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Michele Passarella

Michele Passarella

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La giungla dei test psicologici

Tra gli strumenti tipici della professione dello Psicologo, uno di quelli che più di tutti stimola la curiosità, crea interesse ma anche interrogativi e polemiche rientrano i test mentali. Il test può essere definito come lo strumento utilizzato al fine di ottenere una misurazione obiettiva e standardizzata che consente di analizzare le differenze fra le reazioni psichiche di più individui o le reazioni di uno stesso individuo esposto a differenti stimoli o condizioni ambientali. Un test mentale per essere utilizzato da un professionista deve necessariamente possedere determinate caratteristiche tra cui: la validità, ovvero la capacità di misurare esattamente ciò che si propone; l'affidabilità, ovvero il grado di accuratezza con cui il test discrimina la variabile misurata; la sensibilità, ovvero la capacità di discriminare le differenze intra ed inter individuale: i test psicologici prima di essere utilizzati sono sottoposti a rigorosissimi studi al fine di verificare che queste caratteristiche vengano rispettate. Uno Psicologo, nel somministrare un test è strettamente vincolato non solo alla scelta di un test che rispetta le caratteristiche appena citate ma anche a determinate indicazioni deontologiche compresa la modalità di somministrazione, l'analisi approfondita e minuziosa dei risultati e la comunicazione dei risultati emersi. Didatticamente i test possono essere suddivisi in test di rendimento e test di personalità. I test di rendimento consistono in una serie di prove standardizzate allo scopo di valutare determinate funzioni psichiche o determinate attitudini; fanno parte di questa categoria i test di intelligenza e delle altre facoltà cognitive come ad esempio la memoria od il linguaggio, i test attitudinali, come ad esempio quelli per la selezione del personale ed i test psico-diagnostici, come ad esempio quelli utilizzati per valutare eventuali disagi emotivi. I test di personalità si prefiggono di esplorare la personalità individuale nella sua globalità oppure in qualche sua dimensione; fanno parte di questa categoria i test obiettivi, molti dei quali elaborati su modelli matematico-statistici molto accurati ed i test proiettivi, i quali si differenziano da quelli obiettivi per via di una maggiore libertà di espressione da parte di chi si sottopone alla somministrazione. Nel corso degli anni all'interno della Psicologia si è sviluppato un dibattito molto acceso sulla reale utilità dei test psicologici che ha raggiunto il proprio apice a cavallo degli anni '70 e '80 del secolo scorso e la creazione di due posizioni particolarmente contrapposte. Per quanto questa diatriba non sia ancora pienamente sopita oggi molti Psicologi sono hanno assunto una terza posizione, non frutto di un compromesso: è infatti opinione molto diffusa tra gli Psicologi che i test sono utili ma solo se utilizzati correttamente e soprattutto i risultati emersi siano valutati in maniera estremamente flessibile e coerente con una visione globale della persona. I risultati di un test psicologico infatti non possono essere considerati in maniera assoluta ma ponderati e considerati come indicativi e mai come definitivi. Quest'ultimo argomento ci introduce un aspetto molto delicato quale la formazione e la competenza di chi somministra un test psicologico: somministrare e soprattutto valutare i risultati di un test psicologico richiede una formazione professionale ed approfondita;  come molti altri aspetti della professione dello Psicologo, anche per i test vi è il pericolo di banalizzare lo strumento ed utilizzarlo in maniera inappropriata e, almeno potenzialmente, deleteria per l'utente come spesso accade. A riguardo è piuttosto semplice trovare dei test psicologici su internet o su riviste proposti come rivelatori di dinamiche psichiche: coloro i quali si dilettano con questi test devono essere consapevoli che questi test hanno un valore ludico ma nessun valore professionale.

