'Panama Paers' per i suoi conti offshore, il premier islandese David Gunnlaugsson dopo aver provato a sciogliere il Parlamento, ha gettato la spugna e si è dimesso. Lo ha annunciato il suo partito. E' la prima vittima dello scandalo scoppiato domenica sera che coinvolge 12 tra ex ed attuali capi di Stato. E' accusato di aver usato, insieme alla moglie, una società offshore per nascondere ricchezze milionarie. Ieri sera in Islanda, migliaia di cittadini erano scesi in piazza per chiedere le dimissioni del premier Gunnlaugsson.

L'effetto globale della diffusione dei Panama Papers è devastante. Idocumenti, trapelati dallo studio legale Mossack Fonseca e diffusi dai media internazionali a proposito di 214mila società offshore, nominano re, leader internazionali, parenti di leader, vip, artisti, calciatori, e soprattutto le banche, sospettate di aver contribuito a costruire complesse strutture per rendere difficile per il fisco tracciare i flussi di denaro. Intanto il premier pachistano annuncia una commissione d'inchiesta.

Uno scandalo sul quale oggi è intervenuto anche il presidente Usa, Barack Obama. "Lo scandalo del Panama Papers mostra come l'elusione fiscale è un problema globale", ha detto Obama, commentando la stretta del Tesoro sulla fuga all'estero delle big americane per sfuggire al fisco statunitense, le cosiddette 'tax inversion'. "Le grandi aziende non possono giocare con regole diverse rispetto al resto degli americani. L'elusione fiscale e' un "grande problema. Sono stati fatti progressi ma molte di queste pratiche sono legali, non illegali".

Il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (Icij) che ha analizzato e diffuso i materiali ne è sicuro: oltre 500 banche, loro sussidiarie e rami hanno registrato circa 15.600 società fantasma attraverso lo studio panamense Mossack Fonseca, dai cui database provengono i documenti. Secondo tali informazioni, la gran maggioranza di tali fatti risale agli anni '90.

E a tre giorni dalla prima scossa, i Paesi e gli enti colpiti provano a reagire.Credit Suisse e HSBC, tra le banche nel mirino, negano di aver utilizzato strutture offshore per aiutare i loro clienti ad aggirare le tasse. Il ceo di Credit Suisse, Tidjane Thiam, dichiara: "Come compagnia, come banca, incoraggiamo soltanto l'uso di strutture quando c'è un legittimo scopo economico" e "non tolleriamo strutture per l'evasione fiscale". Poi sottolinea che i documenti sono precedenti a una riforma del modello economico dell'istituto. Simile la posizione di un portavoce di Hsbc con base a Hong Kong: "Le accuse sono storiche, in alcuni casi risalgono a 20 anni fa, prima delle nostre significative e ben note riforme applicate negli ultimi anni".
 
La Cina si limita a oscurare le lenti e censura direttamente la diffusione delle notizie dei "Panama papers" che puntano anche alcune società offshore legate alle famiglie del presidente cinese Xi Jinping e ad altri attuali e passati alti esponenti politici del Paese. Mentre Pechino non risponde pubblicamente, i media di Stato evitano di diffondere le notizie. Digitando la parola 'Panama' sui motori di ricerca cinesi si trovano storie sui media sull'argomento, ma molti link sono disabilitati oppure si aprono soltanto su articoli che riguardano personaggi sportivi.
Cercando l'espressione 'Panama Papers' in cinese si ottiene un avviso del fatto che si potrebbe incappare in informazioni "che potrebbero non essere in linea con le leggi e le regole in vigore, quindi potrebbero non essere visualizzate". Il Global Times, influente tabloid pubblicato dal People's Dailydel Partito cumunista, suggerisce in un editoriale che i media occidentali sostenuti da Washington abbiano usato la fuga di notizie per attaccare obiettivi politici nei Paesi non occidentali. La stessa presa di posizione russa, anche Putin, sebbene non citato personalmente, è legato a nomi che sono nei documenti. E la polizia russa ha fermato i partecipanti ai picchetti da una sola persona messi in piedi ieri a Mosca. I manifestanti ieri si sono piazzati nei pressi della Duma con cartelloni con su scritto: "Putin nasconde i soldi a Panama. Impeachment". Tra i fermati ci sono anche Nikolai Liaskin e Daria Iatsenko, membri del partito del Progresso del blogger anti-Putin Alexiei Navalni.

In Cina è in corso una campagna di repressione della corruzione, guidata dal presidente Xi, ma il governo è più volte stato accusato del fatto che si tratti più che altro di una mossa politica legata a lotte di potere interne.

In Francia, rivela Le Monde, stretti collaboratori di Marine Le Pen, il "cerchio magico" della presidente del Front National, sono accusati di aver messo in piedi "un sistema offshore sofisticato". Anche Jean-Marie Le Pen è direttamente coinvolto. Secondo Le Monde, una parte della ricchezza nota come "il tesoro" del fondatore del Front National è stata dissimulata attraverso la società offshore Balerton Marketing Limited, creata nei Caraibi nel 2000. Banconote, lingotti, monete d'oro, ci sarebbe di tutto nel "tesoro", intestato al prestanome Gerald Gerin, ex maggiordomo di Jean-Marie e della moglie Jany Le Pen. Intanto la francia reinserirà Panama nell'elenco degli "Stati e territori non cooperativi in materia fiscale", ha annunciato il ministro delle finanze francese, Michel Sapin.
 
La polizia non ha fatto stime sulla partecipazione, ma la tv ha detto che i manifestanti erano più di quelli che nel 2009 fecero cadere il governo di destra per la sua responsabilità nella crisi bancaria del 2008. "Prenditi le tue responsabilità" e "dove è la nuova Costituzione?" si leggeva su alcuni striscioni, in riferimento alla nuova costituzione messa punto dopo la crisi del 2009 ma ancora ferma in Parlamento. Ieri Gunnlaugsson ha negato di aver evaso le tasse e sostenuto che non si dimetterà. L'opposizione ha presentato una mozione di sfiducia che non è ancora stata calendarizzata. Quasi 28mila islandesi, in un paese di soli 320mila abitanti, hanno firmato una petizione per chiedere le sue dimissioni.

Gunnlaugsson ha dichiarato che convocherà elezioni anticipate se passerà il voto di sfiducia al suo governo presentato dalle opposizione dopo la bufera dei Panama Papers. "Se non avrà il sostegno del Partito per l'Indipendenza (partner nella coalizione) mi dimetterò", ha spiegato secondo la Bbc il premier che ha trascorso la mattinata in un incontro con il ministro delle Finanze e leader del partito Bjarni Benediktsson. Secondo fonti di stampa, il primo ministro avrebbe avuto un colloquio con il presidente della Repubblica.

In Italia il nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Torino, su delega della Procura della Repubblica del capoluogo  piemontese, ha avviato indagini per riciclaggio: "Le fiamme gialle sono state delegate - spiega la Gdf - ad acquisire dati e informazioni in ordine ai contenuti della lista ed avviare le procedure necessarie per l'acquisizione della medesima". Intanto tra i documnti spuntano una società che ha fornito sistemi elettronici militari all'India e la squadra di calcio milanese dell'Inter.

