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MR. BEAVER

In evidenza MR. BEAVER

Questa è la storia di una famiglia moderna, di una fabbrica di giocattoli e di un castoro di peluche parlante, di nome Mr. Beaver. Ma questa è tutto tranne che una favola. Non è una commedia, ma neanche del tutto un dramma. O meglio un dramma di fondo c’è: è quello del “male oscuro” e di chi ne è vittima. Jodie Foster, al suo ritorno dietro la cinepresa dopo 16 anni di assenza - la sua ultima performance da regista fu A casa per le vacanze(1995) -, firma una pellicola dai toni malinconici. La ragazzina terribile di Taxi Driver non è cupa e disperata, ma piuttosto riflessiva nel delineare il ritratto di un uomo malato di depressione. Tratteggia molto bene un contrasto stridente: il crudo realismo dei devastanti effetti determinati dalla depressione si stempera, edulcorandosi nella favolistica presenza del castoro parlante Mr. Beaver. La Foster deve aver letto di recente qualche saggio dello psicologo Winnycot e ne ripropone un classico strumento: l’oggetto transazionale, ovvero un feticcio, un simbolo catartico che può prendere la forma di una coperta di Linus o di un orsacchiotto.

La narrazione si apre sull’immagine grave di Walker Black (un attempato e sofferto Mel Gibson), chiuso nei balbettanti silenzi e nell’apatia della sua malattia. Viene cacciato di casa dalla moglie Meredith (una bella e matura Jodie Foster). Anche al lavoro la situazione è critica, e il manager Walker, ormai al declino, sembra sprofondare in una palude d’alcol e goffi tentativi di suicidio, quando – deus ex-machina – fa la sua salvifica apparizione Mr. Beaver. È l’amico immaginario e segreto, quello che ognuno di noi ha desiderato e celato nelle pieghe dell’anima. Così il pupazzo-feticcio si anima di un’inquietante vita propria, invadendo e vivificando la grigia esistenza del povero Walker, sedotto dalla straripante appariscenza di questo schizofrenico prodotto della sua personalità. Il film, attraverso la recitazione mirabile ed autobiograficamente sofferente di Gibson, racconta la depressione non solo nel suo stadio distruttivo, ma anche indagandone le probabili cause e gli eventuali rimedi, forse più autodistruttivi del male stesso. Lo stile della Foster è delicato, ma allo stesso tempo energico, permeato di spietata consapevolezza. O almeno è questa la sensazione di incompiutezza che accompagna lo spettatore nella particolare happy-end, in cui il protagonista deve letteralmente sacrificare la parte oscura di sé, per “ritornare tra i vivi”, i cosiddetti normali.

Mr. Beaver è, in qualche modo, una riflessione sulla disperata solitudine della società contemporanea. La depressione è solo uno dei volti assunti dal tremendo demone del vuoto che ci accompagna, e che ognuno di noi affronta in modo differente: rifugiandosi nell’arte o nell’alcool, chiudendosi in se stesso, pretendendo di essere amati ad ogni costo o sfogando il proprio dolore nella violenza. Un gran bel film, che insegna anche la speranza di metabolizzare il proprio passato e usarlo in maniera costruttiva.

GENERE: DRAMEDY, Psicologico, Romantico, Esistenzialista, Familiarista; Durata 90’; il nostro voto: 4 star (decisamente consigliata la visione)

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