Dr Michele Passarella

La noia

La noia può essere definita come la condizione psicologica caratterizzata dalla sensazione di insoddisfazione e dall'assenza di stimoli, temporanea o duratura, connotata dall'assenza di azione e sentimenti di vuoto;  essa rappresenta una esperienza diffusa ed è probabile che poche persone non ne abbiamo mai fatto esperienza. Sulla noia nel corso dei secoli si è parlato a lungo soprattutto in Filosofia e Teologia mentre la Psicologia ha  ignorato questa condizione comprendendo solo negli ultimi anni l'importanza di uno studio approfondito ai fini della comprensione di alcuni comportamenti non solo quelli di natura psicopatologica. Negli ultimi anni infatti si è approfondito lo studio e la conoscenza non solo del rapporto noia-depressione, già noto a molti Psichiatri in passato ma anche di alcune configurazioni di personalità favorenti la manifestazione di essa. Dagli studi moderni infatti emerge come la noia spesso sia fonte di frustrazione la cui gestione può essere determinante nel guidare comportamenti atti ad interrompere la sensazione di noia anche se questi comportamenti comportano conseguenze sgradevoli. Un'equipe di psicologi canadesi recentemente ha condotto un esperimento con volontari alla quale veniva richiesto di rimane seduti per 15 minuti senza fare nulla; nella stanza che li ospitava non vi era nessuno stimolo, reale o potenziale,  ad esclusione di un pulsante la quale avrebbe somministrato una lieve scarica elettrica a coloro che lo avrebbero premuto: su 18 partecipanti maschi 12 di loro si somministrarono la scarica elettrica prima di terminare la prova mentre delle 24 donne lo fecero in 6; questi risultati sono stati ripetutamente confermati in successivi esperimenti simili condotti da altri ricercatori di diversi paesi con volontari di età compresa tra i 18 ed i 77 anni. I ricercatori sono giunti alla conclusione che la difficoltà a gestire l'assenza di stimolazioni esterne induceva i partecipanti ad infliggersi una stimolazione dolorosa pur di interrompere la sensazione di noia. Questi esperimenti non forniscono risposte definitive agli studi sulla noia ne tanto meno possono essere generalizzati ma offre un supporto empirico alla teoria della noia come prodromo di comportamenti rischiosi se non proprio lesivi sia auto che etero diretti. E' noto infatti che la ricerca di sensazioni atte a colmare il senso di vuoto generato dalla noia può favorire l'emissione di comportamenti a rischio e se questa può essere una esperienza alla quale chiunque può essere esposto anche senza conseguenze di rilievo, quando la noia è tendenzialmente cronica, oppure la psiche dell'individuo è particolarmente vulnerabile all'assenza di stimolazioni essa può indurre ad emettere comportamenti a rischio quali promiscuità sessuale, abuso di sostanze oppure comportamenti antisociali compresi quelli violenti che possono avere conseguenze anche molto gravi. Sulla tendenza ad annoiarsi, sulla capacità di evitarla e o gestirla sono coinvolti i tratti di personalità, le strutture cognitive nonché le esperienze avute nel passato ma anche la reattività neurobiologica; moltissime persone non hanno mai avuto problemi a gestire momenti di noia od a convivere con essa quando si protrae a lungo; per altri questa condizione è particolarmente difficile da gestire: in tal caso può essere indicato un percorso psicoterapeutico finalizzato alla modifica dei comportamenti e dei pensieri correlati nonché ed ad aumentare la soglia di tolleranza alla frustrazione generata dall'assenza di stimoli ambientali.

Dr Michele Passarella

l'assertività

Nel capolavoro cinematografico di Dino Risi "Il sorpasso",  risalta agli occhi degli spettatori la divergenza tra il dialogo interiore e comunicazione verbale del personaggio interpretato da Jean-Luis Trintignant la quale ripetutamente pensa di opporre un rifiuto al suo interlocutore salvo poi non riuscire ad esprimerlo adeguandosi al volere altrui. Ogni Psicologo che ha visto questo film ha sicuramente potuto apprezzare come questo atteggiamento dell' attore  sia particolarmente realistico nonché alquanto diffuso anche nella vita di tutti i giorni. La capacità di saper dire di no, o comunque di opporre un rifiuto ai propri interlocutori, può essere per molte persone estremamente difficile e fonte di ansia oppure di conseguenze sgradevoli. L'assertività, o affermazione di sé, è la caratteristica comportamentale che induce una persona ad esprimere liberamente una propria opinione anche se in opposizione a quelle corrente: essa può essere definita come la capacità di saper far rispettare i propri diritti senza ignorare o sminuire i diritti altrui. Il comportamento assertivo viene spesso considerato in opposizione sia a quello passivo (come quella del personaggio del film sopra citato) sia a quello aggressivo anche se alle volte considerato erroneamente una via di mezzo od un compromesso tra gli altri stili. Lo stile passivo si caratterizza per l'incapacità di esprimere le proprie opinioni od i propri bisogni (fisici o psicologici) subendo le iniziative ed adattandosi al volere altrui: da sottolineare che per alcune persone le conseguenze possono essere anche particolarmente sgradevoli sia in termini di situazioni alla quale doversi adattare sia per eventuali disturbi associati: molti psicologi hanno infatti osservato che alcune forme di disturbi somatici od ansiosi sono, almeno in parte, conseguenza dello stile relazionale improntato alla passività. Anche lo stile aggressivo può essere problematico: a grandi linee coloro i quali si caratterizzano per uno stile comportamentale aggressivo sono orientati al raggiungimento dei propri obiettivi ignorando opinioni o bisogni altrui arrivando anche a tentare di sopraffare gli altri. Questo stile comportamentale ovviamente può essere alla base di conflitti con amici, colleghi, partner con conseguenti problemi relazionali: anche in questo caso le conseguenze di uno stile comportamentale aggressivo può generare sofferenza e disagio nelle persone stesse che possono sviluppare ad esempio abbassamento del tono dell'umore od isolamento sociale. Come dicevamo in precedenza, lo stile assertivo non è un compromesso tra i due precedentemente descritti: lo stile assertivo, che al pari degli altri si esplica prevalentemente con la comunicazione sia verbale che non verbale rappresenta la capacità di parlare delle proprie opinioni o bisogni sapendo però ascoltare anche quelli altrui senza  voler far prevalere la propria e se necessario adattarsi ai compromessi; esso rappresenta la modalità ideale di relazionarsi agli altri e si caratterizza come lo stile comportamentale dalla quale possono trarre vantaggio tutti gli attori coinvolti nella situazione. Lo stile assertivo è solitamente il frutto dell'educazione ricevuta nell'infanzia e dell'apprendimento susseguente le esperienze alla quale si è stati esposti nelle fase di sviluppo. Molti Psicologi però sottolineano  che l'assertività essendo un tratto di personalità  si sviluppa nelle prima fasi di vita ma cresce  e si alimenta per tutta la vita. Assertivi infatti si può nascere ma si può anche diventare a condizione però, come per ogni modifica di atteggiamenti,  di avere la giusta motivazione al cambiamento; essendo il cambiamento comportamentale l'obiettivo della psicoterapia, molti psicoterapeuti sono soliti effettuare durante il percorso un training assertivo riuscendo ad aumentare la soddisfazione personale e la qualità di vita dei propri clienti. 

