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Leopardi e Pascoli: l'infinito nello sguardo

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In evidenza Leopardi e Pascoli: l'infinito nello sguardo

 

E' da poco uscito "Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli, tra memoria e nido ", il nuovo intenso, appassionante ed emozionante viaggio nel mondo della poesia e della letteratura del poeta, docente di letteratura e critico letterario lucano Andrea Galgano, giunto alla sua quinta pubblicazione, e che ha dedicato un ampio studio teso a ricostruire il dialogo tra due massimi esponenti della poesia italiana, Giacomo Leopardi e Giovanni Pascoli, indagati e analizzati, attraverso consonanze e difformità, nel loro modo di scoprire l'essenza e la consistenza delle cose, e , dunque, in ultima analisi il  senso più profondo dell'esistenza umana. Il libro, pubblicato da Aracne, contiene una prefazione del noto poeta e scrittore Davide Rondoni, ed un preludio di Irene Battaglini, psicologa dell'arte della Scuola di Psicoterapia " Erich Fromm " del Polo Psicodinamiche di Prato. Ne abbiamo dunque approfittato per avere alcune anticipazioni ed indicazioni " illuminate " dalla straordinaria cultura e sensibilità, che contraddistingue Galgano sin dagli esordi letterari.  Il nuovo volume di Andrea Galgano sarà presentato a Potenza il 17 Gennaio presso la Cappella dei Celestini

1) Di là delle siepi ˮ è il suggestivo titolo della tua nuova fatica editoriale, volta ad indagare il rapporto tra due delle vette più alte della poesia italiana di sempre: Pascoli e Leopardi. Quale è la genesi del cammino che ti ha condotto al di là delle siepi?

Di là delle siepi racchiude uno studio di sette anni. È un viaggio di gioia e ferita. Un viaggio che non lascia tranquilli. I Canti di Leopardi, ad esempio, sostengono la trama di un rapporto, con la natura e la bellezza, con un “tu” indecifrabile ma presente, con lo spasmo onirico di un sogno esistenziale, con la infinita sproporzione dell’essere e della realtà che tocca il proscenio di una disillusione ma che afferma, continuamente, un inesausto desiderio di felicità estrema. È un saggio che procede in parallelo, dal punto di vista filologico ed ermeneutico. Ma è anche una sosta lunghissima sulle linee di questi due autori che, come diceva De Sanctis, ti stringono a ciò che nella vita è più nobile e grande.  

2) Mosaico (Aracne, 2013), il tuo penultimo libro era un viaggio emozionale o se si preferisce un viaggio delle emozioni dell’anima. Tra autori noti ed altri quasi da culto poetico e letterario. Un operazione, se mi permetti l’espressione in stile jukebox, parafrasando il titolo di un tuo saggio su Allen Ginsberg. Quale è invece il marchio di fabbrica di “Di là delle siepi”?

Non ha un marchio di fabbrica, bensì è l’esito di un’esperienza. È un saggio che intende esplorare la dinamica di sguardo dei due autori che si attesta su una dimensione di malinconia e vedovanza. In questa situazione di mancanza o di assenza, che riguarda sia il rapporto tra uomo e natura sia quello tra uomo e storia, la realtà non risulta marginalizzata; c’è anzi nel percorso teorico e nell’esperienza poetica di Leopardi e di Pascoli un’apertura nei confronti del reale, in cui il punto di partenza è sempre l’esperienza sensoriale, attraverso la quale l’io si concepisce in azione, in rapporto con l’esterno. In quest’ottica, in particolare, la poesia pascoliana si apre sulla realtà divenuta insieme di apparenze che inseguono il moto onirico e la fantasia, essenziali al sentimento poetico, che nel velo sulle cose ne fanno presagire la presenza ma ne impediscono la percezione: la poesia oscilla tra stupore e smarrimento, sgomento e tormento di immortalità e di Dio, senza però giungere alla tranquillità di una fede sicura e muovendosi in un agnosticismo rassegnato. Il tessuto della mia indagine si è mosso sull’impianto poetico leopardiano e pascoliano, come luoghi di osservazione minuta di ogni elemento della campagna e apertura a quel luogo di meditazione sulla morte, sulla solidarietà e sul dolore.

3) Dopo “Argini“ (Lepisma Edizioni, 2012) torna ad affiancarti con una prefazione al nuovo testo, il grande poeta Davide Rondoni. Chi è Davide Rondoni nella vita di tutti i giorni e cosa rappresenta nella vita del poeta-scrittore Galgano?

