Log in
A+ A A-
Michele Passarella

Michele Passarella

URL del sito web:

Narcisismo e personalità

Nel luglio del 1890 l'Inghilterra vittoriana venne scossa da furiose polemiche nei riguardi di un autore, Oscar Wilde, per via della pubblicazione di quello che ancora oggi è considerato un capolavoro della letteratura mondiale: "Il ritratto di Dorian Gray". Molti contemporanei videro in quel romanzo un'affermazione della supremazia dell'artista sulle leggi morali, la falsità di ogni credo, la necessità di ricercare tutto ciò che vi è al mondo di bello, raro ed intenso. Oscar Wilde probabilmente diede voce ad una nuova concezione dell'uomo che in quell'epoca si stava manifestando, riportando in primo piano un concetto presente ed ampiamente divulgato nella cultura ellenistica classica ovvero il narcisismo. Il termine narcisismo deriva, come ben noto, dal mito di Narciso, un giovane innamorato della propria immagine fino a consumarsi e trasformarsi in un fiore, il Narciso appunto. Questo termine fu presto introdotto prima in Sessuologia e successivamente in Psichiatria per indicare la tendenza di alcune persone ad ignorare pensieri ed emozioni altrui e la ricerca esclusiva del soddisfacimento dei propri bisogni. Successivamente questo concetto è stato approfondito in Psicoanalisi divenendo un concetto cardine di molte concettualizzazioni e teorie finendo, come molti altri concetti approfonditi dalla Psicoanalisi, a generare semplificazioni e confusioni in quanto il termine fu utilizzato  per indicare indistintamente aspetti relativi fasi di sviluppo, disturbi psichici e comportamenti considerati "normali" dagli autori. In sintesi possiamo considerare il narcisismo  come la tendenza ed atteggiamento psicologico di chi fa di sé stesso il centro esclusivo e preminente del proprio interesse restando più o meno indifferente agli altri. In ottica evoluzionistica il narcisismo ha una sua funzione e nello specifico quello di preservare la propria integrità al fine della conservazione della specie. Il termine è in parte sovrapponibile a quello di egocentrismo anche se quest'ultimo oggi è meno utilizzato nella letteratura professionale. Se agli inizi del '900 con il narcisismo si indicava un atteggiamento sostanzialmente negativo e tendenzialmente patologico, il dibattito e la ricerca in Psicologia ha indotto gli Psicologi a considerare il narcisismo come un tratto di personalità e dunque una componente rintracciabile in tutti gli individui; per tratto di personalità si intende un modo di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti di se stessi che si manifesta in un ampio spettro di contesti sociali e personali sostanzialmente stabili nel tempo. La personalità umana è l'insieme di una moltitudine complessa di tratti sviluppati nel corso dell'età evolutiva; il tratto di personalità narcisistico dunque si integra con altri tratti di personalità amplificando o mitigando alcuni aspetti del narcisismo in base al percorso evolutivo individuale, proprio come accade per ogni singolo tratto.  Come noto, quando un tratto di personalità diviene eccessivamente rigido e pervasivo, inducendo l'individuo ad emettere comportamenti lesivi nei confronti di se stesso o di altri, si parla di disturbo di personalità. E' utile ricordare che la più recente classificazione psichiatrica ha eliminato dalla propria tassonomia il disturbo di personalità narcisistico generando nei professionisti del settore molte perplessità anche per via del coinvolgimento di questo disturbo in molte azioni criminali e lesive nei confronti di terze persone.

