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Maria De Carlo

Maria De Carlo

LA DIRETTORA

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Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

Finché io vivo non sarà una donna a comandare”. Con queste parole Creonte ordinò la prigionia di Antigone. Il tiranno voleva dimostrare il suo totale potere sulla vita e sul corpo di quella giovane che egli riteneva ribelle per aver disubbidito a un suo ordine. Antigone compie un gesto di libertà e autonomia (darà sepoltura al fratello) e questo farà adirare Creonte. Una disubbidienza aggravata dal fatto che a compierla è una donna. Creonte dice: “Non sarei più io l’uomo, l’uomo sarebbe lei, se queste prepotenze restassero senza castigo”.

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La data, ufficializzata dall’Onu, fu scelta da un gruppo di donne nell’81 in ricordo delle tre sorelle Mirabel assassinate il 25 perché ritenute donne rivoluzionarie contro l’allora dittatore della Repubblica Dominicana. Dal 2005 in Italia con alcuni centri antiviolenza e Case delle donne si incominciò a celebrare la Giornata.

Di tiranni la storia ne ha avuti tanti e oggi questa tirannia si manifesta nel femminicidio che possiamo definirlo “un desiderio più o meno inconscio degli uomini di continuare ad affermare la propria superiorità con la prevaricazione punendo la donna che non sta al suo posto, distruggendone la personalità con la violenza fisica e psicologica”. Un rapporto proprietario e di possesso quello maschile,  parabola di una cultura e mentalità patriarcale nonché della negazione del riconoscimento delll’alterità, dell’altro quale espressione dell’essere nella creazione un “due” e non un “uno”.  Luce Irigaray ci spiega che la vera passione è amare volgendosi a qualcuno e non ridurre l’amata a specchio dei propri desideri. Più che dire “Ti amo” bisognerebbe dire – spiega Irigaray – “Io amo a te” e cioè l’altra non è l’oggetto. La donna amata va guardata con quell’”ammirazione che guarda ciò che guarda sempre una prima volta, e che non afferra mai l’altro come un proprio oggetto”.

Ma bisogna anche dire che l’attenzione andrebbe posta non tanto sulle donne vittime ma sui suoi carnefici. Di quegli infelici che hanno scambiato le donne reali con quelle che loro credono di amare e cioè un modello di femminilità da loro stessi costruiti. Un tipo di donna che risponde ai seguenti parametri: bellezza, arrendevolezza, bisogno di protezione, premura, calore materno, riserbo, etc….. E’ quanto Lucy Irigaray afferma rilevando quanto questo gioco sia tenuto in piedi dalle stesse donne: “La donna finisce, una volta di più, per inquadrarsi, incastrarsi, impalarsi in questa struttura architettonica più che mai potente. A volte lei stessa si compiace di domandarvi un riconoscimento di coscienza”. Inoltre questi uomini hanno bisogno di ri-trovarsi, di ri-pensarsi, di interrogarsi sul loro ruolo oggi.

E’ necessaria dunque una rivoluzione di pensiero. Ma già qualcosa sta accadendo. Lo dimostrano le numerose uccisioni. Il sangue indica questo cambiamento. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. La necessità di riflettere e di gettare i semi di un nuovo pensare a partire fin dalla tenera età è una sfida urgente.

UN SAGGIO DI FRANCO TRIFUOGGI PER OMAGGIARE ALBINO PIERRO NEL CENTENARIO DELLA NASCITA

Quest’anno nella calza della Befana ho trovato un regalo e una sorpresa che scarto con immenso piacere. Si tratta di una recente pubblicazione del letterato Franco Trifuoggi dal titolo: “Vitalismo e solarità nella poesia di Albino Pierro”. Un saggio che l’autore, nonché amico del vate oltre che studioso (nel 2011 Trifuoggi riceve dal Comune di Tursi la cittadinanza onoraria in riconoscimento dei suoi studi su Pierro) ha voluto regalarmi, e regalarci, nel centenario della nascita di Pierro (19 nov 1916). Il poeta tursitano è noto per essere stato candidato più volte al Nobel e la sua lirica è conosciuta in tutto il mondo, si pensi che le sue opere vengono tradotte in quaranta lingue –francese, inglese, spagnolo, portoghese, neogreco, svedese, rumeno, persiano, arabo, russo, cinese…, solo per citarne alcune.

