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"IL PRIMO UOMO" DI ALBERT CAMUS

In evidenza "IL PRIMO UOMO" DI ALBERT CAMUS

                                                                                                                                                                                                   A cura di Hamza Zirem

"Il primo uomo" (Le premier homme) è un film franco-italo-algerino uscito 3 anni fa, diretto da Gianni Amelio, tratto dall'omonimo romanzo postumo dello scrittore Albert Camus.

Jean Cormery, alter-ego dello scrittore Albert Camus, ritorna nella sua patria natia prima dell’indipendenza dell’Algeria per visitare la madre e ricercare le tracce del padre, morto nella prima guerra mondiale. Trova il paese in pieno conflitto tra il Fronte di Liberazione Nazionale e l’esercito della Francia. Egli crede nella convivenza pacifica tra algerini e francesi, ma la lotta armata dimostra una realtà completamente diversa.

L'opera di Albert Camus è il lavoro di un uomo che si è battuto per tutta la sua vita per i valori della giustizia, di libertà e di lotta contro ogni oppressione. Esploratore della condizione umana, Camus è stato un grande umanista. 55 anni dopo la morte di Camus, il suo pensiero è intatto. Ha avuto ed ha ancora una grandissima influenza sulle giovani generazioni. In un’intervista a cura di Josyane Savigneau nel giornale Le Monde del 21/11/2009, il biografo di Camus, Olivier Todd, ha dichiarato: "Dobbiamo mantenere vivo Camus perché aiuta a pensare”.

La lingua francese è stata un acquisito per Camus, non è venuta quando è nato, ha studiato duramente per impararla. Albert Camus dichiarava nei suoi taccuini:"Sì, ho una patria: la lingua francese".

Contrariamente agli insegnamenti che Camus aveva ricevuto alla scuola repubblicana, la patria non ha per lui alcuna connotazione nazionale, ma significa un accordo lirico e sensuale con lo stile di vita comune ai paesi del Mediterraneo. Camus è stato un appassionato del Mediterraneo di cui ha sempre dedicato un culto particolare. Ha scritto una poesia in versi sul tema del Mediterraneo quando aveva 20 anni. L'insegnamento del suo professore Jean Grenier ha rafforzato questa passione, ma quello che ha sconvolto la sua sensibilità è stato senza dubbio Nietzsche con la sua esaltazione della Grecia antica. Nella grecità storica e mitologica egli vedeva la matrice di un clima umano, culturale e sociale che aleggiava sulle coste del Mediterraneo. L'uomo mediterraneo è presentato come un uomo fedele alle sue origini con il suo modo di vita e di pensiero. Portatore di fraternità e di vitalità, egli vive in armonia con la natura. Nell’ultimo capitolo dell’uomo in rivolta, Camus propone il pensiero meridiano come contrappeso al nichilismo contemporaneo. Il Mediterraneo è per lui il luogo dell’incontro di varie culture e la sintesi di grandi processi culturali. 

Albert Camus è nato a Mondovì, da padre di origine francese e da madre di origine spagnola a loro volta nati in Algeria. Non apparteneva ad una famiglia di coloni possidenti, ma ad un sottoproletariato povero e marginalizzato. Camus ha trascorso i due terzi della sua vita in Algeria, dove ha forgiato la sua personalità e il suo pensiero. L'Algeria è stata durante la colonizzazione un dipartimento francese per più di un secolo. Oltre alla popolazione berbera e araba, l'Algeria presentava minoranze storicamente rilevanti. Si tratta della comunità europea e di quella ebraica. Gli europei erano in maggioranza francesi, e in parte di discendenza italiana, spagnola e maltese. Le comunità europee furono "unificate" sotto il termine di Pieds-noirs, una comunità alla quale apparteneva Camus.                                            

Nel 2005la nostra casa editrice Zirem ha riunito e pubblicato integralmente i reportage, “Misère de Kabylie”, è stato un libro inedito di Camus. È pubblicato in italiano da Aragno editore nel 2011. Dal 5 al 15 giugno del 1939, Camus intraprendeva un’inchiesta per il giornale “Alger Républicain” sull’insostenibile situazione in Cabilia, denunciava il comportamento dei coloni che hanno lasciato il popolo cabilo nella miseria, nell’ignoranza e nello smarrimento. Esaltava la dignità dei cabili scrivendo: “E se pensiamo a ciò che si conosce del popolo cabilo, alla sua fierezza, alla vita dei suoi villaggi, selvaggiamente indipendenti, alla costituzione di cui si sono dotati (una delle più democratiche che esistano), alla loro giurisdizione che non ha mai previsto la pena carceraria tanto è grande il loro amore per la libertà [...] Questi uomini che hanno vissuto nelle leggi di una democrazia più totale della nostra [...] Uomini coraggiosi e coscienti dai quali potremmo apprendere senza vergogna lezioni di grandezza e giustizia.”                                                                                      