Dr Michele Passarella

L'autoinganno

La menzogna rappresenta un comportamento intenzionale che ha sempre interessato gli Psicologi soprattutto in riferimento alla capacità di mentire durante le fasi di sviluppo e l'età evolutiva. In linea di massima i motivi che inducono una persona a mentire o ingannare gli altri sono: evitare un problema, ottenere un vantaggio, danneggiare qualcuno. Gli studi di Psicologia comparata hanno osservato comportamenti ingannatori anche in moltissime specie animali con l'obiettivo prevalente di ingannare una preda o sfuggire ad un predatore ma se l'inganno rappresenta un filo conduttore di tutte le specie animali, la specie umana si caratterizza per la capacità di saper ingannare oltre ai propri consimili anche se stessi. L'autoinganno rappresenta un argomento che ha creato moltissimi dibattiti, spesso particolarmente accesi, tra gli Psicologi  e considerato da alcuni uno dei più grandi paradossi della mente umana. Alcuni studiosi sostengono l'impossibilità di ingannare se stessi poiché la mente umana non sarebbe in grado di gestire contemporaneamente due informazioni contraddittorie ed escludentesi mentre altri lo ritengono possibile ma a condizione che esso non avvenga in maniera intenzionale. Gli studi sperimentali in realtà sostengono la possibilità di ingannare se stessi muovendo da un principio basilare del funzionamento mentale. Ogni essere vivente è esposto continuamente a stimoli esterni non tutti analizzati in maniera analitica dal sistema cognitivo che deve necessariamente elaborare una selezione degli stimoli percepiti; la selezione degli stimoli sottoposti ad analisi è influenzata dalle motivazioni e dalle aspettative e soprattutto dalla coerenza delle informazioni percepite con il proprio sistema di credenze e di informazioni già in possesso. Partendo da questo spunto teorico è possibile spiegare l'autoinganno in maniera piuttosto semplice: quando siamo esposti a stimoli riferiti a noi stessi, quando questi sono fonte di sofferenza oppure non coerenti con l'immagine che noi stessi ci siamo creati (sia essa positiva o negativa) può innescarsi il fenomeno dell'autoinganno mediante la selezione degli stimoli percepiti e la focalizzazione dell'attenzione sugli stimoli che confermano le informazioni più "gradevoli" mettendo in secondo piano quelle sgradevoli che, ad una analisi successiva, possono anche essere escluse dall'analisi e di conseguenza non essere più percepite eliminando le informazioni che causano disagio o sofferenza. Questa spiegazione del fenomeno sottolinea come gli stimoli sgradevoli sono sì percepiti ed analizzati ma esclusi poiché le informazioni in proprio possesso sono utilizzate al fine di  confermare quelle gradevoli oppure sgradevoli ma comunque coerenti con quelle già in proprio possesso. Un esempio drammatico di autoinganno è individuabile nel racconto di un ex pilota militare dell'Unione Sovietica che nel 1983 fece fuoco su un aereo di linea causando oltre 200 morti: per sopravvivere emotivamente e non soccombere al senso di colpa il suo sistema cognitivo ha focalizzato l'attenzione sulle variabili che evidenziavano le responsabilità dei piloti dell'aereo abbattuto e sui protocolli ufficiali alla quale si era attenuto mettendo in secondo piano e successivamente ignorando le informazioni relative al proprio operato. E' obbligatorio sottolineare come ogni persona ha un proprio funzionamento mentale individuale e le reazioni agli eventi è sempre soggettiva, e se quest'ultimo esempio rappresenta un estremo di un meccanismo psicologico esso in realtà è molto diffuso in ogni individuo e serve a mantenere la coerenza con se stessi e con le informazioni in nostro possesso comprese, come già detto, quelle negative.

Dr Michele Passarella

La depressione

Parlare di depressione non è mai semplice soprattutto perché si tratta di un argomento estremante ampio e sulla quale si parla moltissimo, non raramente, anche a sproposito generando disinformazione e pregiudizi. Innanzi tutto è necessario sottolineare che ogni individuo è soggetto ad oscillazione dell'umore passando da momenti di disforia a sensazioni di benessere ed euforia: solitamente queste reazioni sono il frutto della risposta emotiva ad una valutazione cognitiva a stimoli alla quale siamo sottoposti ed hanno una durata relativamente breve. La depressione è definita tale quando le manifestazioni cliniche sono durature nel tempo, debilitanti e,  spesso ma non necessariamente, non correlati agli eventi esterni: le principali manifestazioni di questa affezione sono individuabili nelle difficoltà a dormine(insonnia ma anche ipersonnia), inappetenza o iperfagia, apatia, irritabilità, difficoltà a concentrarsi, crisi di pianto improvvise, dolori muscolari, percezione di inadeguatezza propria ed a considerare in maniera negativa il futuro, isolamento sociale: queste manifestazioni ovviamente possono avere livelli diversi di gravità e di compromissione delle attività quotidiane arrivando, nei casi più gravi a rendere la persona che ne soffre incapace di prendersi cura di se stesso. Se le manifestazioni cliniche sono evidenti e facilmente catalogate, un discorso a parte meritano le cause della depressione sulla quale non vi è, ad oggi, ampia concordanza tra i professionisti che se ne occupano. Per quanto sia impossibile parlarne in maniera sintetica è possible menzionare tra le possibile cause che favoriscono lo sviluppo di questa problematica gli eventi alla quale si è esposti durante l'infanzia, su tutti il lutto di un adulto significativo, abusi fisici o psicologici subiti, malattie fisiche proprie o dei genitori, eventi traumatici senza dimenticare che alcune forme di depressione hanno una causa biologica e sono il frutto di un malfunzionamento del sistema neurologico: quest'ultima forma rappresenta probabilmente quella maggiormente resistente alle terapie con una forte tendenza alla cronicità. In maniera piuttosto semplicistica la depressione è spesso associata a condotte lesive in particolare auto-dirette ma alle volte anche rivolte a terzi in particolare familiari ma anche verso sconosciuti: per quanto questo non sia propriamente un errore è indispensabile sottolineare che determinati comportamenti non sono riconducibili a variabili singole e sono comunque il risultato di situazioni estremamente complesse. Per rimanere nell'ambito strettamente psicopatologico secondo alcune ricerche epidemiologiche, suicidi e tentativi di suicidio sono molto più frequenti in persone affette da altri disturbi, quali schizofrenia, disturbo bipolare e disturbo di panico; queste ricerche sono altamente significative ma viziate dal fatto che la reale diffusione della depressione, così come altri disturbi psichici, non è ancora ben chiara in quanto molte persone che ne soffrono non si rivolgono agli specialisti. Per quanto sappiamo che la diffusione della depressione sia in aumento anche nell'infanzia e nell'adolescenza,  quella della mancata diagnosi rappresenta un problema sulla quale è necessario intervenire: rispetto al passato molto è cambiato ma ancora oggi sulla depressione e sulle persone che ne soffrono vi sono stereotipi e pregiudizi che contribuiscono a rendere recalcitranti in molti a chiedere aiuto a causa del  timore, ad esempio, di essere etichettati come deboli oppure di subire delle conseguenze al lavoro. Un altro aspetto sulla quale è necessario porre attenzione rappresenta la possibilità di aiutare coloro che ne soffrono:come per altre forme di disagio psichico l'intervento terapeutico è competenza esclusiva di Psichiatri e Psicoterapeuti; sono noti purtroppo moltissimi casi di persone che si sono improvvisati esperti di depressione soprattutto tra coloro i quali si ritenevano adeguatamente preparati ad affrontare una relazione d'aiuto ma che in seguito hanno danneggiato coloro che pretendevano di poter aiutare; questi episodi, non isolati, giustificano la necessità di ricordare a coloro i quali soffrono di depressione di rivolgersi a persone qualificate ed abilitate al trattamento. In merito al trattamento della depressione, gli studi di efficacia sulle psicoterapie e sui nuovi farmaci antidepressivi sono piuttosto incoraggianti; attualmente la terapia combinata farmaci antidepressivi/psicoterapia rappresenta la strada elettiva anche se alcune forme di psicoterapia risultano efficaci anche come monoterapia.

Dr Michele Passarella

Le tecniche di rilassamento

Esperienza comune nella vita quotidiana rappresenta la percezione di emozioni sgradevoli spesso causate da condizioni di vita avverse, eventi negativi, condizioni lavorative particolarmente gravose oppure relazioni sociali fonte di disagio. La capacità di saper far fronte a queste situazioni rappresenta una sfida non semplice ma pur sempre necessaria al fine della tutela del proprio benessere psicofisico. Naturalmente non esiste una ricetta semplice, tanto meno universale, di sicuro sapersi rilassare rappresenta un buon punto di partenza. Ognuno di noi è a conoscenza e mette in atto condotte atte e gestire il distress e rilassarsi, in Psicologia sono state elaborate delle tecniche specifiche finalizzate al rilassamento: le tecniche di rilassamento rappresentano un punto di unione tra svariati ambiti della Psicologia applicata e la loro storia è relativamente recente dato che le prime pubblicazioni sulle tecniche di rilassamento risalgono agli anni 20 del ventesimo secolo anche se, da un punto strettamente storico tecniche utilizzate in medicina fin dal '700, quali l'ipnosi, oggi sono contemplate nel novero di queste tecniche. Come già accennato, di queste metodologie oggi se ne conoscono e praticano moltissime, tutte basate sul principio del condizionamento rispondente oppure quello operante; alcune di esse sono focalizzate sulla respirazione, altre sull'apparato muscolare, altre ancora utilizzano metodi immaginativi od evocativi; alcune sono particolarmente semplici altre necessitano di un periodo di apprendimento supervisionato da un esperto di quella tecnica. In Psicoterapia le tecniche di rilassamento sono ampiamente utilizzate anche se esse sono inserite all'interno di un percorso molto più ampio e sono utilizzate prevalentemente come ausilio per abbassare la percezione dello stato di ansia oppure per migliorare la qualità del sonno ma i settori di utilizzo di queste tecniche sono amplissime e vanno dalla preparazione al parto nelle donne al mental training degli atleti professionisti. Le ricerche sulla loro efficacia sono sempre incoraggianti e ne suggeriscono l'utilizzo anche con persone non affette da particolari sindromi oppure sottoposte a situazioni stressanti e dunque come strumenti adatti alla promozione del benessere individuale; bisogna sottolineare però che nonostante non si conoscano controindicazioni, coloro che le utilizzano nella loro pratica professionale devono necessariamente eseguire una valutazione del  funzionamento mentale della persone che le esegue, senza dimenticare di accertarsi di eventuali malattie a carico del sistema cardio-respiratorio. Come moltissimi Psicologi e Psicoterapeuti sanno bene, il principale limite delle tecniche di rilassamento è rappresentato dai tempi necessari affinché si possano percepire i benefici  nonché la costanza nell'esecuzione delle tecniche: questo induce in molte persone una perdita di motivazione e di conseguenza all'abbandono di queste pratiche. Nonostante l'esperienza non felice di molti praticanti, le ricerche e l'esperienza dei professionisti che le utilizzano induce a considerare le tecniche di rilassamento dei buoni strumenti di promozione del benessere psicofisico.

Dr Michele Passarella

Il linguaggio

Tra i comportamenti specie-specifici dell'essere umano, uno dei più affascinanti e maggiormente studiati è sicuramente il linguaggio; sinteticamente il linguaggio può essere definito come la capacità di comunicare tramite un complesso codice parlato o scritto. In natura moltissime specie animali usufruiscono di segnali comunicativi orali ed in passato molti ricercatori hanno cercato di insegnare il linguaggio umano ad altre specie in particolare i primati: alcuni di questi esperimenti hanno evidenziato come alcuni primati riuscissero ad esprimersi tramite linguaggio umano ed acquisendo anche un elevato  numero di vocaboli. Per quanto affascinanti questi risultati però non riuscivano a discriminare se i primati in questione oltre ad esprimersi verbalmente fossero anche in grado di elaborare i significati semantici delle parole che utilizzavano. L'uomo è in grado di parlare in quanto il suo cervello possiede delle strutture neurologiche evolutesi appositamente per l'elaborazione del linguaggio unitamente ad un apparato muscolo-scheletrico adatto a produrre segnali vocali complessi: l'emisfero sinistro è nella maggior parte delle persone la sede del linguaggio, nelle persone mancine il linguaggio è localizzato nell'emisfero destro. L'emisfero sinistro (o destro per i mancini) è sede delle aree coinvolte le quali prendono il nome dei ricercatori che per primi hanno individuato le suddette aree: molti di questi studi, condotti nel diciannovesimo secolo, erano per lo più eseguiti durante esami autoptici e l'individuazione di lesioni in persone con disturbi del linguaggio ha indotto ad associare specifiche aree cerebrali a specifiche funzioni linguistiche. Sulla natura del linguaggio umano si è dibattuto a lungo in modo particolare se esso rappresenta una funzione appresa oppure è acquisita biologicamente alla stregua di altri comportamenti istintivi: sappiamo che l'essere umano è biologicamente predisposto a sviluppare il linguaggio parlato ma senza i processi di condizionamento operante e dell'apprendimento in generale gli esseri umani non sviluppano questa facoltà. Gli elementi basilari dell'acquisizione del linguaggio sono presenti sin dalle prime settimane anche perché il sistema uditivo umano è sostanzialmente maturo fin dalla nascita e funzionando anche nell'utero materno già intorno alla trentesima settimana di gestazione. La capacità di discriminare e riconoscere stimoli acustici è stata evidenziata nei primi 2-3 giorni dalla nascita mentre a 2-3 settimane di vita i neonati sono in grado di estrarre unità fonologiche, cioè distinguere fonemi molto simili (come ad esempio BA e PA). L'acquisizione del linguaggio comincia molto presto ed è basato inizialmente su una analisi fonologico-sillabica del parlato che fornisce informazioni sulle strutture grammaticali indispensabili per il successivo apprendimento. I neonati mostrano una predilezione per il parlato dei genitori preferendo (e dunque riconoscendolo) già a tre giorni di vita il parlato materno rispetto ad altri stimoli acustici percepiti. Verso le 3-5 settimane di vita i bambini cominciano ad utilizzare espressioni intenzionali al fine di ottenere l'attenzione della madre mentre a 3-4 mesi si assiste ad un aumento della capacità di produzione sonora; a 4-6 mesi comincia la fase della lallazione, inizialmente indifferente a tutte le lingue parlate per poi differenziarsi tra i 5 ed i 13 mesi; la lallazione di un neonato italiano è diversa da quella di un neonato di un altro paese. Entro il primo anno di vita il bambino comincia ad utilizzare le prime olofrasi, cioè parole singole utilizzate per comunicare un intero messaggio; il vocabolario del bambino varia a seconda dell'età: occorrono 3-4 mesi per acquisire 10 parole nuove mentre tra i 18 ed i 24 mesi il vocabolario del bambino si è esteso a svariate centinaia; in questa fase di sviluppo i bambini producono le prima frasi combinando i vocaboli attraverso un linguaggio telegrafico; fra i 2 ed i 5 anni l'acquisizione del linguaggio è rapida e si evolve fino ad arrivare ad una competenza strutturale complessa che con la scolarizzazione giungerà al pieno sviluppo. Le fasi di sviluppo ovviamente non sono uguali per ogni singolo bambino e dipendono da svariate variabili bio-psico-sociali alla quale ognuno è esposto. Molti esperti suggeriscono però di non sottovalutare un eventuale ritardo poiché la fase di acquisizione di questa facoltà mentale è limitata ai primi anni di vita, dopo la quale il pieno sviluppo ed il raggiungimento delle competenze potenziali può essere compromesso. In Psicologia si discute ormai decenni sul rapporto tra linguaggio ed intelligenza e tra linguaggio e pensiero; trattandosi di facoltà complesse evolutesi per favorire l'adattamento dell'uomo all'ambiente queste discussioni non hanno ancora trovato una concettualizzazione definitiva e dunque la ricerca psicologica ha ancora moltissime questioni da indagare.