Davide è un maestro e un amico. In questo ho avuto l’onore, ancora una volta, di avere un suo testo che mi ha offerto spontaneamente. Mi ha insegnato a guardare all’essenziale e a ciò che potremmo chiamare sequela, che muove il centro dell’io, toccandolo alla radice. Credo che la vita si impari seguendo chi vive, nel metodo, nell’atteggiamento di vita, nel comportamento, nell’esempio. Seguire i suoi passi, significa comprenderli, in una continua sfida. Spesso mi piace citare un passaggio di Luigi Giussani ne Il rischio educativo. Egli scrive che «la sequela è il desiderio vero di rivivere l’esperienza della persona che ti ha provocato e ti provoca con la sua presenza nella vita della comunità, è il desiderio di partecipare alla vita di quella persona nella quale ti è portato qualcosa d’Altro, ed è questo Altro ciò cui sei devoto, ciò cui aspiri, cui vuoi aderire, dentro questo cammino». È un rapporto meraviglioso perché ha a che fare con la libertà e ciò che più apprezzo è la sua capacità di valorizzare tutta la realtà che incontra.

4) Gianbattista Vico riteneva che la sapienza poetica avesse origini antiche e fosse una creazione degli uomini primitivi che inventarono il linguaggio per capirsi e comunicare tra di loro. Quale è invece la sapienza riposta nei poeti moderni e contemporanei?

Io credo che il valore e la sapienza della poesia oggi sia un’esperienza e un avvenimento. Nasce in modo insolito e dovunque. È l’indizio che fa sentire la voce segreta e manifesta del mondo. La disposizione all’ascolto e l’ubbidienza alla realtà è questione che tocca gli amanti, non solo gli esperti. Le etichette che con facilità vengono appoggiate ai poeti sono confezioni magre. La vera sapienza, il lavoro, il canto hanno a che fare con la primaria ed elementare commozione e invitano alla lettura del reale e al suo continuo evento. Si tratta di rischiare la propria anima.

5) Restando a tema, lo stesso filosofo partenopeo credeva che una storia ideale eterna potesse fungere da modello da seguire per orientare le direttive dell’altra storia, quella reale e profana in cui gli uomini sono posti. Quale posto occuperebbero Pascoli e Leopardi in una realtà fondata o quanto meno plasmata su una poesia ideale ed eterna?

Per rispondere a questa domanda occorre ripartire dai due poeti. Pascoli nella prefazione ai Canti di Castelvecchio scrive: «Ma la vita, senza il pensier della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D’altra parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c’è visione che più campeggi o sul bianco della gran neve o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c’è suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie». E Leopardi ancora prima, incuriosito da un giornale di viaggio in cui si parlava di alcune popolazioni dell’Afghanistan, si rivolge alla luna, con preghiera supplice, segnata ed assoluta. È la nostra domanda. Ci nominano le stelle con precisione chirurgica, vogliono che qualcosa rimanga, si interrogano sul rapporto tra limite ed infinito, giungendo a conclusioni parallele ed affini. Nei Primi poemetti c’è un testo di Pascoli che si chiama Il libro, ad un certo punto, egli scrive: «Sosta... Trovò? Non gemono le porte / più; tutto oscilla in un silenzio austero. / Legge?... Un istante; e volta le contorte / pagine, e torna ad inseguire il vero. […] Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti, / invisibile, là, come il pensiero, / che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti, / sotto le stelle, il libro del mistero».

6) Pascoli e Leopardi sono i termini del rapporto Poeta docente e poeta fanciullo. In cosa consiste un tale rapporto?

La vita di Pascoli si confronta costantemente tra la bellezza della natura e i processi fenomenici dell’esistere e allo stesso tempo oscilla tra la frattura della cera molle della visione poetica, come luogo di protezione del mondo, e la miseria della condizione umana, tra il senso di infinità di mondi e di sterminati spazi astrali e il vivido contrasto con la percezione della presenza del singolo, condannato non già ad una nullità, ma a un senso di ossessione della morte, vista in una percezione fantasmatica e di rimpianto, in una sorta di sguardo “vedovo”. La sosta di Pascoli sulla soglia del suo insigne predecessore è antifrasi e ammirazione, percezione sensibile e autonomia poetica, vive di richiami e suggestioni ed esplica una profusione lirica densa e tonale ma, allo stesso tempo, si distacca dalla dimensione “mistica”del poeta recanatese che si interroga sulla nobiltà dell’uomo, che, in termini fortemente antiumanistici, individua nella coscienza di una debolezza strutturale nei confronti di una natura indifferente ai destini umani e spiccatamente connotata in senso meccanicistico. Detto questo, Pascoli scrive che dentro in noi abita un fanciullo eterno, che vede il mondo con meraviglia, tutto come per la prima volta, che «ci trasporta nell’abisso della verità», che nomina le cose («egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente») e scopre la realtà nelle sue relazioni e nelle sue somiglianze. Il mito dell’infanzia rimanda alle origini, in forma aurorale, come «penombra dell’anima» che riporta allo stupor mundi pre-natale, all’entrata dell’io sulla scena del mondo e alla prima scoperta dell’armonia.  Il rapporto poetico tra Pascoli e Leopardi si nutre di richiami testuali, di adesioni ideologiche e di memoria poetica, di opposizioni espresse e rotture nascoste, di movimenti poetici concordanti in lingua e stile, e dialogo sui temi fondanti del rapporto tra l’uomo e la natura e la terra e l’universo. Non solo egli richiama il poeta di Recanati nel titolo di alcune poesie o nella poetica della rimembranza, ma anche nella considerazione dell’uomo come capax infiniti, capace d’infinito. L’uomo ha, per sua natura, una grande aspirazione; pur essendo radicato alla terra, vorrebbe avere le ali per volare e tende verso il cielo. Pascoli si è occupato di Leopardi, nelle sue lezioni al Corso pedagogico per i maestri, annesso all’Università di Bologna fra i primi mesi del 1906 e la fine del 1910. Ha tentato di ricostruire la sua infanzia (per questo poeta fanciullo) e il richiamo al principio leopardiano della dolcezza del ricordo viene rapportato, in poesia, alla sublimazione del dolore e non viene rivissuto all’interno di un sistema filosofico bensì risulta affermarsi nell’esplorazione dell’inconscio.