In Algeria, l’opera di Camus continua a suscitare interesse e a provocare interrogativi. Tanti algerini rimproverano Camus che nei suoi romanzi chiamava gli autoctoni dell’Algeria con il nome di Arabi, spogliandoli da ogni appartenenza nazionale e di relegarli ad un secondo piano, raramente chiamati con nomi e cognomi, si muovono spesso al margine della narrazione.                                                                                                                                          

Fautore del dialogo tra gli uomini, i popoli e le culture, Camus credeva nella convivenza tra francesi e algerini. Considerava che la rivoluzione algerina non aveva un vero fondamento nazionalista. Non riconosceva l’inevitabilità dell’indipendenza algerina e l’arrivo di una nuova era storica: la decolonizzazione. Martin Mathieu-Job scrive nel dizionario Albert Camus pubblicato a Parigi nel 2009: “Il suo rifiuto di credere nella legittimità di una nazione algerina è, infatti, stato contraddetto dalla storia: su questo punto constatiamo il suo errore politico.”                                                                                                                                            

Lo storico Benjamin Stora dichiarava: “Camus era molto legato alla sua comunità d’origine. Era un europeo d’Algeria. Non si è mai pronunciato per l’indipendenza dell’Algeria. Temeva per la scomparsa della comunità europea d’Algeria. Non era un politico, va letto come grande scrittore”.  Camus ha trascorso qualche anno a Parigi dove si sentiva in esilio. In una lettera al suo amico René Char, Camus scriveva il 30 giugno 1947: “Sono stanco di Parigi e della feccia che vi si incontra. Il mio desiderio profondo sarebbe di ritornare nel mio paese, l’Algeria, che è un paese di uomini, un vero paese, rude, indimenticabile.”                 

Nel 1956, di fronte all’intensificarsi della violenza e ai massacri tirannici della guerra algerina, Camus lanciava un appello in favore della tregua civile in occasione di una riunione dei rappresentanti delle due comunità. L’appello non ha avuto seguito. Ha deciso di non più parlare in pubblico. Ilsuo silenzio disperato è stato oggetto di numerose accuse, ha conosciuto lo sconforto dell’isolamento sia rispetto alla parte algerina sia a quella francese.

Nel 1957 viene assegnato a Camus il Premio Nobel per la letteratura e partecipando ad un incontro all’università di Stoccolma, uno studente algerino gli chiedeva violentemente conto del suo silenzio a proposito dell’Algeria. Ferito, Camus rispondeva: “Da un anno e otto mesi taccio, ma ciò non vuol dire che ho smesso di agire. Posso assicurarvi che oggi i vostri compagni sono in vita grazie ad azioni di cui non siete a conoscenza. Sono dunque un po’ restio a parlare delle mie ragioni in pubblico. Ho sempre condannato il terrore. Devo anche condannare un terrorismo che viene esercitato alla cieca, ad esempio nelle strade di Algeri, e che un giorno potrebbe colpire mia madre o la mia famiglia. Credo nella giustizia, ma difenderei mia madre prima che la giustizia.” L’ultima frase di Camus ha provocato una grandissima polemica.

Camus ha evidenziato il suo legame alla sua terra natale in diverse circostanze . Questo legame non è tuttavia facile da definire. Nella raccolta L’Estate e atri saggi solari, Camus riaffermava che l’Algeria è la sua vera patria scrivendo: “Dopo tutto, il modo migliore di parlare di ciò che si ama è di farlo con leggerezza. Per quanto riguarda l’Algeria, ho sempre timore di forzare la corda intima che in me le corrisponde e di cui conosco il suono sordo e grave. Ma posso almeno affermare che essa è la mia vera patria e che in qualsiasi luogo al mondo riconosco i suoi figli e miei fratelli dal riso di amicizia che mi invade al loro cospetto. Si ciò che amo nelle città algerine non si può separare dagli uomini che le popolano.”                                                                            

                                                                                                                                                                                                                       HAMZA  ZIREM 

 

Ultima modifica ilLunedì, 23 Febbraio 2015 16:37
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