Trifuoggi con questo saggio ha voluto rendere omaggio ad Albino Pierro, alla sua lirica che “canta non solo i luoghi e i riti del suo paese, i cari scomparsi, il tormento esistenziale –così come riportato nelle prime pagine- ma anche un indomito amore della vita, la speranza, lo splendore del sole e delle stelle, un sogno di fraternità universale, la fede religiosa e in particolare la devozione alla Madonna, l’amicizia, l’amore illuminato da bagliori stilnovistici, la tenerezza verso la donna, l’infanzia, gli umili, il palpito umano degli animali”. Ed è per questo che lo studioso di Marigliano ha sentito la responsabilità di voler rendere giustizia al poeta offrendoci una brillante lettura e commento della sua poetica… in tutta la sua interezza. Infatti da subito, nella premessa, Trifuoggi sottolinea l’esigenza della scelta del tema: “di non contestare la formula demartiniana “poeta delle funebri memorie” (…) bensì di dissipare la diffusa tentazione di assumerla come definizione caratterizzante della sua poesia o addirittura assolutizzante”.

Ad aprire le 36 pagine rivestite di giallo -una copertina dalla patina vellutata che racchiude nei colori il senso del titolo-, un’immagine di Albino Pierro solare, col suo immancabile sigaro, corredata da una breve biografia. Trifuoggi ci accompagna, passo passo, nella poetica pierriana. Il lettore sembra ricevere in dono dalle parole splendidi scenari fatti ora di luoghi, di suoni, di immagini, di sensazioni ed emozioni che Pierro evoca nelle sue liriche. Si resta stupiti ed estasiati e si cerca di catturare, o quantomeno di partecipare attraverso i versi che abilmente Franco Trifuoggi propone, all’anelito profondo di una vita piena e vitale e al suo mistero…. Aspetti che l’autore certosinamente riporta di volta in volta attraverso un’analisi attenta. Per fare un esempio, nella silloge “Mia madre passava” (silloge in lingua del 1955), si sottolinea la presenza dei seguenti vettori lirici: “un indomito vitalismo, le visioni paesaggistiche con lo splendore del sole e i notturni lunari, l’amicizia, il palpito umano delle bestie, la fede religiosa, il sorriso della figlia”… Come pure riporto un esempio di lirica in dialetto: “E ll’occhie ti scintìllete” dove si descrive l’esaltazione “dello sfolgorio del sole come del sorriso, metafore della vita che si afferma come luce e bene contro ogni tenebra di male e di dolore”…e così via. Non c’è, insomma, nelle liriche di Pierro “un pessimismo disperato”, come sottolinea a più riprese Trifuoggi nel riportare i versi ispirati del vate sia nelle sillogi in lingua che in dialetto. E queste ultime poi, in particolare, offrono, come spiega l’autore, “una più ricca e probante possibilità di esemplificazione”.

Il saggio di Trifuoggi, attraverso la pluralità di esempi di “indomito slancio vitale e di fascinosa ebbrezza di luce” (rubo l’espressione all’autore), va ad arricchire un suo “corredo” operistico di grande spessore sul poeta tursitano: “Candore e devozione in Albino Pierro”; “Lettura della lirica tursitana di Albino Pierro” (opera finalista del Premio “Città di Gioi”; “Motivi mariani in tre poeti lucani: Rachele Padula Zaza, Rocco Campese e Albino Pierro”; “Poesia e fede in Albino Pierro”.

a sinistra: Franco Trifuoggi

TRIBU' LUCANE PALADINI DELLE TRADIZIONI

“E’ dedicato alle donne perché sono il centro del mondo, sono loro che creano grandi uomini”. Così Graziano Accinni (noto a tutti come il “chitarrista di Mango” oltre alle collaborazioni con Mina, Dalla etc.) spiega la musa ispiratrice del progetto (e dell’omonimo gruppo) Tribù Lucane, sorto dalla ceneri degli Etnos.