Dr Michele Passarella

L'apprendimento

Per sopravvivere gli animali devono adattarsi al proprio ambiente e l'evoluzione per selezione naturale è il processo adattivo sul lungo periodo che attrezza una specie per vivere in una certa gamma di condizioni ambientali. Per far fronte all'ambiente ed alla sua costante modificazione la selezione naturale ha portato gli esseri viventi a sviluppare numerosi meccanismi adattivi che agiscono durante lo spazio temporale dell'esistenza individuale e di specie; alcuni di questi meccanismi di adattamento coinvolgono il sistema nervoso centrale e tra essi il meccanismo maggiormente in grado di promuovere il cambiamento e l'adattamento è quello che gli Psicologi chiamano apprendimento. Il termine apprendimento è usato con significati diversi per indicare un'ampia gamma di fenomeni: in termini generali esso può essere definito come la modificazione più o meno stabile e permanente del comportamento concreto o potenziale di un soggetto che risulta da una esperienza diretta od osservata. Per molti decenni eminenti Psicologi hanno affermato che ogni essere umano è il risultato di quello che ha appreso nell'infanzia ed in parte minore nell'età successive; oggi questa visione si è mitigata ed i sostenitori dell'apprendimento come  fenomeno in grado di plasmare la personalità, gli stili cognitivi e relazionali hanno ampliato il loro sistema teorico e concettuale riconoscendo l'importanza altrettanto rilevante di fenomeni biologici come ad esempio il funzionamento del sistema neuro-endocrino. Gli studi scientifici sull'apprendimento hanno avuto inizio verso la fine del diciannovesimo secolo nei laboratori di Psicologia nord americani e quelli dei Fisiologi russi, tra cui Ivan Pavlov è certamente il nome maggiormente conosciuto. Questi studi evidenziarono i meccanismi elementari alla base dell'apprendimento e l'applicazione pratica di questi studi hanno avuto un impatto determinante a livello sociale: l'istruzione dei bambini, la modifica di comportamenti, la psicoterapia ed i successivi studi sulla mente umana hanno usufruito di queste scoperte; successivamente queste nuove conoscenze sono state applicate ai fini di una nuova concezione della psicopatologia, dando inizio alle riflessioni che in seguito porteranno al cambiamento delle istituzioni manicomiali.  In sintesi estrema i due meccanismi base dell'apprendimento possono essere considerati il condizionamento rispondente, basato sul meccanismo stimolo-risposta; ed il condizionamento operante che sottolinea l'emissione volontaria di azioni atti a modificare l'ambiente e di conseguenza i comportamenti: le moderne Neuroscienze hanno constatato come il funzionamento cerebrale è soggetto a questi meccanismi. Negli anni '60 del ventesimo secolo, gli studi di Psicologia hanno evidenziato e ripetutamente verificato empiricamente l'impatto dell'apprendimento per imitazione in modo particolare dei bambini rispetto ai comportamenti degli adulti significativi, individuando un terzo meccanismo fondamentale coinvolto nella capacità di apprendere definito appunto condizionamento per imitazione. Molti Psicologi sottolineano il ruolo della memoria e la sua influenza nell'apprendimento; in realtà anche la memoria stessa è a sua volta condizionata dai fenomeni appresi inducendo molti studiosi e ricercatori ad ammettere le notevoli difficoltà nel tracciare un confine preciso tra le due facoltà cognitive; come moltissimi altri fenomeni mentali la motivazione a modificare il proprio stato, le proprie conoscenze ed il proprio comportamento risulta determinante ed il training motivazionale è il punto di partenza di ogni intervento volto ad incrementare le competenze oppure per lenire gli effetti dei disturbi dell'apprendimento la cui diagnosi pare sia in aumento ed il relativo trattamento rappresenta una sfida particolarmente difficile quanto stimolante per gli Psicologi.

Dr Michele Passarella

La motivazione

Nel comune osservatore, e dunque non solo per gli Psicologi, è generalmente incoercibile l'esigenza di dare una spiegazione causale alle sequenze comportamentali che si vedono attuare negli altri e di prevedere ragionevolmente e con successo il determinarsi di impressioni e di azioni future. Anche riflettendo sul nostro stesso comportamento non possiamo non notare che le nostre azioni sono guidate da scopi, obiettivi e ragioni che in sintesi costituiscono i motivi di un comportamento. La motivazione rappresenta uno degli argomenti chiave di tutta la Psicologia moderna e la maggior parte degli Psicologi oggi ritiene inammissibile l'idea di un comportamento che si possa dire non motivato. La motivazione è lo stato interiore che rende conto del perché una persona intraprenda (o non intraprenda) un'azione finalizzata al raggiungimento di un determinato scopo od obiettivo. Lo stato motivazionale di una persona può essere studiato ed analizzato secondo livelli di complessità molto diversi fra loro: la condotta infatti può essere motivata da spinte di tipo elementare o basilare per la sopravvivenza dell'individuo, come ad esempio mangiare e bere; oppure da concetti o schemi mentali come ad esempio una ideologia, valori oppure modelli sociali. I meccanismi che spiegano il primo tipo di motivazione, definite generalmente motivazioni primarie, sono fondamentalmente di tipo biologico, mentre i meccanismi implicati nel secondo tipo di motivazioni, definite generalmente motivazioni secondarie,  si collocano ad un livello psicologico e culturale. Nell'essere umano, ed in parte anche nel resto del regno animale, è tuttavia molto raro che una data condotta sia il risultato diretto ed esclusivo di una sola spinta motivazionale: il più delle volte essa è sovradeterminata, ovvero è il frutto di una concatenazione di motivazioni. La Psicologia ha sempre posto questo concetto al centro del proprio operato con l'obiettivo di spiegare tre aspetti della condotta: chiarire quale sia il meccanismo che stimola e fa scattare l'intrapresa di una particolare condotta, illustrare la relazione funzionale tra la stimolazione attivante e la meta verso la quale la condotta è attivata, ed a cogliere ed interpretare le differenze individuali tra persone. Studiare la motivazione richiede di andare oltre la semplice descrizione o spiegazione di come un individuo ottiene un risultato o si avvicina ad esso ma significa comprendere il perché una persona persegue una determinata meta; essa è implicata praticamente in ogni comportamento e spesso ne risulta il fattore determinante come ad esempio l'apprendimento, la selezione di percorsi formativi e/o lavorativi, la frequentazione di gruppi o persone, la compliance a trattamenti medici oppure l'intraprendere con successo percorsi di modifica di stili comportamentali potenzialmente dannosi come fumare e bere. In merito va sottolineato che ogni modifica di un comportamento (in estrema sintesi, l'obiettivo di qualsiasi percorso psicologico) richiede motivazioni solide da parte della persona implicata ma anche la necessità di modificare successivamente le proprie motivazioni di partenza al fine di stabilizzare i cambiamenti. La comprensione delle motivazioni individuali non sono utili solo agli Psicologi; comprendere il perché una persona ha messo in atto una determinata sequenza comportamentale può aiutare ad attivare l'empatia, oppure a ridurre, prevenire o far cessare un eventuale conflitto; a tal fine per quanto superfluo è pur sempre utile ricordare che comprendere la motivazione di un comportamento non è sinonimo di giustificare e le due cose non necessariamente coincidono. 

