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SOCIAL: LA MASCHERA C’È (E SI VEDE)

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Fino a qualche tempo fa, diciamolo, i social network erano a quasi totale appannaggio dei più giovani che, quasi di nascosto dai genitori, scoprivano per primi un mondo nuovo e inesplorato, ricco di opportunità e di insidie, come ogni naturale o artificiale ambito. Erano gli anni in cui, quando un genitore vedeva il figlio con lo sguardo chino sul cellulare (allora si chiamavano ancora così, prima di passare al più cool smartphone), non esitava a intimargli di smetterla e di posare immediatamente quell’aggeggio. Erano gli anni in cui, mentre i più giovani cominciavano ad accarezzare con le dita lo schermo di un telefono, i grandi si dicevano affezionatissimi al vecchio stile, legati e fedeli al loro cellulare vecchio stampo con la tastiera o, ancora meglio, con lo sportellino.

Storia di qualche anno. Dei primi anni. Poi, forse per curiosità o forse per esigenza, anche gli adulti hanno cominciato a sperimentare la modernità. Ecco, quindi, lo smartphone touch screen e, passo dopo passo, anche l’installazione e l’iscrizione ai più famosi social network. Fonte di possibilità e di pericoli, si diceva. Eh sì perché, se da un lato la nuova era tecnologica permetteva un rapporto più diretto con i propri figli o con i propri parenti, dall’altro il mondo social entrava di prepotenza nella vita di chi, per svariati decenni, aveva vissuto senza nemmeno poterlo immaginare. E allora?

A guardarlo oggi, il mondo dei social appare come uno specchio a tratti realistico e a tratti distorto della realtà. Vi sono quelli che, giovani o meno giovani, lo vivono in maniera sana e trasparente, e questo può rappresentare una grande opportunità di crescita, di conoscenza, di confronto, di scambio di idee e pareri. Sono i casi in cui, magari, gli adulti che un tempo vedevano il telefonino ed internet come il male assoluto, si sono ravveduti, riuscendone a cogliere le buone possibilità. Vi sono poi quelli che, nel mondo social, si sono costruiti un’altra immagine di sé. Uno specchio distorto della realtà, fatto di considerazioni, immagini, frasi ed aforismi che in poco o nulla corrispondono con la realtà dei fatti. Una maschera, come di certo la intenderebbe il buon Pirandello, da indossare nel momento in cui si accede al social preferito, per catturare “mi piace”, per essere alla moda, per apparire “uno buono”, per sembrare quello che sa tutto di tutto e può parlare di tutto con tutti. Forse con consapevolezza che nella vita reale si è fatto poco per essere davvero “uno buono” o forse per la scelta della via facile che i social offrono per “sentirsi qualcuno”. Sono i casi in cui l’utilizzatore, con cognizione o inconsciamente, si costruisce un’altra immagine di sé. E magari quei figli ai quali ieri imponeva di mettere a posto il telefono sono gli stessi che, oggi, vorrebbero pregarlo di spegnere quel telefono e lasciar perdere il mondo virtuale.

Perché, in fondo, dal palcoscenico dei sociale occorre pur scendere, prima o poi, e quando il vento della realtà soffia la maschera, inevitabilmente, viene giù.

Marco Tavassi

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