7) Quale nesso tra memoria e nido da te citati nel sottotitolo del testo?

La memoria, in Leopardi, assume un significato fondamentale, per chi voglia capire a fondo la sua espressività. Nel lessico leopardiano, la rimembranza/ricordanza è l’esperienza rivissuta, capace di proiettare l’animo in una dimensione del passato, emotivamente ancor viva ed operante. Capace di connotare luoghi, situazioni ed immagini familiari con la rapinosa visione della propria fanciullezza, la sola in grado di fare poesia attraverso icone vaghe e indefinite. Il ricordo, che sul piano etimologico già denota un riportare al cuore, delinea un attraversamento dell’immaginazione ai danni dell’ ”arido vero”, della datità scarna di una ragione arida perché non feconda. Il ricorrere a immagini vaghe ed indefinite, significa recuperare e trasporre il passato, oggetto della memoria, in una dimensione di eterno presente.

La critica testuale ha posto l’accenno sulla sequenzialità tematica e metaforica del “nido” nella poesia pascoliana, che evoca l’ambito esclusivo e difeso della famiglia, della casa, del sacrificio della vera felicità, in contrasto con la malvagità esterna del mondo («atomo opaco del Male»), ricolmo d’ingiustizia, che gli fa desiderare di sfuggire dalla realtà storica, cercando consolazione nel cielo stellato lontano («perché tanto / di stelle per l’aria tranquilla / arde e cade, perché sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla»), che sembra curvarsi pietosamente su di lui e piangere la sua sventura tragica che ha colpito il suo riparo familiare. Il dolore personale, la tragedia domestica, vissuti su contrasti e paralleli, sono una tensione cosmica che racchiude un’urgenza universale, elementare e umana, al tempo stesso, un dramma che colpisce l’innocenza e la vita, portando in grembo conclusioni agnostiche, intrise di positivismo, sul destino umano, nel momento in cui la vicissitudine personale, l’immaginale cosmico, la rarefazione popolare si incontrano in un’aura tragica.

8) Domanda da un milione di dollari o forse no. Un motivo per giustificare la lettura e quindi l’acquisto di questo nuovo testo anche tra gli esperti e appassionati degli autori trattati e che magari operano in ambienti legati al mondo della scuola e/o della ricerca. Uno invece per incuriosire quei giovani che spesso alla lettura di un buon libro preferiscono tornei di playstation e l’uso incondizionato ed indistinto dei social network ?

Il compianto Ezio Raimondi, che ho spesso citato in questo testo e ha accompagnato la mia riflessione e la mia esperienza letteraria, affermò che la tensione radicale di Leopardi « è l’arrivare a una contemplazione che contiene il tremore primordiale, il ritmo dell'esistenza attraverso una parola che, pur quando appare “pura”, è sempre cosciente di sé. Non è un io che si effonde, ma che tocca il mistero della vitalità, ove c'è il negativo ma c'è altro. È un poeta che va di là dalle cose. In quegli spazi ove molta poesia moderna si è mossa». Oggi leggere un testo di critica letteraria non significa inventare un linguaggio suppletivo, bensì approfondire, ampliare, chiarificare ciò che si studia. Può essere un valido supporto e uno strumento umano, per citare Sereni, alla comprensione di noi stessi.

 

 

 

Ultima modifica ilGiovedì, 25 Dicembre 2014 15:40

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