Lo abbiamo incontrato dietro le quinte al termine del concerto-spettacolo (circa due ore) lunedì 5 u.s. al Teatro Stabile di Potenza nell’ambito del programma Trend 3.0 Winter. Il neo gruppo (Graziano Accinni, Silvio De Filippi, Giuseppe Forastiero (voce) Giuseppe De Lio, Luigi Gaetani) ha incantato la platea “scelta” (tra i presenti anche il Sindaco Dario De Luca) ed ha emozionato e coinvolto con i testi e le musiche della tradizione lucana e mediterranea. Tra i brani proposti un loro successo già noto ai più: “Gatta mammona” (di Infantino-Moscati).

Grande professionalità e “bellezza” musicale dunque, per “divulgare alle nuove generazioni le antiche melodie e le tradizioni lucane” -come ha commentato la voce del gruppo, Giuseppe Forastiero. Un’occasione di particolare visibilità si avrà la notte del 31 nell’ambito del grande Concerto di Capodanno in piazza Mario Pagano a Potenza. Ne è fiero il loro manager e amico Mario Bellitti che è già in attivo per una prossima stagione concertistica -feste di piazza in Basilicata e anche “oltre i confini”, per condividere col pubblico i ritmi incalzanti di una musica che prende fin dalle viscere.

Tribù Lucane recupera e propone testi originali (in parte dalla Val d’Agri) scovati negli archivi privati e pubblici. Ci sono brani arcaici e testi con melodie originali ma brani anche rivisitati in chiave moderna con l’ausilio di strumenti elettronici  e testi musicati ex novo che portano sempre “il timbro” di Graziano Accinni. E sono testi e musiche dell’antica Lucania, con tutte le sue influenze e contaminazioni culturali, che abbracciano anche la Campania, la Puglia e la Calabria. “Sono le storie – dice Accinni – che narrano la vita quotidiana, le devozioni, la cultura ma anche fatti storici eclatanti dell’epoca”.

E per il nuovo anno alcune novità. L’uscita del live registrato nei mesi scorsi e (probabilmente) due coriste all’interno del gruppo.

Tutto il successo che si meritano dunque ai componenti di Tribù Lucane con un particolare “ringraziamento”: per la loro professionalità e bravura messa a servizio delle radici lucane e delle tradizioni che non devono cadere nell’oblio, per il recupero di quel “mondo” che aiuta le nuove generazioni a “ri-comprendersi” attraverso la storia dei propri antenati.

COL SANGUE IL RISCATTO DELL'ALTERITA'

“Finché io vivo non sarà una donna a comandare”. Con queste parole Creonte ordinò la prigionia di Antigone. Il tiranno voleva dimostrare il suo totale potere sulla vita e sul corpo di quella giovane che egli riteneva ribelle per aver disubbidito a un suo ordine. Antigone compie un gesto di libertà e autonomia (darà sepoltura al fratello) e questo farà adirare Creonte. Una disubbidienza aggravata dal fatto che a compierla è una donna. Creonte dice: “Non sarei più io l’uomo, l’uomo sarebbe lei, se queste prepotenze restassero senza castigo”.

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La data, ufficializzata dall’Onu, fu scelta da un gruppo di donne nell’81 in ricordo delle tre sorelle Mirabel assassinate il 25 perché ritenute donne rivoluzionarie contro l’allora dittatore della Repubblica Dominicana. Dal 2005 in Italia con alcuni centri antiviolenza e Case delle donne si incominciò a celebrare la Giornata.

Di tiranni la storia ne ha avuti tanti e oggi questa tirannia si manifesta nel femminicidio che possiamo definirlo “un desiderio più o meno inconscio degli uomini di continuare ad affermare la propria superiorità con la prevaricazione punendo la donna che non sta al suo posto, distruggendone la personalità con la violenza fisica e psicologica”. Un rapporto proprietario e di possesso quello maschile,  parabola di una cultura e mentalità patriarcale nonché della negazione del riconoscimento delll’alterità, dell’altro quale espressione dell’essere nella creazione un “due” e non un “uno”.  Luce Irigaray ci spiega che la vera passione è amare volgendosi a qualcuno e non ridurre l’amata a specchio dei propri desideri. Più che dire “Ti amo” bisognerebbe dire – spiega Irigaray – “Io amo a te” e cioè l’altra non è l’oggetto. La donna amata va guardata con quell’”ammirazione che guarda ciò che guarda sempre una prima volta, e che non afferra mai l’altro come un proprio oggetto”.

Ma bisogna anche dire che l’attenzione andrebbe posta non tanto sulle donne vittime ma sui suoi carnefici. Di quegli infelici che hanno scambiato le donne reali con quelle che loro credono di amare e cioè un modello di femminilità da loro stessi costruiti. Un tipo di donna che risponde ai seguenti parametri: bellezza, arrendevolezza, bisogno di protezione, premura, calore materno, riserbo, etc….. E’ quanto Lucy Irigaray afferma rilevando quanto questo gioco sia tenuto in piedi dalle stesse donne: “La donna finisce, una volta di più, per inquadrarsi, incastrarsi, impalarsi in questa struttura architettonica più che mai potente. A volte lei stessa si compiace di domandarvi un riconoscimento di coscienza”. Inoltre questi uomini hanno bisogno di ri-trovarsi, di ri-pensarsi, di interrogarsi sul loro ruolo oggi.

E’ necessaria dunque una rivoluzione di pensiero. Ma già qualcosa sta accadendo. Lo dimostrano le numerose uccisioni. Il sangue indica questo cambiamento. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. La necessità di riflettere e di gettare i semi di un nuovo pensare a partire fin dalla tenera età è una sfida urgente.

2 novembre 1975 -Ricordando Pier Paolo Pasolini: Solo con la cultura è possibile la felicità!

Nell'anniversario della sua morte (2 novembre 1975) voglio rievocare il poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista: Pier Paolo Pasolini.

Che ne abbiamo fatto del suo messaggio? Del suo essere critico perché attento lettore della realtà e perciò anche profetico? Nel luogo per eccellenza della formazione, qual è la Scuola, che risalto gli abbiamo dato? Su tutto il territorio nazionale numerose sono le istituzioni scolastiche che portano il suo nome, e anche noi in Basilicata ne abbiamo una: il il liceo scientifico Pier Paolo Pasolini di Potenza.

Noi lucani dovremmo essere particolarmente fieri di questo "artista" anche perché scelse per Il Vangelo secondo Matteo i luoghi della Basilicata: Barile, Lagopesole e Matera.  

Ma la questione è che i nostri studenti non ne conoscono la sua arte, il suo pensiero ....-almeno per i canali scolastici!  

Il suo messaggio è stato ed è tuttora provocatorio e attuale per le nostre giovani generazioni. Ma anche per noi educatori, su quanto possiamo fare nell’accompagnare le giovani generazioni nella loro formazione e crescita umana sapendo che la cultura è l’unica sfida e autentica via per costruire personalità sane in vista di una società pacifica.

Alcune sfide che trovo in Pasolini, e che condivido con voi: 

1.La sfida dell’educare…anche alla luce della “Buona scuola”

La scuola è il luogo dove affidiamo i nostri figli e dove questi devono sentirsi accolti in una comunità includente – che non sostituisce la famiglia – ma che è sua alleata. Cosa possono e devono fare i docenti? Cito Pasolini: “Il lavoro del maestro è come quello della massaia, bisogna ogni mattina ricominciare da capo (…) Lascio la sera i ragazzi in piena fase di ordine e volontà di sapere – partecipi, infervorati – e li trovo il giorno dopo ricaduti nella freddezza e nell’indifferenza (…) Bisogna tener conto in concreto delle contraddizioni, dell’irrazionale e del puro vivente che è in noi (…) Può educare solo chi sa cosa significa amare” (in Romans ).

E in questa prospettiva pedagogica (data anche dall’esperienza del Pasolini insegnante) il docente e la scuola tutta deve creare le condizioni affinché l’alunno – soprattutto chi vive un particolare disagio – deve sentirsi accolto per quello che egli é…. E sull’unicità vocazionale di ogni alunno, Pasolini ha in un certo qual modo anticipato quelle che sono le nuove indicazioni della scuola:, un percorso individualizzato che getta le basi per un nuovo modo di fare scuola aiutando l’alunno a scoprire “qual è la sua vocazione più autentica e farla diventare una passione fine a se stessa”…proprio secondo quell’anticonformismo pasoliniano.

2.La sfida dei valori

I nostri figli li possiamo definire “vittime” (e noi con loro) di una società consumistica fortemente criticata da Pasolini, che ci tratta come merce. Oggi quella critica sembra risuonare fortemente: un “edonismo consumistico – sono le parole di Pasolini - diffuso e incoraggiato nella società dai mass-media, dalla pubblicità, dai rapporti competitivi interpersonali. L’edonismo travolge e sostituisce ogni altro valore del passato…”. Per Pasolini è la televisione che “intontisce” le menti…allettandoli con programmi stupidi….e rende “i giovani nevrotici, infelici e appunto criminali…”. Pasolini sul Corriere della Sera nel 1975 scrive: “E’ stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l’era della pietà, e iniziato l’era dell’edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore)”.

Anche Popper anni dopo parlerà della televisione in termini di “cattiva maestra” per la violenza vista nei vari programmi che influenza i comportamenti dei giovani e dei bambini. Oggi alla TV potremmo aggiungere il mondo della rete in generale. Senza voler fare demonizzazioni, resta comunque il fatto che le statistiche di questi giorni ci dicono di una permanenza esagerata da parte dei ragazzi davanti la TV…. con tutte le conseguenze del caso -dall’obesità infantile alla perdita della creatività e fantasia…oltre all’emulazione di comportamenti violenti…così come ci spiegano gli esperti.

 3.La sfida dell’onestà intellettuale

La scuola deve educare a saper dire la verità, ad essere uomini liberi, insegnare a sviluppare la capacità critica, a non lasciarsi intrappolare in ideologie…di qualsivoglia natura. Pasolini ci insegna che attraverso l’esercizio della libertà e della capacità critica è possibile avere degli ideali, e solo così si possono sconfiggere, allora come oggi, atti vandalici e di criminalità o di violenze piccole e grandi da parte dei giovani. La Buona scuola favorisce e promuove questo percorso di continua ricerca che attiva la curiosità e aiuta a sviluppare il senso critico da parte degli alunni.

 4.La sfida ad una partecipazione attiva-reale a tutto ciò che ci circonda

Un rischio per le nostre giovani generazioni è quella dell’alienazione dalla realtà. Pasolini era innamorato della vita ed era presente alla sua storia, dice di se stesso “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace…” (nell’art. Io so sul Corriere della sera del 14 novembre 1974).

Ma c’è una strada che può aiutare i nostri studenti a recuperare e potenziare una maggiore consapevolezza del proprio sé e dell’ambiente in cui vivono, e questa strada è la poesia. Pasolini poeta ci insegna tutto ciò perché la poesia ci rende presenti, educa a saper guardare e dialogare con se stessi e con la realtà…

 5.Infine la sfida per eccellenza, che sintetizza tutte le altre: la sfida della cultura.

La cultura “salva” le comunità. La storia ce lo insegna! Pensiamo –ahimé- alla cronaca degli ultimi tempi e agli appelli da parte del presidente Mattarella e di tutto il mondo intellettuale a promuovere la via della cultura per sconfiggere la violenza.

Pasolini diceva a una ragazza: “Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura”.

Le armi della cultura combattono ogni fanatismo, educano alla meraviglia e alla bellezza. E Pasolini aggiunge che solo con la cultura è possibile la felicità, così come insegna all’immaginario giovane partenopeo, Gennariello.

La cultura salva le comunità e le singole vite che altrimenti rischierebbero di svuotarsi e di attingere alla fabbrica della morte. Pasolini diceva che “la droga viene a riempire un vuoto causato dal desiderio di morte e che è dunque un vuoto di cultura”, un vuoto esistenziale, una “paura del futuro”.

Chiudo con le parole di Enzo Biagi che così definiva Pasolini: “un grande poeta, un grande artista che si batteva per rendere questo mondo più giusto, più libero, più aperto…”. E questo vuol essere anche un invito per tutti noi!             

              

   

Un saluto al dottor Francesco Pasquariello: fedele al giuramento di Ippocrate

Bisognava proprio fare quella puntura. Ma io, come tutti i bambini paurosi dell’ago, saltavo sul letto e mi dimenavo mentre mia madre tentava di rassicurarmi perché l’avrebbe fatta il Dottor Pasquariello …. Arrivò con la sua borsa, e con un grande sorriso e dolcezza mi rassicurò… “tac…” puntura fatta e non me accorsi! “E’ un dottore davvero speciale”, pensai. E infatti il dottor Francesco Pasquariello è stato una persona amata da tutti perché davvero speciale! Di lui ci si poteva fidare sul serio! Discreto, di poche parole e con una grande passione per il proprio lavoro!!!

E così come è approdato nella comunità di Ruoti, servendola silenziosamente e amorevolmente, oggi 31 agosto, è andato via con la stessa discrezione e riservatezza….

Era arrivato in Basilicata intorno agli anni Sessanta. Veniva dalla Campania. Era un giovane dottore carico di entusiasmo per la sua professione.

Un “dottore vero”, diceva la gente che lo salutava con ammirazione. Il dottor Pasquariello mi ha vista nascere e crescere. Posso testimoniare, e con me in tanti, che lui è stato veramente un uomo fedele al giuramento di Ippocrate: “…Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte…(…) Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili (...)”. Due passaggi incarnati nel suo stile professionale e di vita.

Lo intuirono subito gli abitanti del posto. Tutti i suoi pazienti lo ricordano infatti come persona di fiducia, di grande generosità e disponibilità. Sempre pronta!!!

E oggi, che non sono più una bambina, posso dire con piena convinzione che in lui si è compiuto quanto si legge nella conclusione del giuramento di Ippocrate: “E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre…”.

E così è stato: Onorato e amato da tutti coloro che lo hanno conosciuto. Un uomo fedele alla professione, fino in fondo. Un modello e un testimone! Un uomo di fede. Un uomo carico di rispetto.

Grazie dottore per il buon esempio e per la testimonianza di una vita a servizio degli altri. Grazie perché in silenzio hai insegnato che fare bene il proprio lavoro è segno di autentica grandezza e di vera santità.

Avrei voluto dirti queste cose di persona… ma non ho fatto in tempo. Sorella morte mi ha preceduta.

Buon viaggio dottore!

Portatori di pace...nonostante tutto

Di fronte alla distruzione dell'uomo non ci sono parole. Solo un balbettio il mio:

Sembra che un piano malvagio si voglia impossessare dell'intera umanità. C'è un ordinario che vede singoli cittadini alla prese con le pre-occupazioni della vita quotidiana, con tutte le fatiche per arrivare a fine giornata. C'è un mondo dell'infanzia desideroso di vivere nella gioia con le proprie famiglie. Ci sono adolescenti che sognano un futuro carico di soddisfazioni e realizzazioni.... Ci sono coloro che combattono con le difficoltà economiche, di salute, di lavoro, di relazioni.... E poi ci sono loro. I grandi potenti della terra. Coloro che organizzano la vita sociale a livello mondiale...

Il male ha mille maschere.... L'uomo deve fare i conti con il male fin dai tempi della culla...cammina con il bene lungo tutta la sua esistenza....

La storia è una grande maestra....ci insegna che le motivazioni ideologiche, religiose e/o politiche sono solo uno scudo, una parvenza... La verità chi la conosce? C'è una verità non nota?  La storia ci insegna di pseudo battaglie, di falsi nemici costruiti ad hoc per scopi e obiettivi ben precisi.... La cronaca di questi giorni ha sottolineato una possibile situazione di "commedia"...ma a quale prezzo? La tragedia di vittime innocenti.

Quale futuro ci attende? Non possiamo visitare la nostra casa (l'Italia) senza subire il controllo di militari armati...(controllo necessario aihmé)...

Stiamo vivendo in uno stato di paura, di tensione, di orrore per lo straniero!

Dobbiamo sperare in strategie illuminate da parte di chi ci governa...noi dobbiamo puntare all'ordinarietà...per divenire costruttori e portatori del bello, del buono...dobbiamo rafforzare la nostra identità ispirata alla libertà, alla pari dignità, alla sacralità di ogni singolo individuo!

La storia si ripete...niente di nuovo sotto il sole!! Ciò che è stato è e ciò che è sarà! E' quanto si legge nel libro del Qoelet....è quanto si legge nei manuali di storia... 

Abbiamo una grande responsabilità, ciascuno di noi ha una grande responsabilità: divenire portatore di una cultura della pace!

 

 

 

1 giugno: un ricordo di padre Carmelo Pace a 10 anni dalla sua morte

E’ morto il 1 giugno di dieci anni fa padre Carmelo Maria Pace (per tutti padre Carmelo), frate conventuale che viveva (fin dagli anni settanta) ad Avigliano (diocesi di Potenza). Padre Carmelo lo ricordiamo come frate gioioso e sempre cordiale, pronto a stringere la mano ai passanti….da frate francescano amava percorrere le strade a piedi per un saluto di “pace e bene” a tutti….Ma lo vogliamo ricordare anche per le sue omelie (che non duravano più di 6 minuti): “La predica deve arrivare dritta al cuore e alla mente. Poche parole da dire, quelle che il Signore con la sua Parola ci trasmette” –così ripeteva spesso e in effetti le sue “prediche” erano davvero molto incisive. Linguaggio chiaro e profondo capace di legare il messaggio di Dio alla vita quotidiana. Ricordo che le Messe delle grandi feste (Natale, Epifania, Pasqua) erano sempre gremite di fedeli. La Messa iniziava puntuale alle 9 con un canto “a cappella” a cura del coro degli adulti e poi tutto proseguiva in un clima di grande spiritualità. Alle 9.30 (9.35) la Messa terminava. Padre Carmelo si intratteneva per salutare i fedeli…e ci scappava anche un caffè al bar….

Sono passati 10 anni dalla sua morte eppure il ricordo è ancora tanto vivo… Da don Claudio Mancusi (cappellano militare), che da padre Carmelo è stato seguito nel suo cammino vocazionale, ricaviamo una breve sintesi del suo percorso: Nato ad Avigliano l’11 novembre del 1925 aveva seguito la vocazione religiosa nei frati francescani dei Conventuali. Frequenta il ginnasio a Ravello e a Lecce mentre per gli studi liceali e teologici va a Napoli. Qui professa. A Potenza viene ordinato sacerdote dal vescovo Augusto Bertazzoni il 25 luglio del 1952. Da Portici poi diventa parroco di Castrovillari (Cs). Un frate attento sempre ai giovani, alla catechesi, alla cura delle anime… Di lui si ricorda anche l’udienza da Pio XII e di come stupì tutti per un quadro plastico della catechesi con i suoi giovani. Ma ancora, per la sua profondità culturale fu attento promotore di simposi filosofico-teologici nel teatro “Vittoria” di Castrovillari. Arrivò in Basilicata a Melfi (parroco di san Lorenzo) per proseguire poi verso il capoluogo come docente di Religione e successivamente ad Avigliano. Stimato dai confratelli e dall’allora vescovo Aurelio Sorrentino.

Padre Carmelo, sulla scia del poverello d’Assisi, ha saputo valorizzare l’umano e il profondamente religioso in ciascun uomo. Questo il suo ricordo che diventa una testimonianza sempre attuale e viva.

VENERAZIONE DEL PATRONO SAN GERARDO E POLITICA DEL BENE COMUNE

C’è sempre tanto fermento intorno alla festività del Patrono del capoluogo potentino, san Gerardo Della Porta che fu vescovo della città dal 1111 al 1119.

Tante le positività di una tradizione che col passare degli anni sembra rafforzarsi sempre di più. Sicuramente il fattore economico e lo “svago sociale” costituiscono una spinta  determinante ma non bisogna sottovalutare quella fede –per alcuni timida- che anima l’intera manifestazione.

Storia, fede, società, politica (in termini di gestione della comunità) costituiscono un unico amplesso dell’espressione vitale di un popolo che si afferma in tutta la sua pienezza.   

Il rischio che bisogna debellare ci viene suggerito da papa Francesco (in Evangelii gaudium) e cioè “di rinchiudersi entro forme «disincarnate», che affondano soltanto nelle profondità dell’io umano o si perdono e sbiadiscono in una trascendenza vuota, che è «niente», dimenticando con ciò che il mistero divino è intimamente connesso con il mistero umano e con il suo contesto sociale”.

Mai come adesso (forse) il Comune di Potenza ha bisogno di ripartire e riappropriarsi della testimonianza del suo Patrono. La storia ci ricorda che Gerardo da Piacenza era sceso nel meridione quasi sicuramente per recarsi alla volta dei luoghi santi. Cosa accadde?

Di fronte al bisogno, a un popolo segnato dalla sofferenza e dallo scoraggiamento, a giovani lasciati a se stessi, Gerardo si rimboccò le maniche e cominciò a svolgere opera di apostolato. Dalla conoscenza e istruzione del popolo all’organizzazione e spinta a una vita attiva della popolazione.

