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Intervista al giovane scrittore potentino Giulio Ruggieri.

In evidenza libro di Giulio Ruggieri libro di Giulio Ruggieri

“Ricordati che non sei il tuo nome, la tua professione, non sei la casetta al mare che possiedi. Ma se impari a morire vivendo, ti abitui a non riconoscerti in queste cose, a riconoscere il valore estremamente effimero, limitato, impermanente”. Inizia così l'introduzione al terzo romanzo dell'autore potentino Giulio Ruggieri che s'intitola, non a caso, “Sopravvivere ai cambiamenti”. Il libro narra delle vicende di un imprenditore quarantenne palermitano, Ettore Tobia, che riesce a raggiungere importanti riconoscimenti professionali. Dopo anni di duro lavoro, però, il protagonista intuisce che è giunto il momento di dare una svolta significativa alla sua vita, spostando il baricentro degli interessi e di quei valori che hanno sino a quel momento guidato il suo agire. Una crisi esistenziale da cui scaturisce un viaggio fisico ed interiore, alla ricerca dell'identità perduta. Fortunatamente, una grande volontà anima lo spirito di Ettore, la stessa che gli ha consentito di crearsi un impero economico e che, attraverso continui tormenti, gli consentirà di intraprendere la scalata per un cambiamento spirituale che lo porterà alla purificazione dell'anima. Ettore intuisce che mai, come nel nostro secolo, l'uomo s'è allontanato dalla natura e questo è stato il più grande dei suoi sbagli. Come può un bimbo crescer sano senza sentire accanto a sé, il ritmo delle proprie giornate, quello degli animali, delle piante, dei paesaggi? Decide così di visitare i luoghi più insoliti e impervi del pianeta. Ciò che lo rende una persona autentica è la tenacia, la volontà di mettersi in discussione, testando sempre i limiti e le opportunità che la vita gli offre.
Per conoscere meglio questo autore, ho avuto il piacere di fargli alcune interessanti domande. 



Quando è nata la tua passione per la scrittura?

All'età di 18 anni, non appena terminato il liceo. Ricordo che in quel periodo avevo le idee chiare su ciò che avrei voluto fare da grande. Non mi riconoscevo nelle materie che studiavo. Avevo maturato un tipo di propensione che, con gli studi affrontati fino ad allora, aveva ben poco a che fare. Così, una volta fuori dal liceo, mi sono rimboccato le maniche per recuperare il tempo perduto. Da quell'entusiasmo iniziale, è nato il mio primo romanzo, “La nave della follia-Artista e società”, in cui ho voluto sottolineare la facilità con cui spesso ci facciamo illudere dalle emozioni del mondo. Al punto da rimanerne ingabbiati, correndo il rischio di allontanarci dagli aspetti fondamentali della vita: la famiglia, gli affetti e le amicizie sincere.

 

Perché scrivi?

Scrivo per un intimo sfogo evasivo. Nei momenti in cui mi sento ispirato, riportando certe idee, trovo nuovamente me stesso, in un cumulo di forze sotterranee. Scopro un potenziale enorme in quest'attività che mi fa star bene. Traggo da essa degli stimoli che mi consentono di affrontare, con determinazione e a testa alta, i problemi della quotidianità. La scrittura, quando ti prende, difficilmente ti abbandona. Come, del resto, non abbandoneremmo mai un piccolo salvagente nel bel mezzo di una tempesta nell'oceano. Indossarlo ci fa sentire protetti rispetto a chi ne è sprovvisto.                                                                                                                                      

Devo poi riconoscere che la lettura, oltre a farci viaggiare con la mente, serve per la propria formazione e crescita culturale.

 

Ti ispiri a dei personaggi in particolare?

Non proprio. Ma ci si ispira sempre a quanto troviamo attorno a noi. È normale che accada. Infatti, per non perdere di obbiettività, faccio in modo che i miei personaggi, per quanto inventati, conservino le principali caratteristiche, positive e negative, dell'uomo di oggi.

 

Quali sono gli aspetti che analizzi maggiormente dei tuoi personaggi?

Mi soffermo principalmente ad analizzare il loro modo di rapportarsi con il mondo. Le relative contraddizioni che ne scaturiscono, in particolare tra le parole ed il modo di agire. Ma si parla anche di natura nei miei libri. A mio avviso, quello con il paesaggio è un legame duraturo e disinteressato. Mentre, quello con gli esseri umani è un rapporto spesso controverso e non privo di malcelate ambiguità. L'uomo, tendendo inconsapevolmente a voler diventare Dio di se stesso, non riesce ad apprezzare i doni che Dio gli fa, come la natura.

 

Come vorresti che fosse la società attuale?

Vorrei che fosse una società meno chiusa in se stessa, che non pensi solo al soddisfacimento del benessere strettamente individuale e che conservi, tra i suoi valori, non tanto l'accumulo di beni materiali, quanto di beni morali. “Non cercare di diventare un uomo di successo, ma piuttosto un uomo di valore”, diceva non a caso Albert Einstein.

 

Parliamo della tua ultima fatica": “Sopravvivere ai cambiamenti”. Cos'è o chi ti ha ispirato per questo romanzo?

Nelle arti, come nella scrittura, bisogna sempre fare onore alle proprie influenze. Le mie in questo libro sono state: Mann, Dostoevskij e Tiziano Terzani. Quest'ultimo in particolare, mi ha aperto la mente, da quando l'ho conosciuto. Per i tempi che corrono, di forte relativismo, mi son sentito in dovere di tentar di ricreare le loro stesse atmosfere. Per il secondo invece, “Storia di Omega”, mi hanno ispirato il romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” ed il film “Matrix”. Il primo perché descrive i differenti stadi della corruzione dell'animo umano, mostrando in modo evidente a quali conseguenze possono portare. Mentre il secondo perché tratta la tecnologia con occhio critico, arrivando quasi al parossismo, quindi al punto che le macchine arrivano ad impossessarsi della realtà, anticipando quanto, con una politica senza controllo, potrebbe verificarsi in una possibile società del futuro. Per il resto, non ci sono stati altri ispiratori. Anche perché i libri letti ultimamente, “L'alchimista” di Paulo Coelho e “Parenti lontani” di Gaetano Cappelli, non hanno alcuna attinenza con ciò che ho scritto.


E' un racconto di relazioni e di accoglienza. Qual è la ricetta -secondo te- per una convivenza pacifica?

Tutti siamo messi ogni giorno di fronte agli stessi conflitti. La mia storia non differisce da quella di ognuno di noi. Il trucco, secondo me, sta nel modo di porci dinanzi alle situazioni. La ricetta è dentro di noi perché ognuno, se lo vuole, può vivere bene su questa Terra. A mio avviso, in un contesto in cui non si è aiutati o supportati da nessuno, il metodo migliore per una convivenza pacifica è rimboccarsi le maniche. Rispettare il prossimo, essere tolleranti e non cercar mai di anteporre il proprio io sugli altri. Ma anche imparare ad ascoltare, affrontando ogni cosa con una buona dose di umiltà. Non credo ci siano altri metodi. Ne approfitto per informare che il libro sarà presentato, in data da fissare, nella cappella dei Celestini e nella parrocchia di Santa Cecilia. Sarebbe vivamente gradita la presenza di tutti.

 

Luciano Gentile

















 















Ultima modifica ilDomenica, 15 Giugno 2014 15:25
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