Anche in Germania si sente il terremoto. Dai Panama Papers stanno venendo fuori i nomi di un migliaio di tedeschi, m lo scandalo enorme è Siemens ma anche le banche: 28 coinvolte, 14 delle quali hanno creato oltre 1.200 società di comodo. In testa, tanto per cambiare, Deutsche Bank, che ne ha amministrate, anche per conto di clienti, 400. Ma anche Commerzbank, Hypovereinsbank, DZ Bank, varie Landesbanken, e altre. Sei dei sette maggiori istuituti di credito tedeschi hanno gestito società offshore panamensi. Le reazioni sono imbarazzanti. Uno scandalo particolarmente grave perché parliamo di banche in parte pubbliche oppure variamente salvate con soldi pubblici che la Germania ha notoriamente speso con grande generosità durante la crisi. Anche il contratto tra Nico Rosberg e la Mercedes è finito all'interno dello scandalo 'Panama Papers'. Lo rivela l'emittente tedesca Ard, che in ogni caso precisa che "non è chiaro se del denaro sia transitato tramite questa società" in riferimento alla 'Ambitious Group Limited', collegata allo stadio legale panamense e che "non ci sono elementi nei documenti che indichino che Daimler AG (società madre di Mercedes) o Nico Rosberg si siano resi punibili di sanzioni".
 
n Gran Bretagna si aggrava la posizione di David Cameron. Mnetre l'opposizione laburista alza la voce e pretende "un'inchiesta indipendente" sui nomi britannici, nuovi dettagli sullo schema attraverso il quale il padre Ian avrebbe nascosto per decenni al fisco britannico le sue fortune di broker della finanza conquistano finalmente l'apertura di alcuni giornali di Londra: dalGuardian, al Times, al Daily Mirror.
Mentre di fronte alla domanda se parte del tesoro di famiglia dei Cameron sia ancora sotto il sole di Panama, pochi accettano la balbettante risposta della portavoce del premier: "Questioni private". I nomi di notabili e donatori del Partito Conservatore britannico emergono frattanto dai leaks. E si moltiplicano le 'intimazioni' al governo a agire sul serio contro le transazioni offshore. Il leader laburista Jeremy Corbyn tuona: accumulare denari in paradisi fiscali "strappa risorse ai servizi sociali". "Il premier deve fare chiarezza", intima Corbyn, citato dalla Bbc, sfidando il governo conservatore a imporre un controllo fiscale diretto sui territori britannici d'oltremare.

giornali olandesi scrivono che anche centinaia di connazionali sono coinvolti nel caso e tra questi c'è Clarence Seedorf, ex asso della nazionale e calciatore di Real, Inter e Milan. Nei documenti anche il ministro dell'Industria dell'Algeria, Abdessalam Bouchouareb. La società che gestisce le sue finanze sarebbe legata a un offshore panamense, ma, sostiene il ministro, la sua attività è stata congelata con la nomina governativa.

In Cile Il presidente di Chile Trasparencia, filiale cilena di Transparency International, Gonzalo Delaveau, si è dimesso dal suo incarico dopo che i documenti dei Panama Papers hanno rivelato che il suo nome compare in circa 200 società offshore create dallo studio legale panamense Mossack Fonseca. Delevau - che era presidente ad interim dell'organizzazione, con un mandato che scadeva fra pochi giorni - ha detto alla stampa che "siccome mi rimaneva solo una settimana nell'incarico e comunque non posso andare avanti nemmeno come direttore, perché il danno all'immagine di questa istituzione è ormai fatto, credo sia meglio che mi metta da parte". Più contenta la Colombia. Il presidente Juan Manuel Santos ha detto che le rivelazioni sono "benvenute" e serviranno a motivare "tutti i paesi, perché prendano le misure pertinenti e siano più efficaci nella loro lotta contro la corruzione".
 
 
 
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Petrolio giù, bollette di luce e gas meno care da aprile

 

Petrolio giù, bollette di luce e gas meno care da aprile


Forte riduzione dal primo aprile per le bollette di luce e gas, dopo i ribassi dei primi tre mesi dell'anno. Per la famiglia-tipo, spiega l'Autorità per l'energia, la bolletta dell'elettricità segnerà un calo del 5%, mentre per quella del gas la diminuzione sarà ancora più consistente, con un -9,8% (solo in parte attesa per la stagionalità estiva), per risparmi complessivi nei 12 mesi di 67 euro.
Per l'elettricità, spiega l'Authority, la spesa per la famiglia-tipo tra luglio 2015 e giugno 2016 sarà di circa 502 euro, con un calo dell'1,6% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell'anno precedente, corrispondente a un risparmio di circa 8 euro. Per il gas la spesa nello stesso periodo sarà di circa 1.076 euro, con una riduzione del 5,2%, «corrispondente a un risparmio di circa 59 euro».