Dr Michele Passarella

Stress da lavoro e sindrome del Burn Out

Indipendentemente dal fatto che si svolga un lavoro ambito e che si ha avuto la fortuna di scegliere oppure che ci si è dovuti adattare ad una posizione lavorativa non particolarmente gradita, è alquanto frequente avere giorni nella quale lavorare rappresenta un onere molto elevato oppure che si inizi la giornata lavorativa già privi di energie fisiche o mentali. Il lavoro è per tutti motivo di stress psicofisico alla quale dobbiamo far fronte mettendo in atto strategie di coping individuali e soggettive, più o meno condivise anche dagli altri. Verso la metà degli anni '70 del ventesimo secolo, molti Psicologi cominciarono ad essere consultati da persone le quali manifestavano delle vere e proprie sintomatologie sia psichiche che somatiche attribuite dai professionisti in questione al lavoro svolto: si trattava principalmente di Medici, Infermieri, Insegnanti nonché gli Psicologi stessi tutti accomunati da un carico di lavoro elevato e stressante derivante principalmente dalle problematiche affrontate con i propri utenti. Si cominciò dunque a parlare di sindrome del Burn Out e sopratutto ad associarla alle così dette professioni di aiuto. Una volta individuata questa nuova problematica, gli Psicologi hanno potuto avviare molte ricerche al fine di concettualizzare al meglio questo fenomeno e di poter trovare strategie per farvi fronte nel modo più funzionale; oggi ad esempio sappiamo che se le cosi dette professioni d'aiuto sono maggiormente esposte, questa sindrome è riscontrabile praticamente in ogni ambito lavorativo.  In estrema sintesi la sindrome del Burn Out si manifesta con una perdita di interesse per il proprio lavoro con pensieri negativi ad essi correlati quali senso di inutilità, depersonalizzazione, abbassamento della propria stima di sé e dei colleghi; pensieri ed emozioni particolarmente negativi possono indurre dei veri e propri sintomi sia comportamentali, quali ritiro sociale, disturbi del sonno e dell'alimentazioni, tabagismo che sintomi fisici quali disturbi gastrointestinali, cefalee od altri disturbi somatici. Una persona afflitta dalla sindrome del Burn Out tende ad avere una scarsa qualità di vita e problemi vari di salute i quali a loro volta influiranno, tra le altre cose, sul lavoro stesso generando uno dei più classici circoli viziosi; a questo si aggiunge che  la difficoltà a relazionarsi con i colleghi ed i possibili disturbi fisici possono indurre assenze frequenti che nel medio e lungo tempo espongono il lavoratore a procedimenti disciplinari compreso il licenziamento. Agli Psicologi oltre alla manifestazione emotivo-cognitivo e comportamentale interessa in misura maggiore comprendere le cause che avviano lo sviluppo di questa sindrome. Tra le cause soggettive del Burn Out troviamo specifici tratti di personalità predisponenti, aspettative professionali particolarmente elevate alla quale si aggiungono situazioni stressanti di natura extra lavorativa. A queste cause soggettive si affiancano quelle definite oggettive e che riguardano gli aspetti specifici del lavoro svolto, le mansioni svolte e le responsabilità ad esse correlate, i rapporti con i colleghi, superiori ed all'eventuale utenza. Come si deduce da questo breve elenco lo sviluppo del Burn Out deriva dall'intreccio di variabili personali e lavorative alquanto complesso e che rende ovviamente complesso anche il possibile intervento terapeutico. A differenza di un comune stress lavorativo alla quale è possibile far fronte in vario modo ed in maniera soggettiva, una persona afflitta dalla sindrome del Burn Out necessita di un intervento terapeutico specifico e dunque rivolgersi ad uno Psicoterapeuta. I trattamenti psicoterapeutici si dimostrano alquanto efficaci nell'indurre nella persona un cambiamento emotivo e cognitivo atto ad aumentare la qualità di vita e ridurre i pensieri disfunzionali correlati al lavoro. Quando i sintomi fisici e psichici sono particolarmente pervasivi è opportuno affiancare alla psicoterapia un supporto farmacologico sotto prescrizione e monitoraggio di un Medico specialista.

Dr Michele Passarella

Il Problem Solving

A differenza dell'Italia dove in maniera errata ma anche riduttiva e piuttosto banale persiste la visione dello Psicologo come terapeuta, in altri paesi europei e nord americani buona parte dell'utenza dello Psicologo si rivolge a questo professionista per poter avere una visione più chiara e consapevole dei problemi personali al fine di poter prendere delle decisioni in merito quanto più funzionali alla propria persona. Lo Psicologo, ovviamente, si astiene sempre dal fornire consigli o suggerimenti ma provvede a stimolare nell'utente dei processi di ragionamento sulle problematiche presentate al fine di poter, entro i limiti del caso, risolvere i problemi in questione come ad esempio una scelta di vita particolarmente importante. In pratica lo Psicologo stimola un processo di pensiero definito come problem solving: tecnicamente il problem solving può essere definito come il processo cognitivo messo in atto per analizzare la situazione problematica ed escogitare una relativa soluzione; gli Psicologi studiano questo processo già dalla fine dell'ottocento individuando i meccanismi psichici di base in esso implicati anche se oggi i professionisti interessati a questo fenomeno sono tantissimi come ad esempio fisici, matematici, medici. In realtà ognuno di noi è alle prese quotidianamente con problemi da affrontare ed implicitamente attua meccanismi di problem solving. Un problema può essere definito tale quando ci troviamo di fronte a situazioni indesiderate o potenzialmente tali, oppure generatrici di ansia o preoccupazioni la cui risoluzione è possibile attraverso una modifica della stessa oppure della condizione cognitiva e/o emotiva del solutore. Tecnicamente una situazione non modificabile non è considerabile come un problema ma come una situazione di fatto (ne è un esempio il clima). In sintesi estrema possiamo individuare come passo principale per poter mettere in atto un processo di problem solving la percezione del problema (quello che può essere considerato un problema per una persona potrebbe non esserlo per un'altra); successivamente è necessario che il problema venga accettato come tale e definito in maniera quanto più possibile realistico; in caso di problematiche multiple risulta utile suddividere i problemi ed individuare le priorità. Una volta stabilito in maniera operazionale un problema, seguendo l'algoritmo del problem solving è necessario elaborare svariate ipotesi risolutive analizzando per ognuna di essa le conseguenze, gli aspetti positivi e negativi di queste e valutarli in base alle proprie esigenze, aspettative e necessità; un accurato ragionamento sulle possibili alternative generate può essere di aiuto nella presa di decisione e dunque nella soluzione dei problemi. Il principale ostacolo alla soluzione di un problema è la mancata identificazione dello stesso; anche l'incapacità di generare alternative realistiche e la valutazione errata delle conseguenze possono essere fautori di soluzioni indesiderate o comunque insoddisfacenti motivo per la quale molte persone, come accennato all'inizio, chiedono la consulenza di un professionista per elaborare in maniera corretta il suddetto algoritmo. La soluzione dei problemi richiede comunque l'applicazione di processi intellettivi e creativi molti dei quali ognuno di noi è stato dotato a seguito dell'evoluzione e dei processi di selezione naturale. 

Dr Michele Passarella

L'intelligenza

Consultando una prestigiosa enciclopedia italiana, la voce intelligenza viene definita come il complesso di facoltà psichiche che consentono all'uomo di pensare e comprendere i fatti circostanti e di elaborare modelli astratti della realtà; viene inoltre sottolineata la capacità di comprendere dagli altri e di farsi comprendere. Nonostante l'intelligenza possa essere considerato un concetto inerente la Psicologia nella sua totalità, esso rappresenta un argomento estremamente ostico ed a tratti scomodo. Agli inizi del '900 a quattordici famosi Psicologi fu posta la domanda relativa cosa fosse l'intelligenza le cui risposte furono tutte accomunate da due temi principali: la capacità di apprendere dall'esperienza e la capacità di adattarsi all'ambiente. Quando sessantacinque anni dopo la stessa domanda fu posta a ventiquattro eminenti Psicologi ai due temi a cui si è fatto riferimento in precedenza si aggiunse la facoltà delle persone di controllare i propri processi di pensiero. I due aneddoti appena riportati pur mettendo in evidenza alcuni aspetti centrali del concetto di intelligenza evidenziano come fornire una definizione esaustiva e soprattutto operazionale di questo concetto sia estremamente difficile; inoltre gli Psicologi intervistati esclusero dalle loro concettualizzazioni tutte le componenti relative la cultura di appartenenza delle persone, aspetto quest'ultimo che negli Psicologi contemporanei ha assunto un peso rilevante fino ad indurre molti ricercatori ad affermare che ciò che è considerato intelligente in una cultura potrebbe essere considerato stupido in un altra. A livello didattico oggi vengono suddivise due tipologie di intelligenza: quelle basate su definizione strutturali e quelle basate su definizioni funzionali anche se appare ancora molto lontano il raggiungimento di una concettualizzazione ampiamente accettata dai ricercatori. Da sottolineare che la ricerca in Psicologia ha cercato di approfondire questo concetto anche e soprattutto nella sua variabile psicometrica creando equivoci e pregiudizi come accertano i documenti relativi i test di intelligenza elaborati ai fini dell'arruolamento nell'esercito Statunitense durante la Prima Guerra Mondiale. Oggi nessun Psicologo avallerebbe i concetti espressi dai colleghi di inizio secolo anche se la somministrazione di test per la misurazione dell'intelligenza continua ad essere molto utilizzata anche e soprattutto ai fini di perizie in ambito giuridico. Come per tutti i test psicologici non vi è unanimità di giudizio e le opinioni sono molte ed a tratti antitetiche;opinione attualmente diffusa è quella che ritiene questi test attendibili ma con un evidente limite e nello specifico quello di non tenere conto della cultura di appartenenza rendendosi inutili se somministrati a persone di cultura differente da quella dei campioni sulla quale il test è stato validato. La ricerca in Psicologia è sempre attiva in merito e gli aspetti da approfondire, nonché gli stereotipi da invalidare, sono ancora molti; oggi possiamo cautamente affermare che l'intelligenza sia un aspetto cardine della natura umana ma non è possibile, come avveniva in passato, concettualizzarla in maniera unitaria ed assoluta: sempre più Psicologi oggi parlano di pluralità di intelligenze ed ogni persona ne è dotato in maniera diversa (ne sono un esempio gli atleti professionisti dotati di elevatissima intelligenza cinestesica). In conclusione possiamo affermare che come ogni aspetto della natura umana e soprattutto del funzionamento psichico prevale l'individualità della persona frutto della biologia e delle esperienze vissute.

Dr Michele Passarella

I disturbi del comportamento alimentare

Che l'alimentazione rappresenti uno dei comportamenti basilari per la sopravvivenza dell'individuo è ovvio e scontato ma nel corso della sua storia evolutiva, nella specie umana questo comportamento ha gradualmente affiancato ed in parte sorpassato il dato puramente biologico per assumere connotati sociali, culturali e ludici. Eccessi alimentari e digiuni sono presenti in tutte le epoche ed in tutte le culture ma nel corso degli ultimi decenni il rapporto dell'essere umano con il cibo è diventato ancora più complesso e difficile poiché  l'atto del mangiare si è annodato al concetto di sé ed all'immagine fisica. Per l'individuo moderno la contrapposizione "grassi-magri", sempre presente seppur meno evidente in epoche passate,  si è ulteriormente amplificato dopo la seconda guerra mondiale per giungere ad una vera e propria epidemia di obesità, al momento ancora in corso, alla quale fa da beffardo contraltare la malnutrizione diffusa in molti paesi con conseguenze nefaste: secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità la fame è al primo posto nella lista dei principali fattori di rischio per la salute e causa più morti della maggior parte delle malattie infettive sommate tra di loro. Alla fine dell'ottocento in Europa e successivamente in Nord America, paesi nella quale la fame stava rapidamente riducendosi, sono nate discipline mediche specialistiche al fine di rispondere alla richiesta sempre più elevata di regole e principi sull'alimentazione sana e il più possibile funzionale al benessere fisico. In questo stesso periodo gli specialisti poterono osservare comportamenti alimentari non più dettati da esigenze biologiche o condizionati da principi religiosi con manifestazioni francamente patologiche e deleterie sulla salute della persona: quello che rappresenta per la maggior parte delle persone uno dei piaceri della vita per altri diviene una prigione piena di sofferenza e con ricadute gravissime sulla salute fisica. Nel corso dei decenni lo studio specialistico di questi comportamenti patologici ha indotto gli specialisti del settore ad inquadrarli come delle vere e proprie patologie differenziandole da altre patologie psichiche di cui si presumeva fossero solo dei sintomi. Per quanto sia sempre riduttivo elaborare categorie diagnostiche, oggi la comunità scientifica identifica tra i DCA l'anoressia, la bulimia, il disturbo da alimentazione incontrollata ed il disturbo dell'alimentazione non altrimenti specificato; recentemente si è inoltre aggiunta una nuova categoria definita ortoressia (comportamento alimentare ossessivo mirante all'assunzione esclusivamente di cibi considerati sani dalla persona); alcuni specialisti parlano anche di Bigoressia (comportamento alimentare mirante ad aumentare la massa muscolare ritenuta erroneamente troppo piccola) ma al momento la ricerca scientifica non ha ancora fornito dati attendibili. I DCA in particolar modo l'anoressia e la bulimia sono in aumento nella popolazione mondiale con la prevalenza nella popolazione femminile ed un'età media di insorgenza sempre più precoce; l'anoressia rappresenta il disturbo psichico con il maggior tasso di decessi ed anche per questo il disturbo che maggiormente genera preoccupazione: non è raro osservare nell'anoressia la presenza in comorbilità di altri disturbi psichici spesso  di natura psicotica.  La diagnosi ma soprattutto il trattamento dei DCA rappresenta una delle sfide più dure per gli specialisti; essi infatti necessitano di un intervento congiunto e ben coordinato di professionisti diversi quali Psicoterapeuta, Psichiatra e Nutrizionista spesso, ma non necessariamente, in un contesto residenziale dedicato specificatamente a queste patologie.

Dr Michele Passarella

 

L'uomo e gli animali

Come ogni anno, durante il periodo estivo si moltiplicano le iniziative per la sensibilizzazione contro l'abbandono degli animali domestici ed in particolare i cani. Il drammatico fenomeno dell'abbandono degli animali domestici mette in risalto sia gli aspetti negativi ed a tratti crudeli di comportamenti umani ma anche la controparte dettata dalla sensibilità e la necessità di promuovere una cultura improntata al rispetto degli animali, siano essi domestici o selvatici. Recentemente molti Psicologi hanno sottoscritto un documento sulla valenza fortemente diseducativa dell'uso e dell'abuso degli animali nei circhi, nelle sagre e negli zoo; questo documento nasce sia dalla necessità di promuovere la tutela degli animali dalla violenza dell'uomo sia perché gli Psicologi hanno osservato come molti comportamenti violenti osservati negli adolescenti ma anche negli adulti siano fortemente influenzati dall'assistere, o in alcuni casi perpetrare, violenza sugli animali. Sappiamo dall'esperienza di Psicologi ed Investigatori che molti criminali prima di emettere comportamenti violenti contro altri esseri umani, hanno alle loro spalle una lunga esperienza di crudeltà verso altre specie viventi; questi comportamenti sono punte estreme di casi rari ma dalle ricerche emergono dati alquanto allarmanti sulla violenza tra esseri umani e quella degli uomini verso altre specie. La violenza su altre specie, quando avviene in maniera regolare può portare a sottovalutare la gravità con sottostima delle conseguenze normalizzando questi comportamenti; quando la crudeltà diviene la norma il passaggio alla violenza contro altri esseri umani è un passaggio elementare, anche se a qualcuno questo possa sembrare una esagerazione. Sviluppare una cultura orientata al rispetto degli animali però non può essere dettata solo dai fini educativi e preventivi ma anche e sopratutto dalla necessità di tutelare le altre specie viventi anch'esse dotate di intrinseca dignità. Sappiamo bene quanto il rapporto uomo-animale possa essere ricco e florido di emozioni positive e partendo da quest'ultima considerazione prende il via la cosi detta pet therapy. Nonostante questa pratica appaia in moltissimi casi una moda praticata da persone prive di competenze, essa risulta una esperienza particolarmente coinvolgente ed efficace per chi la pratica su supervisione di personale qualificato: essa non è una terapia in senso lato ma un supporto alquanto efficace ad un percorso più ampio ed articolato. Senza addentrarci troppo nella pratica della pet therapy, sappiamo che il relazionarsi ad un animale, prendersene cura in toto è una esperienza che influisce sul benessere psicologico di persone con problemi di salute ma anche per tutti coloro che riescono ad instaurare un profondo legame emotivo con il proprio animale. Per quanto possa sembrare superfluo, è opportuno ricordare che il rispetto è diverso dall'amore  e questo vale anche per gli animali; si può non amare gli animali ma si deve ugualmente rispettarli. Non appaiono per nulla superflue dunque le campagne per la tutela degli animali poiché la cultura del rispetto passa anche attraverso la conoscenza e la sensibilizzazione verso le altre specie animali.

Dr Michele Passarella

 

