25 novembre: eliminiamo la violenza contro le donne
“Finché io vivo non sarà una donna a comandare”. Con queste parole Creonte ordinò la prigionia di Antigone. Il tiranno voleva dimostrare il suo totale potere sulla vita e sul corpo di quella giovane che egli riteneva ribelle per aver disubbidito a un suo ordine. Antigone compie un gesto di libertà e autonomia (darà sepoltura al fratello) e questo farà adirare Creonte. Una disubbidienza aggravata dal fatto che a compierla è una donna. Creonte dice: “Non sarei più io l’uomo, l’uomo sarebbe lei, se queste prepotenze restassero senza castigo”.
Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La data, ufficializzata dall’Onu, fu scelta da un gruppo di donne nell’81 in ricordo delle tre sorelle Mirabel assassinate il 25 perché ritenute donne rivoluzionarie contro l’allora dittatore della Repubblica Dominicana. Dal 2005 in Italia con alcuni centri antiviolenza e Case delle donne si incominciò a celebrare la Giornata.
Di tiranni la storia ne ha avuti tanti e oggi questa tirannia si manifesta nel femminicidio che possiamo definirlo “un desiderio più o meno inconscio degli uomini di continuare ad affermare la propria superiorità con la prevaricazione punendo la donna che non sta al suo posto, distruggendone la personalità con la violenza fisica e psicologica”. Un rapporto proprietario e di possesso quello maschile, parabola di una cultura e mentalità patriarcale nonché della negazione del riconoscimento delll’alterità, dell’altro quale espressione dell’essere nella creazione un “due” e non un “uno”. Luce Irigaray ci spiega che la vera passione è amare volgendosi a qualcuno e non ridurre l’amata a specchio dei propri desideri. Più che dire “Ti amo” bisognerebbe dire – spiega Irigaray – “Io amo a te” e cioè l’altra non è l’oggetto. La donna amata va guardata con quell’”ammirazione che guarda ciò che guarda sempre una prima volta, e che non afferra mai l’altro come un proprio oggetto”.
Ma bisogna anche dire che l’attenzione andrebbe posta non tanto sulle donne vittime ma sui suoi carnefici. Di quegli infelici che hanno scambiato le donne reali con quelle che loro credono di amare e cioè un modello di femminilità da loro stessi costruiti. Un tipo di donna che risponde ai seguenti parametri: bellezza, arrendevolezza, bisogno di protezione, premura, calore materno, riserbo, etc….. E’ quanto Lucy Irigaray afferma rilevando quanto questo gioco sia tenuto in piedi dalle stesse donne: “La donna finisce, una volta di più, per inquadrarsi, incastrarsi, impalarsi in questa struttura architettonica più che mai potente. A volte lei stessa si compiace di domandarvi un riconoscimento di coscienza”. Inoltre questi uomini hanno bisogno di ri-trovarsi, di ri-pensarsi, di interrogarsi sul loro ruolo oggi.
E’ necessaria dunque una rivoluzione di pensiero. Ma già qualcosa sta accadendo. Lo dimostrano le numerose uccisioni. Il sangue indica questo cambiamento. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. La necessità di riflettere e di gettare i semi di un nuovo pensare a partire fin dalla tenera età è una sfida urgente.
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