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Ri-pensare all'alterità: c'è bisogno di etica per rinnovarsi.

In evidenza Ri-pensare all'alterità: c'è bisogno di etica per rinnovarsi.

 

Non c’è dubbio che stiamo vivendo in un’epoca particolarmente inquietante: dalle grandi alle piccole guerre; dal femminicidio all’infanticidio; dalla disoccupazione al suicidio; dalla dipendenza di ogni genere alle uccisioni….. e l’elenco potrebbe continuare. A serpeggiare in tutto ciò una perdita di senso che accompagna tanti. Ci siamo ammalati. Dobbiamo fare i conti con un individualismo e soggettivismo portato all’esasperazione. Un processo di disumanizzazione che vede un io onnivoro incapace di riconoscere l’altro. Ma per fortuna questa è la parte oscura, poi c’è quella luminosa, di chi cioè costruisce progetti e futuro, di chi sogna un riscatto, di chi educa alla pace, all’amore, al sentimento, di chi ama la vita e scommette su di essa, di chi cerca nuovi sentieri per un’umanità possibile…. E la scommessa è nell’etica. Nell’alterità è possibile trovare una risposta e un senso alla nostra esistenza. Proviamo a recuperare la dimensione della relazione che è propria dell’uomo. L’altro si rivela a me nel suo volto, nella sua nudità che da subito mi chiama – come insegna Lévinas – alla responsabilità. E’ rapporto-relazione etica. E’ il per l’altro che orienta una nuova esistenza. C’è un trinomio levinasiano che risuona fortemente, come “voce nel deserto” all’orecchio di questa nostra storia: “fraternità, umanità e ospitalità”. Si tratta di ripercorrere il cammino della ricerca della verità sull’uomo, a partire da ciascuno di noi. La ricerca di sé ci riporta all’altro. Nella parabola del Padre misericordioso leggiamo: “Tuo fratello era perduto ed è stato ritrovato”; in quella espressione – “tuo fratello” – è racchiuso l’invito alla responsabilità dell’altro. L’esistenza ci consegna l’altro, il mio prossimo, mio fratello. E in questa relazione l’altro non può essere “posseduto” – possesso è sempre sinonimo di distruzione -; l’atteggiamento nuovo invece è quello della prossimità: andare incontro, guardare il volto dell’altro e vederne il mistero e “soccorrerlo”. E’ la fraternità che ci fa avvicinare all’altro, è l’umanità che smuove fin dalle nostre viscere la “compassione” e ci apre all’ospitalità. Ma il faccia a faccia porta anche uno spasmo dell’essere quando l’altro si “sottrae” al mio sguardo e con atrocità e guerra vuole “possedere” la mia libertà, il mio essere o peggio, quando uccide il sogno dell’essere e dell’esser-ci. Viviamo questo tempo di festa per riflettere su un’opzione di fondo che può cambiare le nostre vite, sia come singoli che come comunità.

Ultima modifica ilSabato, 20 Dicembre 2014 19:51
Maria De Carlo

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