Presa di decisione e ragionamento

Da secoli l'uomo è affascinato dalla conoscenza compresa l'indagine sulla natura umana; uno degli aspetti che maggiormente ha attratto l'interesse dei pensatori riguarda il modo in cui come noi utilizziamo le facoltà cognitive, su tutte la capacità di ragionamento e la presa di decisione. Fin dalla sua nascita anche la Psicologia si è focalizzata su queste facoltà utilizzando il metodo scientifico al fine di comprenderle meglio e di rendere più consapevole ed efficace il loro utilizzo. Il ragionamento e la presa di decisione sono due facoltà pervasive nella nostra vita quotidiana ed il loro funzionamento viene solitamente dato per scontato ed utilizzato in maniera automatica ed alle volte in maniera inconsapevole. Le prime teorie a riguardo furono sviluppate in maniera similare a modelli matematici e presumevano che i soggetti decisori erano perfettamente informati, infinitamente sensibili alle informazioni e completamente razionali. Le teorie successive iniziarono a riconoscere il fatto che gli esseri umani utilizzano spesso criteri soggettivi e che elementi casuali influenzavano gli esiti della decisione mettendo in discussione l'assunto secondo la quale l'uomo fosse illimitatamente razionale nelle sue decisioni. Dalle ricerche emerge infatti come le persone utilizzino spesso strategie basate sul soddisfacimento scegliendo la prima opzione  minimamente accettabile; inoltre è emerso che molte strategie decisionali implichino un processo di "eliminazione per aspetti" al fine di evitare un numero eccessivo di opzioni sulla quale ragionare. Le ricerche inoltre hanno evidenziato come la presa di decisione sia fortemente influenzata dall'utilizzo di euristiche, ovvero l'utilizzo di un insieme di strategie intuitive messe in atto in maniera poco rigorosa e controllata: una delle euristiche più comuni ed utilizzata è quella della rappresentività nella quale tendiamo a considerare piccoli campioni come rappresentativi e dunque attendibili  giungendo infine a generalizzazioni che influenzeranno in maniera pervasiva la presa di decisione. Altra euristica alquanto diffusa è quella della disponibilità dove la mente umana tende a formulare giudizi sulla base di informazioni immediatamente disponibili in memoria ignorando stimoli ed informazioni che potrebbero rivelarsi preziosi. Senza dilungarsi eccessivamente gli Psicologi hanno descritto altre euristiche come quella "dell'ancoraggio e dell'aggiustamento"  e della "correlazione illusoria". La presa di decisione inoltre può essere facilmente influenzata dal "ragionamento retrospettivo" il quale tende a deviare la nostra percezione originaria di un evento o situazione  alla luce delle conoscenze successivamente acquisite. Altro errore cognitivo alquanto diffuso è l'eccesso di sicurezza nella quale la persona tende a non vagliare tutti gli stimoli disponibili poiché ritenuto superfluo. Ogni presa di decisione implica la valutazione delle diverse opportunità e la selezione di una scelta chiamando in causa il ragionamento e mettendo in atto l'utilizzo formale di strategie di pensiero atte a trarre delle conclusioni. Il processo di pensiero chiamato ragionamento è stato a lungo studiato e didatticamente suddiviso in ragionamento deduttivo e ragionamento induttivo: il ragionamento deduttivo consiste nel trarre conclusioni logicamente certe da un insieme di proposizioni generali mentre il ragionamento induttivo è il processo mediante il quale una persona tenta di giungere ad una conclusione generale sulla base dell'osservazione di stimoli particolari. Per quanto la ricerca si sia a lungo soffermata a studiare la presa di decisione ed il ragionamento, anche in virtù della complessità dell'argomento e dell'impossibilità di poter accuratamente generalizzare i risultati ottenuti,  allo stato attuale nessun modello teorico spiega bene come funziona la mente umana nel momento in cui siamo chiamati a prendere decisioni in particolar modo quelle di tutti i giorni.