Nel secondo trimestre del 2016, sottolinea l'Autorità per l'energia, «la riduzione della bolletta del gas è principalmente dovuta al calo eccezionale della componente materia prima, guidato dall'andamento dei corsi dei mercati e, in particolare, dalle aspettative al ribasso riflesse nelle recenti quotazioni a termine nei mercati all'ingrosso del gas naturale in Italia e in Europa per il prossimo trimestre (con quotazioni previste inferiori di circa il 30% rispetto alle attese incorporate in quelle rilevate solo tre mesi prima con riferimento allo stesso periodo)». Diminuzioni che, «grazie alla riforma gas dell'Autorità del 2012 capace di legare a doppio filo i segnali di prezzo all'ingrosso con il mercato al dettaglio, vengono immediatamente trasferite ai consumatori finali. Il trend ribassista nei mercati delle commodity energetiche sconta l'attuale debolezza della crescita economica a livello mondiale, l'abbondanza di gas in Europa e le dinamiche, anche di natura geopolitica, delle strategie di offerta dei produttori».
«Del crollo dei prezzi dei combustibili - aggiunge l'Authority - e del gas in particolare, ha beneficiato anche il prezzo dell'energia elettrica, in discesa sul mercato all'ingrosso, determinando la variazione di segno negativo della bolletta dell'elettricità, sostanzialmente dovuta al calo dei costi complessivi per l'approvvigionamento della “materia energia”. Rimangono invece invariate - conclude - le altre principali componenti come gli oneri di sistema e le tariffe di trasmissione, distribuzione e misura. In leggero aumento solo i costi di dispacciamento per il mantenimento in equilibrio del sistema».

 

 
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Pasqua a casa: tagli su viaggi e consumi alimentari

 

Pasqua a casa: tagli su viaggi e consumi alimentari

Quest'anno saranno circa sette milioni gli italiani in vacanza: lo scorso anno furono 12,6 milioni: la durata media del viaggio sarà di 3-4 giorni, con una spesa di 390 euro a persona.

Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi. Ai tempi della crisi, però, anche i detti popolari lasciano il tempo che trovano. E nonostante i timidi segnali di ripresa quest'anno l'83% degli italiani festeggerà fra le mura domenistiche. In calo anche il numero di quanti hanno pianificato una vacanza nella settimana delle festività pasquali: nel 2016 saranno circa 7 milioni (il 14%), contro i 12,6 milioni registrati nel 2015 (25%). E' quanto emerge dal sondaggio sui consumi e le vacanze condotto da Confesercenti in collaborazione con Swg in occasione del periodo pasquale.

La durata media della vacanza sarà di 3-4 giorni, con una spesa media prevista di 390 euro a persona e un giro d'affari complessivo di 2,8 miliardi di euro. Tra il 14% di italiani che ha previsto di fare un viaggio, la grande maggioranza (5,5 milioni) ha scelto una località italiana con le città d'arte tra le destinazioni preferite. Chi andrà all'estero, invece, lo farà per visitare una capitale europea. Uno su sette, invece, si orienterà su una vacanza a lungo raggio verso mete dal clima caldo.

Pasqua all'insegna del risparmio anche in fatto di consumi alimentari: il 35% per cento degli italiani destinerà infatti meno di 50 euro agli acquisti di alimenti e dolci per imbandire la tavola, mentre il 38% arriverà a 100 euro e soltanto il 10% dedicherà oltre quella somma per festeggiare. La spesa media prevista (68 euro) per i consumi alimentari comprende anche il giorno di Pasquetta che, però, tradizionalmente, è dedicata alle gite fuori città.

