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Incontro con l’autore Canio Franculli

In evidenza In occasione della prossima presentazione del romanzo Il ragazzo che amava l’arte, edizione Villani, 2019, con la prefazione di Danilo Vignola. In occasione della prossima presentazione del romanzo Il ragazzo che amava l’arte, edizione Villani, 2019, con la prefazione di Danilo Vignola.

In occasione della prossima presentazione del romanzo Il ragazzo che amava l’arte, edizione Villani, 2019, con la prefazione di Danilo Vignola, musicista,  abbiamo incontrato lo scrittore e pittore Canio Franculli, già dirigente scolastico e psicologo di formazione. L’abbiamo incontrato nel suo studio a Banzi, l’antica Bantia  conosciuta dagli storici per le significative testimonianze del suo passato osco-latino. E’ di Banzi, infatti, la Tabula Bantina Osca,  documento epigrafico su bronzo scritto in lingua osca con  caratteri latini e riportante sia lo statuto del municipium Bantinorum, di epoca repubblicana, che articoli di legge romana civile e penale. Il paese vanta anche una poesia, Fons Bandusiae, che Orazio Flacco dedicò a una sua sorgente nonché un Templum auguraculum in terris che, a differenza del templum auguralis di Romolo a Roma, è stato riportato alla luce integro con tutti suoi nove cippi dedicati alle nove divinità del pantheon osco-latino. Di epoca medioevale, invece (VIII sec.) , è la bellissima abbazia benedettina dedicata a Santa Maria.

All’autore abbiamo posto alcune domande sul libro che verrà presentato a Bari in autunno, salvo imprevisti legati al Covid, e che è già stato presentato a Potenza a cura dello scrittore e capo-redattore Rai Oreste Lopomo e a Matera alla “Ferrara ArtGallery” di via Stigliani.

Nel suo studio, un vasto locale luminoso al secondo piano di una via centrale del paese con le case che s’inseguono l’una stretta all’altra e quasi tutte disabitate (perché il paese è fortemente spopolato) tra libri, tele e pennelli, l’autore ci parla del suo romanzo. E’ ambientato a Roma negli anni Settanta, che sono stati anni di grande fermento sociale non privi di contraddizioni e di drammaticità. E’ un testo narrativo, ricco di dialoghi, che si presta ad una duplice chiave di lettura. La prima è un invito alla rivisitazione di quel periodo che, sul solco dei progetti d’origine generazionale, politici e culturali, legati al Sessantotto, ha registrato una grande partecipazione sociale, in particolare delle generazioni giovani, indirizzata al cambiamento. Dopo quegli anni, abitualmente etichettati come  “anni di piombo”, a parere dell’autore è iniziato in Italia  un processo di conservatorismo culturale che ha visto le classi sociali richiudersi  in se stesse; si è registrata la lenta e inarrestabile fine  dell’ascensore sociale che gradualmente si è bloccato;  si è assistito  al restaurarsi  di rapporti di forza che  hanno arrestato il processo di comunicazione inter-sociale.

Il secondo aspetto del romanzo riguarda la lettura interpretativa che si dà al complesso sistema dell’arte. Il pensiero teorico, che fa da cornice all’intero impianto narrativo sull’arte, prende corpo nelle lunghe conversazioni tra l’anziano pittore Antonio e il suo giovane amico Livio. Livio parla di arte  in maniera estetica e filosofica classica, considera gli artisti demiurghi unici, genialmente magnifici e inarrivabili, con i musei che sono i loro tempi-chiesa e nei quali l’esperienza estetica diventa mistica e l’arte si illumina di un alone sacro-religioso.  Antonio, il pittore anziano, parla invece dell’arte secondo canoni legati a  una lettura sociologica dove il sistema delle classi sociali, nei suoi rapporti dinamici interni di potere, di controllo e di gestione del mercato (da quello economico-finanziario a quello del pensiero dominante)  incide significativamente tanto da indirizzare il pensiero sociale verso scelte estetico-culturali  che comportano, di conseguenza, l’inclusione di alcuni soggetti e la sistematica esclusione di altri. L’ analisi sociologica è particolarmente rara  nel processo comunicativo e divulgativo sull’universo dell’arte che solitamente, nell’immaginario pubblico, è un universo segnato dall’ attribuzione magico-fideistica all’unicità creativa dell’artista. In questo mondo fideistico fa scandalo e viene emarginato nella letteratura e nel dibattito dominante chi vuol comprendere e trovare una logica sociale sui protagonisti e sui prodotti del mondo dell’arte in Occidente.

Verso la fine del nostro incontro chiedo all’autore se questo suo romanzo che personalmente, avendolo letto, mi sembra si presti ad una trasposizione filmica, sia autobiografico o meno. Mi risponde che non è autobiografico, in quanto non riporta fatti di cronaca realmente accaduti,  ma senz’altro trae spunto dall’esperienza metropolitana romana da lui vissuta per oltre due decenni, così come prende spunto dall’attualità del tema dell’arte che, tra classicismo e astrattismo, negli ultimi decenni ha enormemente allargato, a vario titolo, sia il suo mondo espressivo-fattuale che la propria platea di stimatori e creativi.

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