Dr Michele Passarella

l'ansia

Il termine ansia è da tempo entrato nel linguaggio comune e, come spesso accade, non sempre utilizzato in maniera appropriato: questo termine deriva del latino angère che significa stringere ed è una condizione sgradevole quanto inevitabile nonché universale della condizione umana. Per quanto il confine possa essere poco marcato, si è soliti distinguere l'ansia fisiologica da quella patologica. L'ansia è uno stato di tensione psicologica e fisica che implica un'attivazione generalizzata di tutte le risorse dell'individuo, consentendo così l'attuazione di iniziative e comportamenti utili all'adattamento ed è diretta contro uno stimolo realmente esistente e conosciuto: essa può essere considerata come strutturante poiché aiuta la persona ad affrontare situazioni difficili o sgradevoli. Si parla invece di ansia destrutturante quando l'ansia diviene difficile da gestire fino al punto di compromettere le funzioni quotidiane amplificando la difficoltà nel gestire la situazione. Un semplice esempio è quello dell'ansia derivante un esame scolastico od universitario: l'ansia strutturante induce la persona ad aumentare la propria preparazione, quella destrutturante al contrario inficia la capacità di prepararsi. Oltre alla distinzione tra ansia strutturante  e destrutturante, molti Psicologi propongono la distinzione tra ansia di stato ed ansia di tratto: come dice la parola stessa l'ansia di stato è causata dalla situazione vissuta ed è la conseguenza degli stimoli alla quale si è esposti come ad esempio un colloquio di lavoro, un esame oppure situazioni gravi nella quale viene messa a rischio l'incolumità personale; l'ansia di tratto non è invece causata da uno stimolo specifico ma dipende dalla personalità e dal funzionamento mentale della persona. Quest'ultima categoria può essere considerata una forma di disturbo d'ansia. In sintesi un disturbo d'ansia è caratterizzato  da uno stato d'incertezza rispetto al futuro con la prevalenza di sensazioni sgradevoli; spesso è vaga e non ha una causa direttamente riconoscibile e non è diretta verso uno stimolo specifico; può essere contraddistinta da forte intensità e provocare sofferenza molto elevata che a sua volta può indurre comportamenti tali da amplificare la sofferenza oppure peggiorare il disturbo; moltissime affezioni psichiatriche e neurologiche hanno il disturbo d'ansia in comorbilità. Tra i sintomi più diffusi dell'ansia patologica ritroviamo l'insonnia, l'inappetenza, rimuginazioni, preoccupazioni, irritabilità, deficit nelle funzioni mnestiche oltre a sintomi fisici quali dolori diffusi, tachicardia, secchezza della bocca, tremori, disturbi gastro-intestinali. Tecnicamente l'ansia è una condizione psicologica diversa dalla paura e soprattutto dalla fobia anche se nel linguaggio comune spesso sono utilizzati erroneamente come sinonimi. Sulle cause dei disturbi d'ansia in psicopatologia non vi è accordo unanime: in sintesi estrema possono essere individuate due macro scuole di pensiero: una che chiama in causa aspetti neurobiologici ed organici in generale ed una seconda per la quale sono prevalenti gli aspetti cognitivi ed i rapporti con la famiglia e gli adulti durante gli anni dello sviluppo. La gestione dell'ansia è una delle sfide alla quale ognuno di noi è chiamato a fare nella propria esperienza quotidiana ed i metodi per farlo sono soggettivi ed idiosincratici, per quanto recentemente si stiamo pubblicizzando diverse metodologie a tal fine è utile ricordare che, se non siamo difronte ad un disturbo d'ansia, è opportuno evitare "trattamenti" o percorsi di qualsiasi genere. In merito all'ansia patologica il trattamento è competenza esclusiva di Psichiatri e Psicoterapeuti; per quanto riguarda la Psicoterapia, gli studi di efficacia ne confermano l'opportunità se non proprio la necessità di applicazione con risultati a lungo termine molto positivi. Anche per i disturbi d'ansia, qualora la sindrome si manifesta in maniera particolarmente pervasiva ed invalidante, è opportuno un trattamento combinato di psicofarmaci e psicoterapia. 

Dr Michele Passarella

Il perdono

Nelle ultime settimane, nei media e nell'opinione pubblica si è tornati a parlare insistentemente di Giubileo; nella tradizione ebraica, il Giubileo era l'anno di misericordia del Signore nella quale il perdono dominava la scena religiosa e sociale: le persone scioglievano i debiti tra di loro, gli schiavi riacquistavano la libertà, i prigionieri venivano rilasciati e coloro i quali erano stati costretti a vendere dei terreni ne potevano rientrare in possesso. Il tema del perdono è centrale negli aspetti religiosi ma negli ultimi anni anche gli Psicologi, pur partendo da una prospettiva laica, ne hanno cominciato ad analizzare gli aspetti psicologici ed il loro effetto sia individuale che sociale sottolineandone però la differenza con la riconciliazione in quanto le due cose possono anche coincidere ma rappresentano comunque due aspetti psichici e relazionali diversi. La ricerca si è particolarmente focalizzata sul perdono all'interno delle relazioni riguardanti amici, partner, genitori, figli e l'impatto che esso ha sul benessere socio-emozionale che da esso ne deriva. Il perdono può essere definito come un insieme di mutamenti psicologici attraverso i quali un individuo diventa meno motivato a vendicarsi o rivalersi nei confronti di chi ritiene di averlo danneggiato; meno motivato ad allontanarsi fisicamente e più motivato a riallacciare la relazione: il perdono dunque costituisce l'esito  di un insieme di cambiamenti motivazionali all'interno della persona che si ritiene offesa e  proprio in virtù di questo aspetto motivazionale il perdono non può essere considerato un atto deliberato ma un percorso interno maturato nel tempo. Secondo alcuni ricercatori il percorso motivazionale nella quale il perdono viene maturato è veicolato da quattro determinanti: affettive-cognitive; relative all'atto offensivo; relazionali ed infine le determinanti connesse a disposizioni stabili come ad esempio i tratti di personalità; tra gli aspetti appartenenti a quest'ultima determinante vi è anche quello relativo il percepire dei sensi di colpa: in quest'ultimo caso, molto più diffuso di quanto crediamo,  la motivazione è dettata dal lenire il senso di colpa per non saper perdonare la persona che riteniamo averci offeso. Se la ricerca in Psicologia si è inizialmente focalizzata sul perdono riguardante aspetti relazionali, negli ultimi anni molti Psicologi e Psicoterapeuti hanno potuto osservare l'importanza del perdono anche in coloro i quali sono stati vittime di episodi di violenza anche particolarmente gravi; il perdonare induce nelle vittime una riduzione di emozioni che nel lungo periodo si rivelano disfunzionali quali ad esempio rabbia nonché una riduzione delle rimuginazioni vendicative; gli stessi esperti hanno anche osservato in coloro i quali riuscivano a perdonare un abbassamento della percezione di vulnerabilità con conseguente decremento di stati di ansia o depressione. Il perdono, percepito come sincero, aiuta anche le persone che si sono macchiate di episodi violenti a sviluppare empatia nei confronti delle vittime diminuendo di conseguenza la possibilità di ricadere in condotte lesive nel futuro. Il perdono non è oblio, negazione o giustificazione tanto meno rassegnazione a subire; esso può essere considerato come un regalo prezioso offerto a se stessi ma anche agli altri. 

