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L’Africa a Rifreddo (seconda parte)

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In evidenza L’Africa a Rifreddo (seconda parte)

 

Pronti ad accogliere, a comprendere, accettare l’altro, questo si, ma mai a dimenticare le loro tradizioni, la loro terra. Legati ad essa, parlano della loro vita laggiù con gli occhi lucidi che lasciano trasparire una nostalgia immensa. Chiedono la musica tipica di quei luoghi, e quando l’ascoltano lo fanno con le lacrime agli occhi; anche questi sono momenti importanti per loro, in cui preferiscono isolarsi e ascoltare le parole di una lingua per noi incomprensibile, ma per loro ricca di significati, ricordi ed emozioni.
È stata ed è dunque un’esperienza unica per me, che mi ha lasciato tanto, mi ha arricchito e ha permesso di allargare la mia visuale, perché è la convivenza, il rapporto diretto con le altre culture, che consente di comprendere il così detto “altro” e di capire a fondo se stessi.
Come è normale che sia, molto diffuso è il terrore per il "mostro" Ebola, che spaventa tutti gli italiani. Vorrei allora cercare di alleviare un po’ le paure e tranquillizzare le persone che non sanno: il periodo di incubazione della suddetta malattia è di tre settimane circa, per cui, considerando che il viaggio per arrivare in Italia dall’Africa è abbastanza lungo (è un viaggio che parte dal Paese di origine, ad esempio Mali, o Nigeria, o Sierra Leone, fino alla Libia, e poi fino all’Italia), un ragazzo, affetto da tale malattia, morirebbe ancor prima di arrivare nella nostra terra.

Spiega Maria Capobianchi, direttore del Laboratorio di virologia dell'Istituto nazionale malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma: « Il rischio contagio in Italia è bassissimo ma non del tutto assente; in realtà il pericolo non sono i migranti che raggiungono le nostre coste con i barconi, perché la durata del viaggio in questi casi è superiore ai 21 giorni, durata massima del periodo di incubazione del virus. Se arriverà qualche caso in Italia, è prevedibile che si tratterà di cooperanti, missionari o lavoratori provenienti dai paesi affetti dell'Africa occidentale, esclusivamente tramite viaggi in aereo».

Altro problema sono le lamentele relative ai soldi che questi ragazzi ricevono tutti i mesi. A questo punto vorrei zittire una volta per tutte l’ignoranza, sempre pronta a puntare il dito: coloro che arrivano nei centri di accoglienza, sono persone che hanno fatto la richiesta di asilo politico e che ricevono un permesso di soggiorno di tre mesi durante i quali è vietato per loro lavorare; è solo per questo motivo che la Prefettura versa euro 17,50 a settimana per ogni ragazzo. Alla fine di questi tre mesi (considerando però i tempi burocratici italiani che fanno un po’ acqua da tutti i ponti) si riunisce una commissione che può decidere di accettare o meno la richiesta di asilo. Quando l’esito di questa commissione è positivo, il ragazzo ottiene il permesso di soggiorno e non riceve più quei 17 euro; a questo punto va alla ricerca del lavoro. Se invece l’esito della commissione è negativo, il ragazzo fa un ricorso, ottenendo un permesso di sei mesi; e anche in questo caso smette di ricevere i soldi, avendo la possibilità di cercare lavoro.

Vorrei infine lanciare un messaggio a tutti coloro che “hanno paura” di queste persone. In primo luogo bisogna capire e accettare che sono PERSONE, ovvero esseri umani, con sentimenti ed emozioni, proprio come noi. Sembra banale, ma molti dimenticano questo particolare, tacciandoli con nomignoli e dispregiativi, che mi fanno vergognare di essere italiana (e potentina, in quanto sto parlando della mia città). La paura che si ha di questi ragazzi è dunque infondata. Sono ragazzi come me, che cercano di farsi una nuova vita, che hanno famiglie da mantenere alle spalle, e che assolutamente non vengono in Italia per “rubarci il lavoro”, ma per sopravvivere e per far sopravvivere i loro cari.
Si tratta di ragazzi affettuosi, che ti salutano per strada anche se non ti conoscono, e questo non perché vogliano disturbarti, ma per il semplice fatto che fa parte della loro cultura salutare chiunque. Sono ragazzi unici, che migrano e che hanno una storia, una storia che un giorno potrebbe essere la mia, o quella di tanti altri ragazzi. È la storia di giovani, adulti, anziani che mettono a rischio la loro vita ogni giorno. È la storia di tutte le storie, è la storia di cuori fragili, di occhi pieni di speranze, la storia di sorrisi che infondono amore, la storia di persone che, nonostante tutto, ti ripetono «va tutto bene!». Ed ancora, è la storia di esseri umani (per chi se ne fosse dimenticato), che ogni giorno combattono contro i pregiudizi della gente, contro le accuse di «aver rubato il lavoro agli italiani», contro le cattiverie di quelle persone che dimenticano il passato, che dimenticano che tutti abbiamo migrato e continueremo a farlo. La gente dimentica il vero senso della vita, che le diversità non esistono, e, se pure esistessero, sono valori che possono solamente aiutarci ed arricchirci. 

 

Federica Pecoriello

Ultima modifica ilSabato, 15 Novembre 2014 18:05

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