Tagli anche per l'uovo di cioccolato che quest'anno sarà acquistato da circa un italiano su due (51%), mentre l'11% comprerà altre tipologie di dolci e più o meno la stessa percentuale (10%) acquisterà giocattoli. Dunque, Natale e Pasqua, solitamente differenziati dai comportamenti e dalle consuetudini degli italiani, sia a tavola che fuori, quest'anno avranno un denominatore comune: il risparmio. Così come è successo per le festività natalizie, dalle quali si attendeva una fiammata che rinvigorisse i consumi e che invece non c'è stata, anche le prossime feste pasquali deluderanno le attese di chi si aspetta un'impennata, soprattutto nel comparto turistico.

"Si tratta di un campanello d'allarme che non può essere ignorato", afferma Claudio Albonetti, presidente di Assoturismo-Confesercenti: "Dopo i timidi segnali di ripresa e di fiducia da parte di famiglie ed
 
imprese registrati nel 2015, dall'inizio dell'anno c'è stata una battuta d'arresto, soprattutto nei comportamenti degli italiani che, di fronte alla perdurante incertezza e all'andamento oscillatorio dell'economia, sono tornati a stringere i cordoni della borsa". 
 
 
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Città in deflazione, la palma del risparmio va a Bari

 
Città in deflazione, la palma del risparmio va a Bari

Con Potenza e Torino è la città dove il calo dei prezzi porta maggiori benefici ai cittadini: oltre 300 euro a famiglia. Bolzano, Trento e Bologna sono le più care

Bari è la città dove i prezzi sono calati maggiormente e - se si guarda all'effetto sul portafoglio delle famiglie - la deflazione ha portato un beneficio di oltre 318 euro a famiglia. E' la classifica, stilata dall'Unione Nazionale Consumatori, dei capoluoghi di regione dove, grazie alla deflazione, si risparmia di più. Una situazione combattuta ampiamente dalle Banche centrali, perché sinonimo di stagnazione economica e futuro aggravamento della crisi, ma che limitatamente all'ottica del consumatore può portare benefici di breve periodo. La palma del risparmio spetta dunque a Bari, dove l'abbassamento dei prezzi dello 0,9% consente ad una famiglia di 4 persone di risparmiare 318 euro su base annua, in termini di riduzione del costo della vita. Al secondo posto Potenza, con una minor spesa di 293 euro di spesa. Semaforo verde anche per Torino, dove una famiglia di 4 persone risparmierà 222 euro. La città più cara d'Italia si conferma Bolzano, dove l'inflazione dello 0,3% si traduce in un aggravio di spesa, sempre per una famiglia di 4 persone, pari a 167 euro su base annua. Seguono, come capoluoghi di regione, sempre in termini di aumento del costo della vita, Trento, dove l'inflazione dello 0,3% si traduce in un aumento del costo della vita pari a 139 euro e Bologna (inflazione +0,2%, + 96 euro). Solo 6 capoluoghi di regione, comunque, registrano un aumento dei prezzi. Tra la città più cara, Bolzano, e quella meno cara, Bari, si determina una differenza, in termini di spesa, pari a 485 euro (318+ 167).
 
Città capoluogoSpesa aggiuntiva per famiglia di 4 personeInflazione
Spesa aggiuntiva per famiglia di 4 persone nelle città capoluogo
(in ordine crescente di spesa)
Bari -318 -0,9
Potenza -293 -0,9
Torino -222 -0,5
Cagliari -219 -0,6
Perugia -200 -0,5
Firenze -178 -0,4
Roma -178 -0,4
Genova -157 -0,4
Milano -147 -0,3
Palermo -124 -0,4
Catanzaro -123 -0,4
Ancona -41 -0,1
Napoli -35 -0,1
Venezia 0 0
L'Aquila 36 0,1
Trieste 42 0,1
Aosta 45 0,1
Bologna 96 0,2
Trento 139 0,3
Bolzano 167 0,3
 
Fonte: Unione Nazionale Consumatori su dati Istat     
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