Dr Michele Passarella

I neuroni specchio

Il notissimo neuroscienziato indiano, Wilayanur Ramachandram, in un suo articolo ebbe a dire che i neuroni specchio saranno per la Psicologia quello che il DNA è stato per la Biologia. In virtù della vicinanza temporale dell'affermazione e soprattutto della scoperta dei neuroni specchio, avvenuta nel 1992 ad opera di una Equipe dell'Università di Parma, al momento attuale non siamo ancora in grado di poter dire se questa previsione sia corretta o meno; di sicuro la mole di ricerche, i dibattiti in merito ed anche qualche polemica fanno dei neuroni specchio uno degli argomenti principi della moderna Psicologia e delle Neuroscienze. In sintesi i neuroni specchio sono un gruppo di neuroni motori che si attivano nel momento in cui osserviamo negli altri un movimento; i neuroni attivati sono gli stessi che si attivano nella persona che esegue il movimento; la presenza dei neuroni specchio è confermata dalle ricerche anche sul resto dei primati ma anche in altri animali tra cui alcuni uccelli; nella specie umana essi sono stati localizzati in alcune zone  specifiche del cervello estese ad entrambi gli emisferi. Questa scoperta, per la quale alcuni vorrebbero l'assegnazione del premio Nobel all'equipe italiana, consente di spiegare moltissimi comportamenti umani e la spiccata natura sociale della nostra specie: l'empatia, la simpatia, la compassione, ma anche odio ed  invidia, i processi affettivi e moltissimi aspetti della  comunicazione verbale e non-verbale  possono essere facilmente spiegati e compresi in quest'ottica.  I suddetti neuroni sono implicati anche nei processi di apprendimento soprattutto nelle prima fasi di vita quando gli aspetti relazionali e non verbali con gli adulti sono preminenti; alcuni Psicologi sostengono che l'apprendimento di schemi cognitivi, relazionali e codici morali siano trasmessi all'infante ed appresi da quest'ultimo tramite i meccanismi neuronali sopra descritti sostenendo la necessità di approfondire la ricerca in merito. Come già accennato da oltre un decennio la ricerca in Psicologia si è particolarmente dedicata allo studio delle implicazioni dei neuroni specchio in ogni aspetto del funzionamento mentale provocando anche qualche critica ed a considerare  questo un eccesso ed una sopravvalutazione dell'importanza dei neuroni specchio. Sul piano strettamente pratico, essendo questi neuroni strettamente correlati agli aspetti empatici, relazionali e comunicativi in molti hanno sostenuto il coinvolgimento di questi in patologie dello sviluppo quali ad esempio l'autismo: al momento la ricerca non ha ancora espresso un parere ma sicuramente tra le aree di ricerca e le possibili applicazione della scoperta dell'equipe italiana rientra la comprensione del funzionamento mentale nel suo aspetto più globale compresi gli aspetti disfunzionali o apertamente patologici come si osservano ad esempio nei disturbi di personalità o in alcune psicopatologie: i risultati delle ricerche potrebbero offrire nuove conoscenze e di conseguenza aprire a nuovi scenari anche per le terapie.

Dr Michele Passarella

Sottoscrivi questo feed RSS

Meteo

Potenza

Ultime

Calendario Articoli

« Aprile 2024 »
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          

Area Riservata