Svolse dunque un’opera di rinascita e di recupero della città, la fece rifiorire. A ragione, secondo la tradizione, Gerardo fu “bloccato” e proclamato vescovo. E solo dopo cinque anni dalla morte, Papa Callisto II lo proclamò santo viva voce, una venerazione quasi scontata del popolo verso “san Gerard’ protettor d’ Putenza general’….”.

Il 30 maggio, giorno della traslazione delle sue reliquie, è preceduto dalla “Sfilata dei turchi” e cioè dal ricordo del miracolo (secondo la leggenda) della sconfitta dei turchi dovuta alla fama del santo che si era diffusa a tal punto da far “fuggire” e perciò sconfiggere l’invasione turca che in quegli anni infestava le zone del meridione (si pensi al grido: "mamma li turchi!") ed erano arrivati nel vicino cilento.

C’è poi un altro appuntamento ed è quello del pranzo dei portatori del santo -da alcuni criticato per l’uso eccessivo di vino bevuto ma soprattutto “spruzzato” in una danza quasi dionisiaca. Eppure anche questo appuntamento rinvia al santo e ai suoi miracoli. Si narra infatti che “Gerardo tornando nella città di Potenza dopo un viaggio, seguito da una grande folla di potentini, preti e frati tramutò col solo segno della croce l'acqua di una fonte in vino per placare la sete che affliggeva il suo seguito”.

L’augurio che vogliamo fare a tutti è di festeggiare con gioia il Patrono attraverso un recupero delle relazioni sociali e di momenti di convivialità ma soprattutto ai rappresentanti delle Istituzioni vogliamo ricordare di riflettere sulla figura di un “piccolo” uomo “straniero” che ha amato questo territorio come sua casa natale tanto da beneficiare l’intera società dell’epoca con percorsi di crescita autentica….Gerardo riuscì ad essere amministratore di bene comune. E così sia anche per noi!   

La donna felice rende l'umanità felice

“Se noi uomini fossimo più intelligenti di quanto siamo, ci saremmo preoccupati sempre che le donne fossero più felici di quanto sono, poiché questa è la condizione primaria della felicità nel mondo. Nella misura in cui le donne non sono felici, non esiste felicità; e, naturalmente, non la può ottenere l’uomo”. Una dichiarazione, oserei dire illuminata, di Julian Marìas, allievo di Ortega.

La sua è un’attenta analisi sulla donna e sulla sua felicità, conditio sine qua non per la felicità di chi le sta accanto. L’uomo non si pone questa domanda, non si chiede se la donna che le sta accanto è felice oppure no, non guarda attentamente il suo volto, i suoi gesti, non si chiede se è contenta o insoddisfatta. Deve essere più attento sapendo che la donna per sua struttura è “misteriosa”, tende alla segretezza cioè, spiega Marìas, la donna nasconde il suo malcontento. E questo suo nascondere l’insoddisfazione influisce e “mette in pericolo la felicità”.

Per Marìas la donna è felice “quando si sente compresa, stimata, ammirata e, soprattutto, amata”. Solo la comprensione ci aiuta ad accettare anche le cose più difficili o negative. Ma la donna “tende ad accontentarsi – spiega Marìas – di ciò che non la soddisfa”. Ed è proprio della donna la capacità di avere una maggiore fortezza rispetto alle avversità e alla disgrazie. Una fortezza che le viene dall’interesse per la vita che permane (a differenza dell’uomo che è più interessato agli avvenimenti, alle notizie, alle informazioni).

Bontà, generosità, ospitalità sono le caratteristiche peculiari della donna. Generosità costitutiva, “causa di innumerevoli tribolazioni, di dispiaceri, di irritazioni, ma soprattutto fonte di felicità”.  E’ qui che risiede il vero fascino, puntualizza Marìas, non per quello che possiede, che fa o che le accade, ma per quello che è, in quanto donna.

Ma la storia e la società sono state ingrate con la donna non permettendole di realizzare i propri desideri e né addirittura poterli definire.

La festa dell’8 Marzo deve rappresentare, sia per le donne che per i maschi, un’opportunità per prendere coscienza di ciò che si è nella differenza  ma in vista di una relazione complementare che porti alla felicità del singolo e in esso dell’intera comunità.

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