Decreto anti-terrorismo, privacy addio
Il decreto anti-terrorismo, varato lo scorso 10 febbraio, ad un mese esatto dagli attentati di Parigi, è in questi giorni in discussione alla Camera dei deputati, dove la Commissione ha approvato una novità che ha già suscitato innumerevoli critiche, in primis dal garante della privacy, Antonello Soro. Con una modifica all'articolo 266 bis del codice di procedura penale, il decreto autorizza gli organi investigativi sia ad utilizzare programmi spia per acquisire da remoto le comunicazioni ed i dati presenti nei dispositivi informatici e sia ad effettuare intercettazioni preventive sulle reti telematiche. Inoltre, consente al procuratore di conservare fino a 2 anni i dati relativi al traffico telematico, monitorato ed acquisito, ed alle chiamate intercettate.
Secondo il garante della privacy, le nuove misure introdotte nel decreto anti-terrorismo sono una stretta alle libertà fondamentali di ogni cittadino, generano uno squilibrio tra esigenze investigative finalizzate alla sicurezza collettiva e protezione dei dati, e sono conformi alla direttiva europea sulla data retention che, però, sottolinea Soro, è stata dichiarata non valida dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’8 Aprile 2014, per violazione del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra diritto alla protezione dei dati personali ed esigenze di pubblica sicurezza.
Una sentenza che evidentemente pare non sia stata presa in considerazione ed un equilibrio tra sicurezza e privacy che sembra sempre più un'utopia.
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