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« La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. » (Giovanni Falcone)

Pierfrancesco Diliberti, in arte Pif, è al suo esordio come regista. Contemporaneamente dà una convincente prova di recitazione spontanea, in questa sua emozionante opera prima.

L’ex iena, sotto la forma del romanzo di posizione, descrive con limpidezza e candore il turbamento sociale e politico degli anni ’70-80, visto con gli occhi di un bambino, Arturo, a cui viene impartita una peculiare educazione sentimentale e civile.

Arturo viene concepito nel momento stesso che il boss Riina perpetra il suo primo efferato omicidio e nasce a Palermo lo stesso giorno in cui Vito Ciancimino, mafioso di alto lignaggio, viene stato eletto sindaco. Il film si impernia soprattutto su di una storia d’amore, e racconta i tentativi di Arturo di conquistare il cuore della sua amata Flora (la casta diva Cristiana Capotondi, bella, semplicemente intensa), una compagna di banco di cui si è invaghito alle elementari e che vede come principessa dei sogni e unico obiettivo di tutti i suoi sforzi. Attraverso questa tenero ma profondissimo escamotage narrativo, lo spettatore verrà coinvolto emotivamente negli eventi più tragici della nostra storia recente, siciliana ed italiana.

Arturo infatti è un ragazzo come tanti altri dell'Italia degli anni '70 ma, a differenza dei suoi coetanei del nord, è costretto a fare i conti con le costanti infiltrazioni e le terribili azioni criminose della mafia nella sua città. Assiste alle principali stragi di mafia, da Capaci a via D’Amelio, riesce persino ad intervistare il Generale Dalla Chiesa.

La consapevolezza di Arturo cresce anno dopo anno, ma nessuno lo ascolta, mentre matura la sua coscienza politica e sociale, all’ombra del suo mentore spirituale e paladino di giustizia e verità, nientepopodimeno che il divo Giulio Andreotti.

La Sicilia, come abbiamo noi stessi avuto modo di constatare in un nostro recente viaggio, è una terra intrisa di profonde contraddizioni, moderna ma inspiegabilmente involuta in certi suoi risvolti sociali,  aperta e spregiudicata ma nel contempo obliterata da arcane e ancestrali chiusure.

Nella controversa epoca contemporanea ci rendiamo conto di essere lontani dalle oscure origini della mafia, antico braccio armato della nobiltà feudale e latifondista, successivamente legato sempre più visceralmente alla politica siciliana. Una formula esiziale di dominio e protezionismo, esportata con l’immigrazione degli  anni ’20 anche negli USA, dove si tinge delle sanguinose tinte del racket e del narcotraffico.

Oggi il termine “mafioso” nei Paesi esteri si attaglia con discutibile qualunquismo a molte problematiche forme di aggregazione sociale italiana, facendo sembrare l’aggettivo “italiano” necessariamente un sinonimo di intrigo e condotta immorale.

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