Dr Michele Passarella

Psicologia e dolore organico

Sebbene il dolore sia un'esperienza comune a tutti gli esseri viventi, definire questo termine in modo sintetico ed esauriente non è così facile. La difficoltà maggiore consiste nel descrivere in poche parole una realtà complessa e totalizzante, il cui significato viene costruito in maniera soggettiva dalla persone che la vive e che è costituita da specifiche componenti fisiopatologiche, psicologiche, comportamentali e socio-culturali, la cui gestione integrata richiede conoscenze in costante aggiornamento oltre ad un dialogo continuo tra diverse figure professionali. Da una prospettiva funzionale ed evoluzionistica, il dolore agisce come sistema di allarme in grado di indicare la presenza di un danno e svolge un evidente ruolo in chiave adattiva per il benessere individuale e la preservazione della specie. Nel 1992 l'Associazione Internazionale di Studi sul Dolore (IASP) affermava che per quanto medici e pazienti fossero riluttanti ad ammetterlo, le componenti psicologiche nel dolore organico sono sempre presenti ed influenzano sia la sintomatologia ed il decorso che il trattamento e la remissione. A distanza di oltre venti anni parlare di componenti psicologiche del dolore organico risulta estremamente difficile e molte persone affette dal dolore  non si sentono capite, per non dire credute, quando si accenna alle dinamiche psicologiche coinvolte asserendo, in moltissimi casi, che il loro dolore è reale e non inventato nonostante appare superfluo sottolineare che parlare di componenti psicologiche del dolore organico non significa sostenere l'assenza di sintomi dolorosi ne che il dolore sia causato da psicopatologia di varia natura.  Per quanto vi siano ancora Psicologi che sostengono che i sintomi dolorosi siano la conseguenza di fantomatiche e misteriose istanze inconsce che si manifesterebbero generando sintomi antalgici, oggi gli Psicologi hanno un approccio molto più scientifico e funzionale. Le componenti psicologiche alla quale la Psicologia moderna fa riferimento e da oltre venti anni studia in maniera approfondita, sono tutti quei correlati emotivi cognitivi e comportamentali che amplificano la percezione soggettiva della sensazione dolorosa e intervengono come concausa al mantenimento del sintomo come ad esempio la paura correlata, il significato emotivo attribuito, pensieri relativi alle cause ed al trattamento del dolore, possibili vantaggi secondari ottenuti dal mantenimento dell'affezione. Se i pochi e riduttivi esempi appena citati sottolineano l'influenza indiretta delle componenti mentali, il più delle volte presenti in persone con patologia organiche già diagnosticate, in realtà è utile ricordare che alcune affezioni dolorose sono direttamente causate da fattori psichici: sappiamo ad esempio che l'ansia è spesso causa di disturbi gastrici e digestivi come anche che rabbia e tensione muscolare possono indurre cefalee, emicranie e dolori muscolari ed articolari. Molti Psicologi, in collaborazione con Medici specialisti,  oggi sono impegnati nel trattamento della sintomatologia antalgica sopratutto in persone affette da patologie croniche ed invalidanti: il trattamento risulta sempre multifattoriale, particolarmente complesso e rivolto alla persona nella sua globalità la cui attuazione è, sotto molti aspetti,  simile ad una Psicoterapia. I risultati fin qui conosciuti sono alquanto incoraggianti ma strettamente vincolati alla collaborazione dell'utente: come è stato accennato in precedenza, ancora oggi vi è estrema riluttanza ad accettare l'idea di un trattamento psicologico per il proprio dolore: la condicio sine qua non affinché una persona possa trarre beneficio dall'intervento sopra accennato rappresenta dunque l'accettazione della problematica psicologica ed il superamento del pregiudizio relativo il rivolgersi ad un professionista diverso dal Medico quale appunto lo Psicologo.

Dr Michele Passarella 

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