La donna felice rende l'umanità felice
- Scritto da Maria De Carlo
- Pubblicato in L'editoriale
“Se noi uomini fossimo più intelligenti di quanto siamo, ci saremmo preoccupati sempre che le donne fossero più felici di quanto sono, poiché questa è la condizione primaria della felicità nel mondo. Nella misura in cui le donne non sono felici, non esiste felicità; e, naturalmente, non la può ottenere l’uomo”. Una dichiarazione, oserei dire illuminata, di Julian Marìas, allievo di Ortega.
La sua è un’attenta analisi sulla donna e sulla sua felicità, conditio sine qua non per la felicità di chi le sta accanto. L’uomo non si pone questa domanda, non si chiede se la donna che le sta accanto è felice oppure no, non guarda attentamente il suo volto, i suoi gesti, non si chiede se è contenta o insoddisfatta. Deve essere più attento sapendo che la donna per sua struttura è “misteriosa”, tende alla segretezza cioè, spiega Marìas, la donna nasconde il suo malcontento. E questo suo nascondere l’insoddisfazione influisce e “mette in pericolo la felicità”.
Per Marìas la donna è felice “quando si sente compresa, stimata, ammirata e, soprattutto, amata”. Solo la comprensione ci aiuta ad accettare anche le cose più difficili o negative. Ma la donna “tende ad accontentarsi – spiega Marìas – di ciò che non la soddisfa”. Ed è proprio della donna la capacità di avere una maggiore fortezza rispetto alle avversità e alla disgrazie. Una fortezza che le viene dall’interesse per la vita che permane (a differenza dell’uomo che è più interessato agli avvenimenti, alle notizie, alle informazioni).
Bontà, generosità, ospitalità sono le caratteristiche peculiari della donna. Generosità costitutiva, “causa di innumerevoli tribolazioni, di dispiaceri, di irritazioni, ma soprattutto fonte di felicità”. E’ qui che risiede il vero fascino, puntualizza Marìas, non per quello che possiede, che fa o che le accade, ma per quello che è, in quanto donna.
Ma la storia e la società sono state ingrate con la donna non permettendole di realizzare i propri desideri e né addirittura poterli definire.
La festa dell’8 Marzo deve rappresentare, sia per le donne che per i maschi, un’opportunità per prendere coscienza di ciò che si è nella differenza ma in vista di una relazione complementare che porti alla felicità del singolo e in esso dell’intera comunità.
Maria De Carlo
LA DIRETTORA
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1 commento
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Salvatore Fittipaldi Martedì, 10 Marzo 2015 20:49 Link al commento
CORPUS FEMINAE: di Salvatore Fittipaldi
il corpo non bada alla violenza ricevuta,
non appartiene all'intimità, lacerata, della carne:
alla fine, esce fuori da ogni poro, per fare,
di quella presenza, l'allontanamento che ignora
la sua vicinanza, che avvicina la lontananza
interiore, il velo di luce sulla pelle che fa
del corpo il capolavoro:
sofferenza e dolore prendono la forma della donna,
del luminoso spirito di carne, delle spine ficcate
dentro il marmo:
ancora e sempre il fiorire di un fiore rifiorente:
la bellezza non si sottomette alla furia delle mani:
non è fatta, a partire dalla carne, con ingredienti
materiali, non si afferma con materia adatta
alla sua forma:
il sole ha seppellito il sonno, veglia sulle braccia,
sul velluto dei petali più esposti: la luce è un fiore
adagiato sulla schiena: i fianchi nascondono
la notte: il petto, i seni sono troppo santi
per dormire: il corpo della donna è come l'arte:
non accetta leggi, ripudia ogni potere:
la sovranità è il suo genio: