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Daniele Nardiello

Daniele Nardiello

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SOCIETÀ DEI CONSUMI, OVVERO “CIVILTÀ DEI RIFIUTI”

L’attuale società improntata sulla sfrenata attitudine al consumo è stata acutamente definita da molti studiosi la “Civiltà dei Rifiuti”. L’uomo moderno, infatti, negli ultimi decenni ha notevolmente accelerato la sua in-naturale tendenza al consumo, buttando via un’immensa moltitudine di oggetti usati pochissimo.

I rifiuti solidi civili provengono in gran parte dalle pattumiere domestiche, nonché dallo scarto di suppellettili, elettrodomestici, autoveicoli di ogni tipo e genere, tutti oggetti che vengono rilasciati nell’ambiente, spesso ancora in buone condizioni. Con la spazzatura, la nostra società getta via ogni istante milioni di tonnellate di risorse, che potrebbero essere recuperata e riutilizzate con notevole risparmio di materie prime.

Cerchiamo di fare chiarezza, comprendendo alcune semplici distinzioni. I rifiuti solidi civili comprendono sostanze organiche ed inorganiche. Tra le prime troviamo scarti di origine vegetale, carta, cartone, stracci, fibre legnose e tessili, avanzi di pelli; le seconde comprendono tutta una ridda di oggetti di varia natura anche difficilmente classificabili, ma tra cui spiccano per rilevanza i frammenti di metalli ferrosi e altre materie non degradabili.

In Italia, secondo un calcolo approssimato probabilmente per difetto, vengono eliminati ogni anno non meno di 20-30 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Lo smaltimento per incenerimento di tale massa critica crea come effetto collaterale un’altra gravissima fonte di inquinamento, a causa della produzione di diossina. Questo è un composto assolutamente tossico ricco di cloro, che si forma ad alta temperatura dalla reazione tra il fenolo e l’acido cloridrico, sostanze facilmente presenti nei RSU e comunque si formano quando vengono bruciate le immondizie.

Entrando nello specifico, l’inquinamento del suolo ad opera dei rifiuti solidi civili è drammaticamente incrementato da quelli industriali: materiali da imballaggio (legno, carta, cartone, contenitori di plastica), vernici di scarto, contenitori metallici, avanzi di cavi e fili elettrici, coperture di gomma, fanghi residuati da trattamenti biologici, sabbie filtranti impregnate di solventi, sostanze metalliche ferrose e non, abrasivi, scorie tossiche di varia origine.

Un esempio sotto gli occhi di tutti? La plastica, che essendo praticamente indistruttibile da parte degli agenti organici o atmosferici, uccide gli animali, soffoca le piante e sviluppa sostanze tossiche, minacciando sempre di più il patrimonio ecologico.

Una massa indescrivibilmente “sporca” e tossica, che ormai fa la parte dell’ospite indesiderato delle nostre case, e del nostro stesso paesaggio urbano e periurbano. Contenitori di plastica, sotto forma di sacchetti o di bottiglie, che nel loro proliferare incessante hanno invaso tutto il mondo, inquinando e deturpando prati, boschi, fiumi, laghi, spiagge e mari.

Un discorso a parte andrebbe poi fatto sugli altri importanti fattori di inquinamento del suolo: i pesticidi usati nelle forme sempre più intensive e stressanti di agricoltura moderna; le scorie radioattive prodotte dalle centrali nucleari, che vengono racchiuse in grandi contenitori metallici fissati in masse di cemento e sepolte a grandi profondità nelle fosse oceaniche o in miniera abbandonate. Qualora si verificassero perdite, la situazione diventerebbe a dir poco critica, in quanto gli isotopi radioattivi decadono in tempi lunghissimi e sono estremamente dannosi per gli organismi, a cui provocano conseguenze gravissime sulle ossa e sul sangue, e addirittura agiscono sui loro caratteri ereditari, causando mutazioni.

 

 

L’INTERVENTO DELL’UOMO SULL’AMBIENTE

L’Uomo, nella sua corsa sfrenata ed insensata al dominio della natura, ha dimenticato di essere egli stesso parte della biosfera, con conseguenze sovente drammatiche. Ha esercitato e continua ad esercitare una vasta e profonda azione modificatrice delle componenti fisiche e biologiche dell’ambiente.

Nessuna altra specie vivente è stata altrettanto capace di cambiarne così radicalmente l’aspetto primitivo: ha spianato terreni, scavato gallerie, modificato il corso dei fiumi, per costruire città, strade, ponti, ferrovie ed aeroporti. Per ottenere l’energia necessaria alla sua sopravvivenza, al suo benessere alle sue attività, ha perforato la Terra per estrarre dalle sue viscere carbone, petrolio, uranio; ha creato laghi artificiali, sbarrando con dighe il corso naturale dei fiumi.

L’incessante incremento demografico della specie umana dominante ha imposto la produzione di sempre maggiori risorse alimentari. A tale scopo ha costruito una fitta rete di canali di irrigazione, sconvolgendo l’originario assetto della rete idrografica; ha trasformato vaste zone del nostro pianeta in terreni agricoli, distruggendo foreste, savane, steppe e bonificando terre paludose e malariche.

Ha concepito forme sempre più intensive e massive di allevamento, favorendo alcune specie animali e distruggendone altre, sia perché nocive alle sue colture, sia per ricavarne pellicce, pelli, avorio… Un’azione così profonda ed articolata, cha ha avuto una straordinaria ed esiziale accelerazione nell’ultimo secolo, in concomitanza e in correlazione stretta con l’inusitato sviluppo industriale e l’esplosione demografica.

Si è così approfondita la profonda serie di guasti sull’ambiente, in cui ha riversato i suoi prodotti di rifiuto e di cui ha sconvolto anche le catene alimentari, provocando il grave fenomeno dell’inquinamento, con gravi alterazioni di tutta la biosfera.

L’uomo è riuscito a creare un ecosistema artificiale, parallelo e contrastante alla serie di ecosistemi naturali, in cui egli interagisce continuamente con gli elementi dell’ambiente in cui vive e ne viene a sua volta influenzato, attraverso un complesso processo di interazioni.

Facciamo un esempio. In un ecosistema naturale tipico la catena alimentare ed ecologica ha la forma solitamente a piramide: la massa degli organismi (biomassa) decresce salendo dai produttori ai consumatori di diverso grado. In pratica alla base troviamo i produttori vegetali, poi salendo gli erbivori, gli insettivori, i carnivori e al vertice della piramide i grandi predatori.

In una società il cui protagonista è umano, il rapporto è esattamente l’inverso di un ecosistema naturale: ci sono pochi produttori e molti consumatori. Con la differenza che sono i produttori la parte dominante, capace di massificare ed imporre scelte di consumo apparentemente vantaggiose ma in realtà profondamente oltraggiose, per i notevoli e prolungati effetti nocivi.

 

Net.Art: arte dentro, con e per la Rete

Dopo aver visitato un crescente numero di gallerie virtuali, oggi ammiriamo sempre più opere d'arte che si possono trovare in rete. Ma ci siamo posti il quesito che queste siano state create su Internet? Questo è decisamente più complicato. Siamo stati finora abituati a pensare ad immagini create a casa su di un confortevole cavalletto, a disegni a matita virtuale sul desktop, oppure a fotomontaggi e progetti grafici creati con il loro particolare programma di image editing. Tutto ciò, una volta definito, è stato caricato in rete.

La mostra “Processi” presentata nell’ormai lontano 1986 presso il Centro d'Arte Contemporanea Reina Sofia di Madrid è stato il punto di partenza di questo movimento. Juan Carlos Eguillor presentò “Menina” un'opera creata interamente con il computer.

Tuttavia, non tutte le opere nascono nello stesso modo. Alcune di esse sono create direttamente e per Internet. Per alcuni artisti questo segna il passaggio naturalmente evolutivo dalla tela e pennello al computer ed infine al puro concetto astratto e tuttavia immanente di Grande Rete.

Questa è la caratteristica principale della Net.Art: la decontestualizzazione dell’espressione in un non-luogo attraverso una scala non-temporale: il cyberspazio della Rete. È una disciplina artistica creata mediante differenti supporti digitali. Essa utilizza esclusivamente le risorse che le vengono fornite dalla rete, o rielabora i dati provenienti da Internet o derivanti dalla programmazione di un server, e-mail, fogli di calcolo, etc

L’atto creativo è progettato in modo che il suo sostegno sia Internet: è una forma d'arte interattiva e partecipativa. Lo spettatore può anche modificare l'opera.

D’altro canto è curioso che lo stesso termine Net.Art sia il frutto di un errore informatico. Infatti nasce nel dicembre del 1995 in circostanze piuttosto insolite: l’artista sloveno Vuk Ćosić, leggendo la posta elettronica sul suo computer, riceve un messaggio anonimo. Probabilmente era scritto con un software incompatibile con il suo, ma il risultato era una visualizzazione apparentemente incomprensibile, come una lista di caratteri senza alcun senso. L’unico blocco di testo che poteva avere un significato era un frammento che conteneva la sigla “net art”. Ćosić rimase come folgorato da un’illuminazione ed ebbe la felice intuizione di coniare il termine Net.Art. L’anno dopo, nel 1996, gli artisti che facevano arte utilizzando come strumento la rete cominciarono a collaborare a progetti comuni e discussioni collettive. Lo stesso anno proprio Vuk Ćosić, padre del termine, organizzò in Italia, a Trieste, il primo evento internazionale dedicato all’arte della rete: la chiamò “Net Art Per Se”.

Una delle prime espressioni di Net.Art era quella che formava immagini realistiche usando i caratteri di testo ASCII (acronimo di American Standard Code for Information Interchange, Codice Standard Americano per lo Scambio di Informazioni: è un codice per la codifica di caratteri). Fin dai primi messaggini di testo SMS tutti noi abbiamo usato la combinazione di trattini, punti e parentesi per rievocare delle faccine emozionali, ma gli artisti si sono spinti molto oltre, rimescolando i caratteri e disponendoli in modo da formare immagini lineari, solide, in scala di grigi, etc.

Sempre più convinti di vivere un periodo di grande effervescenza artistica intorno ai cosiddetti nuovi media, sono stati creati anche dei database online per preservare le opere artistiche create da e per la rete. Questo è il caso del progetto Art NETescopio, che ospita migliaia di opere di artisti diversi per estrazione e background culturale, che si avvalgono delle tecniche più disparate

L’arte è di tutti” – Joseph Beuys

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SCONTRO TRA TITANI (ANTICHI PREDATORI CONTRO OGM)

La macchina dei sogni holly-disneyana riprova a spolverare l’inossidabile fascino dei lucertoloni.

Nel quarto capitolo della saga dei preistorici e redivivi rettiloni, assistiamo al titanico scontro tra…clichè!

Il 1° clichè è l’eroe radical-chic anticonformista, tutto muscoli e rombo di motori, che sussurra ai famelici bestioni e strapazza ma di baci sazia il 2° clichè, ovvero l’algida donna-manager super impegnata, tutta marketing e tacchi a spillo, mentre il 3° clichè (Godzilla superdotato in versione OGM) se ne va saltabeccando indisturbato, divorando i malcapitati guardiani e scontrandosi qua e là con altri mostrisauri. Assistono allo sfacelo della mastodontica attrazione fantaturistica il 4° clichè, ovvero il magnate alle prese con le crisi di coscienza e pure maldestro pilota di elicottero, che tenta di salvare in extremis il suo giocattolone ma in realtà fa precipitare la situazione, e il 5° clichè, ovvero il cinico mercenario che vuole ottusamente trasformare le voraci bestie in macchinette da guerra pronte a divorare a comando tutti i cattivoni nemici degli States. La vicenda si dipana nel paradisiaco scenario, con le solita strategica atmosfera di calma apparente e minaccia incombente.

La pellicola nel complesso non è affatto sgradevole, per chi ama il genere fantathriller, però dalla trama semplificata ad uso familiare, che attinge a sicuri e sperimentati filoni spettacolari, fin troppo indulgenti alle lusinghe del botteghino.

 "Sono dinosauri, sono già wow!" - Owen (Chris Pratt)

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L’INGEGNERIA SOCIALE

Sapete quale è il modo più semplice per aggirare una misura di sicurezza, non solo informatica? Missione Impossibile da Hackers e cybercriminali? Rocambolesche e occulte intrusioni all’interno di un sistema? Non solo ma anche. La risposta corretta è: incidere banalmente sull’anello più debole della catena, l’elemento umano. Prosaicamente è molto più agevole farsi rivelare i dati e le informazioni direttamente da chi le conosce.

Nulla di violento, nessuna tortura, nessun terzo grado… semplicemente parlando con una persona e studiandone il comportamento si possono mettere insieme più dati sensibili o riservati ed elaborare informazioni più o meno approssimative. Con tutta questa paziente attività occulta si costituiscono delle tracce per risalire ad un’informazione sensibile come, ad esempio, una notizia commerciale segreta, il protocollo utilizzato per creare ed assegnare credenziali d’accesso ad un sistema informatico e così via.

L’Ingegneria sociale, contrariamente a quello che il termine possa suggerire, non persegue filantropiche finalità di carattere socio-antropologico ma è, al contrario, l’arte di manipolare le persone. Nel suo primo stadio consiste semplicemente nell’osservare i comportamenti di una persona, parlarci ripetutamente, spacciandosi magari per qualcuno dotato di carisma o autorità, per poi successivamente osservare di nascosto, oppure origliare le sue conversazioni, o addirittura arrivare al punto di frugare nella sua spazzatura (letteralmente trashing). Ogni mezzo lecito e illecito è efficace per ottenere informazioni che, messe insieme, possono delineare i confini di un campo su cui agire.

Un’applicazione delle tecniche di ingegneria sociale può essere quello della telefonata tramite la quale una persona, facendo credere di essere un altro, induce in errore il suo interlocutore e si fa rivelare, in perfetta buona fede, qualche dato interessante. Spesso vengono pubblicizzate false promozioni, premi di concorsi fittizi, televendite di prodotti aleatori, etc.

Un’evoluzione della telefonata dell’esempio precedente è il cosiddetto phishing (dall’inglese to fish, “pescare”, traslato in gergo poco nobile nel significato letterale di “far abboccare”). Consiste, nella sua forma più banale e diffusa, nell’invio massivo di semplici mail, da un indirizzo simile a quello di Istituti bancari o Postali, o imitando la grafica di un sito aziendale degli stessi, in modo da far cadere in errore chi la riceve.

Nella mail viene richiesta esplicitamente un’informazione che si chiede di inserire direttamente nella mail di risposta, oppure molto più subdolamente, indirizzando tramite un link in una pagina web falsa, contenente moduli artefatti che carpiscono i dati personali inseriti.

Le mail di phishing contengono un altro elemento fittizio usato ad arte per ingannare: la rappresentazione di emergenze, scadenze imminenti, minacce o pericoli di danni economici qualora coloro che hanno ricevuto la mail non provvedano tempestivamente a fornire i dati richiesti.

Infine, ma non ultima, un’altra tecnica di ingegneria sociale che può far sorridere ma è decisamente temibile è il cosiddetto shoulder surfing, cioè letteralmente “sbirciare da sopra le spalle”.

Consiste nell’osservare, non visti ma anche con l’ausilio di lenti o telecamere nascoste, una persona mentre digita i codici di accesso per accedere ad un sistema informatico, tramite un PC, un dispositivo mobile o la tastiera di un POS.

 

Per saperne di più su questo argomento e per approfondimenti, invitiamo alla lettura di della Tesi di Laurea del Dott. Andrea Melis, “Ingegneria Sociale: Analisi delle metodologie di attaccoe delle tecniche di difesa”, disponibile a questo link: http://amslaurea.unibo.it/2701/1/melis_andrea_tesi.pdf

 

La settima arte ai tempi della rivoluzione gotica

Congegni paradossali, macchine ingenuamente ingegnose, espressioni malinconiche di protagonisti tanto fantasiosi quanto drammaticamente umani, ambientazioni ultrakitsch… benvenuti nell’universo visionario di Tim Burton.

Timothy William Burton rappresenta una figura poliedrica di regista e sceneggiatore, ma ancor prima animatore e disegnatore.

Nato 57 anni fa in una serena ed ordinata cittadina della Contea di Los Angeles, non lontana da Hollywood, trascorre un’infanzia travagliata. È introverso, lunatico, intollerante verso l’autorità dei genitori. Ragazzo timido ed eccentrico, si ciba voracemente di cartoni animati e vecchi film dell’orrore, di cui ne assorbe inesorabilmente le atmosfere gotiche ed espressioniste. Manifesta ben presto una potente disposizione artistica, che esprime attraverso il disegno.

Il suo è un talento vero e sofferente, a 18 anni vince una borsa di studio messa in palio dalla Disney che gli permette di continuare a coltivare la sua passione al California Institute of the Arts di Valencia, per poi diventare alla fine degli anni ’70 un disegnatore ufficiale dei lungometraggi animati. Ma il suo spirito travagliato rifugge presto dalle atmosfere edulcorate, troppo infarcite del presuntuoso conformismo di “graziose bestioline ammiccanti”.

Esordisce coraggiosamente da regista con il cortometraggio “Vincent”, omaggio al suo mito e maestro Vincent Price . Della durata di soli 5 minuti, interamente in bianco e nero, viene realizzato con la suggestiva tecnica stop motion, consistente nel creare un fotogramma per volta, ottenuto fotografando i piccolissimi movimenti compiuti da modellini in modo da dare l'illusione del movimento. “Vagare vorrebbe in tenebra oscura, sfidando pericoli senza paura” recita la voce fuori campo sublimando le suggestioni dei racconti di Edgar Allan Poe, in una frase che esprime tutta la sofferta interiorità del giovane regista.

Burton esordisce nei lungometraggi con “Pee-wee's Big Adventure” (1985), commedia originale e divertente che segna l’inizio della fortunata collaborazione del regista con il musicista Danny Elfman, con il quale in futuro collaborerà in quasi tutte le sue pellicole, con le sue sonorità incantevoli e fantastiche, ottenute attraverso una peculiare e magistrale composizione orchestrale.

Raggiunge un’insperata notorietà con “Beetlejuice - Spiritello porcello” (1988), una stramba ma interessante commedia fantasy-horror della Warner. La pellicola si aggiudicò nel 1989 l'Oscar al miglior trucco e il personaggio gotico di Beetlejuice conquistò un notevole successo di pubblico e critica, dando vita anche a una serie televisiva animata.

Il giovane regista è pronto al grande salto nello star-system. La Warner gli affida nel 1989 un progetto ambizioso: la trasposizione cinematografica del fumetto Batman.

Il risultato è un grande successo, grazie all'appoggio artistico degli attori Michael Keaton, primo feticcio di Burton e dello straordinario Joker Jack Nicholson.

L’anno successivo Burton discosta la sua atipica figura di movie-maker dalla logica di botteghino delle major hollywoodiane, regalandoci il poetico, commovente “Edward mani di forbice”. L’esordiente outsider Johnny Depp, destinato a diventare il nuovo feticcio, interpreta una creatura grottesca a metà strada tra Pinocchio e mostro-di-Frankenstein, che vive la sua diversità con coraggiosa illusione, per scoprire l’impossibilità all’integrazione in un mondo di “normale” crudele umanità. Il film è una favola amara, che sparge i semi di quel mondo misto di tenerezza ed assurdità, che rappresenta il filo conduttore della poetica di Burton.

Il fertile sodalizio con Depp produrrà l’eccezionale thriller-horror “Il mistero di Sleepy Hollow” (1999) e la commedia musical-drammatica “Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street” (2007), affiancato dalla splendida e lugubre compagna di Burton, Helena Bonham Carter, in pellicole gotiche che mietono premi e nomination.

Particolare menzione merita “Big Fish - Le storie di una vita incredibile” del 2003, racconto della vita romanzesca di Ed Bloom (interpretato rispettivamente da Ewan McGregor nella versione giovanile e da Albert Finney nella fase senile, entrambi straordinari e credibili). Si tratta di una rivisitazione del novello Barone di Münchhausen, che appare agli occhi del figlio come una figura e patetica, incapace di affrontare la realtà e colpevole di esserle sempre sfuggito attraverso il ricorso ai racconti fiabeschi. Tuttavia si scopre nel commovente epilogo lo stupefacente intreccio di realtà e magia, visibile solo agli occhi di chi conserva nel candore infantile la capacità di vedere e saper ascoltare la ricchezza del mondo interiore.

  

La gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità!

Cappellaio Matto (Johnny Depp), dal film "Alice in Wonderland" di Tim Burton

Galeotta fu la buca, ovvero la strana coppia Rocco & Sergio

 La buca
    
Un film di Daniele Ciprì. Con Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi, Jacopo Cullin, Ivan Franek.
Drammatico, commedia noir -  durata 90 min. - Italia 2014. - Lucky Red

Esiste la giustizia giusta ed ideale, e poi esiste la giustizia reale, all’italiana, dove negligenze, errori e sciatteria sono all’ordine del giorno nell’aule dei tribunali. Entrandovi malauguratamente si rischia di perdere il senno oltre che il portafoglio.
Per sapere quale opinione abbia da secoli l’italiano della figura dell’avvocato, basti rileggere le immortali pagine scritte da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi sull’Azzeccagarbugli.
L’Italia è il paese dell’inciucio, del compromesso e del “fatta-la-legge-trovato-l’inganno”.
Daniele Ciprì con “La Buca” ci racconta la sua visione dell’Italia e soprattutto della nostra idea di giustizia con una favola surreale, malinconica, fuori dal tempo e dallo spazio, di sapore al tempo stesso chapliniano e monicelliano.
Lo spettatore segue le vicende di due improbabili e ineffabili "amici-miei",  Armando (il nostro sempre più bravo Rocco Papaleo) uomo mite, ingenuo, malinconico appena uscito di galera dopo 27 anni per un’ingiusta condanna d’omicidio. Armando viene allontanato dalla sua stessa famiglia e neanche riconosciuto dalla madre vittima di un ictus e di un boy-friend russofono ancora peggiore.
Ormai rassegnato alla malinconica solitudine trova la compagnia  del cane vagabondo ribattezzato “Internazionale” e l’interessata pseudo-amicizia dell’avvocato Oscar (Un Sergio Castellitto che, lo confessiamo, finalmente ci è piaciuto), uomo misantropo, cinico, truffatore e  dedito solo ai suoi imbrogli lavorativi.
Due uomini completamente diversi e distanti che decidono di unire le forze per far riaprire il processo dell’ex galeotto, con la complicità dolce e la presenza fortemente femminile e delicata della bella barista Carmen (Valeria Bruni Tedeschi, che avevamo già apprezzato ne "Il Capitale Umano"). Armando desidera avere il riscatto morale, attraverso una sentenza d’innocenza e Oscar  invece brama di ottenere un cospicuo risarcimento e diventare ricco come se lo augura anche l’avida famiglia del protagonista.
Iniziano così le grottesche indagini della strana coppia per ricostruire la scena del crimine in quella maledetta sera dell’omicidio e cercare nuovi testimoni, come il messicano Nancho, perfetta figura di simpatico idiota.
Il film ha una scenografia molto particolare grazie anche una fotografia delicata e lieve, che permette allo spettatore d’entrare in un'ambientazione vintage molto accattivante, di sapore londinese o parigino.
L’onestà malinconica di Armando e l’avida furbizia di Oscar giocano al contrappunto, rappresentando in maniera ironica e garbata le debolezze contraddittorie e gli slanci pacati dell’italiano medio.
La sceneggiatura è semplice ma con apprezzabili guizzi creativi, rivelandosi ben scritta, scorrevole e fluida scandendo bene i tempi della storia con buon pathos narrativo.
La regia è sicuramente valida e degna di menzione: la pellicola ha una valenza surreale e grottesca senza mai eccedere che coinvolge ed emoziona lo spettatore con i suoi variopinti personaggi.
Castellitto e Papaleo si confermano attori di valore e  dotati di grande versatilità nell’interpretare personaggi diversi. Sono credibili nei rispettivi ruoli, riuscendo a darvi un’anima e una personalità e mostrando pregi e limiti dell’uomo. Lo spettatore ride e si commuove con loro.  Ci è garbata molto anche l’interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi: bella,  delicata,  tutta sussurri e sguardi,  adeguatamente di supporto ai protagonisti principali.
Il finale con la ricostruzione della sera dell'omicidio ci è apparso addirittura degno della migliore cinematografia in giallo, con tanto di colpo di scena e comparsa a sorpresa.
La boutade finale del finto incidente è la degna conclusione agro dolce, coerente con lo spirito del film.
La giustizia italiana  non sempre premia l’innocente onesto e le buche per strada oltre a rappresentare la cattiva manutenzione pubblica, possono essere buone occasioni per ottenere un risarcimento se hai il bravo Azzeccagarbugli.
Lo spettatore cerca di indovinare il contesto geografico dai dettagli estetici, sia naturali che architettonici, suggerito dalla bellissima sigla di testa tutta animata in stile pantera rosa anni '60, che merita da sola una particolare menzione.
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"O Fons Bandusiae" - Banzi, la cittadina che diventò un Monastero

Le origini di Banzi, sorprendentemente, risalgono a moltissimi anni fa, a circa l’VIII secolo a.C.. Banzi è uno dei paesi di tutta Italia ad avere origini così antiche. All’inizio si chiamava Bantia e, il primo popolo che abitò questo villaggio, furono gli Osci e i Sanniti. Erano popoli locali, originari della Basilicata e della Campania.
Bantia sorgeva non dove è l’odierna Banzi, ma un po’ più in basso, verso la zona “Monte-Lupino”. Gli Osci e i Sanniti si insediarono in questa zona della Basilicata perché c’era un grande bosco, quindi ottimo per la legna; c’era l’acqua, infatti il Banzullo scorreva molto vicino al paese. Bantia era un piccolo villaggio osco-sannito. Le case degli Osci e dei Sanniti erano delle semplici capanne fatte di legno e paglia, con, al centro, un braciere con il fuoco.
Nel V-IV secolo a.C. il villaggio di Bantia si ingrandisce e si costruiscono vasi, anfore, oggetti di vita quotidiana con stile dauno. I Dauni influirono molto sulle decorazioni degli oggetti quotidiani (queste foto sono state scattate nell’ex museo di Banzi). Molti furono i monumenti dedicati sia agli dei, che al popolo. Ricordiamo il templum auguraculum, un tempio, trovato nella zona Monte Lupino, formato da nove cippi che fuoriuscivano dal terreno e che rispecchiavano le nove divinità venerate dagli Osci e dai Sanniti. In base al volo degli uccelli un sacerdote poteva prevedere il futuro.
Dopo il periodo sia dauno che osco sannitico, Banzi fu influenzata dai Greci che sbarcarono nel Metapontino, a sud della Basilicata. Tutte le opere divennero figure nere su sfondo rosso.
Subito dopo questo periodo, Banzi fu invasa dai Romani (che avevano cominciato la loro espansione in tutta Italia). I Romani non saccheggiarono Bantia: cambiarono solo gli stili di vita e la legge. Già dal II secolo a.C. a Bantia ci sono molte domus romane (una è stata trovata negli scavi archologici). In cinque-sei secoli, Bantia divenne una cittadina romana. Negli scavi archologici realizzati nel 2004, si è trovato un mosaico romano di grande pregio.
Subito dopo il periodo romano, Bantia diventò un Monastero: Il monastero Santa Maria di Banzi.
Nel 798 d.C. il monastero benedettino di Banzi viene edificato sulla ex colonia romana. Una delle testimonianze della nascita del monastero era il diploma di Grimoaldo III. Il monastero è stato progettato come quello di Montecassino, anche se è molto più piccolo.
Nel 1000-1200, i Normanni lasciano al monastero di Banzi grandi ricchezze, come le bifore, archi ogivali.
Nel 1089 Papa Urbano II venne a Banzi sotto l'abate Ursone. In questa occasione fu aperta la porta Santa.
Nel 1300 il monastero si riduce in povertà e miseria a causa dell'invasione del Re ungherese Ludovico. Ma il monastero si riprende da questa breve decaduta, e si rende indipendente da Montecassino, diventando così il più importante monastero di Basilicata, Puglia e Calabria!
Nel 1536 il monastero passa dai benedettini agli Agostiniani. Il cardinale Barberini provvede con: molteplici arredi sacri, la riparazione di alcune fabbriche, un nuovo organo (strumento musicale), il magnifico soffitto della Chiesa tutto intagliato, lavorato ed ornato.
Nel 1665 il Cardinale Barberini scomunica gli Agostiniani perchè offrono riparo ai banditi.
Nel 1666 al posto degli Agostiniani vengono i Francescani e costruiscono un convento a Sud della Chiesa.
Nel 1688 si costruisce il campanile.
Nel 1755 viene ricostruito perchè colpito da un fulmine.
Nel 1725 i Padri Francescani costruiscono una nuova Chiesa, con il materiale della vecchia. La tecnica usata per costruirla è lo stile romano e barocco-roccocò
Nel 1858 succede un terremoto a Banzi e la chiesa subisce gravi danni, l'ingresso viene spostato sulla piazza, vengono rinforzati sia la Porta Grande che la palazzina. Con la nascita dello stato italiano i territori del monastero di Banzi sono andati prima allo Stato, e poi venduti ai cittadini privati.

Il Papa Urbano II a Banzi
Dopo la morte di Roberto il Guiscardo e papa Gregorio VII (1085) l’alleanza tra papato e Normanni diviene ancora più stretta. Papa Urbano II (1088-1099), che vuole incoraggiare la diffusione del rito latino con l’aiuto dell’ordine dei benedettini e limitare l’influenza del clero di rito greco, è a Banzi nel 1089, nell’Abbazia benedettina di Santa Maria. Lo accompagnano 32 vescovi ed è accolto dai due potenti eredi di Roberto il Guiscardo: i principi Ruggero Borsa e Boemondo. Naturalmente i 32 vescovi, provenienti da lontane diocesi, non sono arrivati tutti insieme nello stesso giorno dell’arrivo del Papa, né è pensabile che tutti i Conti normanni, con i loro ufficiali e le loro truppe, possano essere giunti contemporaneamente. L’arrivo è necessariamente graduale.
Cosa sono venuti a fare?
Sono venuti per discutere, concordare linee comuni, accordi diplomatici tra Chiesa e Principi. Proprio in quell’anno, si è alla vigilia del Concilio che si terrà a distanza di poche settimane, a settembre, a Melfi. Dopo i giorni dell’arrivo, durante i quali, il 24 agosto, Urbano II consacrerà la Chiesa Badiale a Santa Maria, seguono i giorni di discussione e, infine, quelli della partenza. Il tempo complessivo della permanenza si può ragionevolmente indicare tra due e le tre settimane. L’evento del corteo storico di Banzi vuole ricordare quegli anni e quella storia che ebbe il Papa della prima crociata, ospite per un paio di settimane del protocenobio dei benedettini in terra lucana.
Passarono gli anni e Roma, nata come un piccolo villaggio, si estese prima in Toscana, poi nel nord Italia. Nella Lucania (Basilicata) erano approdati anche i Dauni. I Dauni erano un’antica popolazione italica abitante nella parte della Puglia posta tra i fiumi Ofanto e Fortore. Di probabile origine greca o illirica, se ne conservano scarse notizie storiche; spesso le fonti antiche associano i dauni agli iapigi, dei quali erano forse una tribù, o anche ai messapi. Dai romani vennero accomunati agli altri abitanti dell’Apulia e definiti con il nome collettivo di apuli. Gli osci e i sanniti vennero influenzati prima dallo stile artistico dauno, e poi da quello greco. (fonte: http://banzinelmondo.it.gg/La-storia-di-Banzi.htm)
 

La Badia Benedettina di Santa Maria di Banzi, anticamente denominata “Santa Maria de Vanzo” era costituita da un complesso di edifici edificati su una preesistente fortezza longobarda che occupava l’area centrale dell’antico sito preromano di Bantia. Questo palazzo, indicato nei documenti dell’epoca, come il “Palazzo Grande” e dal quale si accedeva all’interno della Badia, conserva ancora, su un’artistica porta d’ingresso con arco a sesto acuto, lo stemma di famiglia di un principe e più sopra il monogramma dei monaci benedettini, costituito da una “b” innestata sulla croce.
Il palazzo è costituito da due piani, oltre il pianterreno, ai quali si accede attraverso una scala posta, oggi, sulla sua facciata, prospiciente il corso principale del paese. (fonte: "I tesori dell’Abbazia - Mostra di arte sacra dal XIII al XX secolo" - http://www.comune.banzi.pz.it/upload/Cartella%20stampa.pdf)

Invitiamo alla visione del suggestivo filmato:

Banzi (Pz) Chiesa di Santa Maria e chiostro ripresi con il Drone DRUGO MK1

http://www.youtube.com/watch?v=q_EzgQDPT9s

INTEL potrebbe acquistare MEDIATEK

La voce di un possibile acquisto di MediaTek da parte di Intel aveva fatto il giro del mondo con poca insistenza ma durante le ultime ore i rumors sembrano essere certi dell’ingente acquisto del colosso di Santa Clara. Doug Freeman avrebbe riportato alla luce questa notizia, sottolineando come questa possa essere anche l’unica possibilità di Intel per affermarsi sul mercato mobile.

MediaTek comanda il mercato asiatico con i propri prodotti e certamente affermarsi non sarà semplice dato che il mercato top-gamma sembra ormai essere una sfida a due tra Qualcomm e Nvidia.

Proprio per questo in Intel si sta pensando ad un simile investimento, almeno per poter comandare in un settore del mercato tra i più prolifici e tra i più richiesti. Secondo quanto riportato da Freeman, l’accordo potrebbe chiudersi nel giro dei prossimi due o tre anni con una spesa di circa 27 miliardi di dollari.

Ovviamente ci vorrà una cifra importante per poter acquistare il secondo produttore di processori al mondo, con ricavi in crescita dell’82%.

Non ci resta che attendere maggiori dettagli.

Fonte: http://www.androidiani.com/news/intel-potrebbe-acquistare-mediatek-216791

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