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Michele Passarella

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Ipotesi e meccanismi motivazionali

Ognuno di noi quotidianamente è alle prese con un gran numero di stimoli provenienti dalla realtà circostante e dunque necessitiamo di esplorare e conoscere l'ambiente nella quale siamo immersi; questo comportamento ha come finalità sia quella di padroneggiare l'ambiente sia di poter agire ed interagire in maniera costruttiva con esso. Formulare ipotesi non è una attività esclusiva dei ricercatori nei laboratori ma un'attività che vede coinvolti ognuno di noi: immersi in un mondo di relazioni sociali le domande sul contesto nella quale agiamo assumono una notevole importanza. Continuamente infatti ci domandiamo se possiamo fidarci della persona con la quale stiamo parlando, sull'onestà dell'amico, sul motivo per la quale abbiamo fallito o conseguito un successo e di conseguenza formuliamo ipotesi mediante la quale cerchiamo sia di fornire una risposta a queste domande sia per elaborare strategie per raggiungere i nostri scopi. Ipotesi è un termine che deriva dal greco antico ed indica una spiegazione proposta per un dato fenomeno: essa è un'idea provvisoria il cui valore deve essere accertato e richiede dunque uno sforzo per confermarla o negarla. La nostra mente genera le ipotesi in maniera spontanea; generiamo ipotesi partendo dalle nostre conoscenze cercando di applicarle, mediante un processo di natura deduttiva, alla situazione nella quale ci troviamo. Una volta formulata essa può essere soggetta ad un processo interpretativo: partendo da una ipotesi preliminare di senso si procede alla valutazione delle informazioni a disposizioni; se essa viene confermata allora ne esce rafforzata mentre se si dimostra incompatibile con le prove la si sostituisce con una più adeguata: questo processo circolare è noto come processo ermeneutico. Se questo processo ermeneutico avviene sempre in maniera corretta, la verifica delle ipotesi però può essere effettuata in maniera meno efficace ed attendibile. Gli Psicologi che hanno studiato questo fenomeno hanno constatato come molti di noi verifichino le ipotesi in maniera semplicistica concentrandosi sull'ipotesi focale ed ignorando possibili spiegazioni alternative mediante l'utilizzo di euristiche. Questa modalità di funzionamento mentale, messa in atto in maniera automatica, ha dei vantaggi in termini di risorse cognitive risparmiate ma si rivela molto poco attendibile nelle conclusioni. Altro meccanismo psicologico riscontrato dai ricercatori è la tendenza a trovare prove che confermino l'ipotesi di partenza e la focalizzazione esclusiva su di esse; in pratica selezioniamo le informazioni con lo scopo principale di confermare la propria posizione di partenza. Questo meccanismo mentale è strettamente correlato alla motivazione individuale: un esempio molto semplice potrebbe essere quello di un genitore convinto dell'innocenza del figlio accusato di qualche reato: questi si concentrerà prevalentemente sulla selezione e verifica di quelle informazioni che sostengono e confermano l'innocenza del figlio, ignorando in maniera genuina e priva di malafede tutte quelle contrarie alla loro posizione di partenza. Questi meccanismi sono inoltre presenti quando vediamo messi in discussione tutti quegli aspetti legati alla nostra identità e che ci rappresentano in maniera particolare: mettendo in atto il processo confirmatorio delle nostre ipotesi di partenza, tendiamo a dare per vere tutte le informazioni che le confermano e false quelle che le contraddicono.

Dr Michele Passarella

Psicologia della menzogna

Secondo lo scrittore Mark Twain tutti mentono, ogni giorno ed ad ogni ora, da svegli o da addormentati, nella gioia e nel dolore ed a suo giudizio la menzogna è essenziale per la condizione umana. La menzogna è un filo conduttore che attraversa tutta la storia del genere umano; nella letteratura sono molti gli esempi di protagonisti che hanno usufruito della menzogna per trarne un vantaggio: l'esempio più celebre è quello di Ulisse che con un inganno trova il mezzo per mettere fine ad una guerra ormai decennale. Ovviamente questo è solo un esempio letterario ma menzogna ed inganno sono due dimensioni alquanto pervasive della nostra specie e non solo. Nell'infanzia dire bugie è molto frequente, soprattutto nell'età prescolare o nello stadio pre-operatorio di Piaget in cui il bambino scopre di poter alterare arbitrariamente la realtà o per lo meno non raccontarla per intero; diverse ipotesi sono state avanzate per spiegare questa condotta: alcune si rifanno all'idea del pensiero onnipotente dell'infanzia secondo la quale mentire consente di sperimentare una sensazione di potere alimentando il proprio tratto di personalità narcisistico. Altre ipotesi chiamano in causa il desiderio del bambino di emanciparsi dai genitori avendo propri pensieri da nascondere. Se si escludono condizioni patologiche quali la mitomania o la confabulazione, in linea di massima si mente per evitarsi un problema o per trarre un vantaggio. Agli occhi degli Psicologi appare però evidente che la menzogna non è una condotta appannaggio esclusivo della specie umana anche se è ancora aperto il dibattito sull'intenzionalità da parte di un animale di ingannare. Konrad Lorenz, pioniere dell'Etologia, descriveva il comportamento della sua cagnolina Stasi, la quale zoppicava quando il tragitto della loro passeggiata non le era gradito; lo studioso riteneva questo comportamento intenzionale e volto ad ingannare il suo padrone. A parte questo esempio forse un po romanzato, la capacità di simulare e mentire è una caratteristica essenziale di molte specie animali. A livello didattico se  ne distinguono diverse categorie: la prima, alquanto elementare presente anche a livello vegetale, è quella del mimetismo finalizzato a nascondersi oppure quei comportamenti finalizzati ad appare più grandi del proprio aspetto per scoraggiare eventuali predatori; vi sono poi comportamenti più evoluti come quelli messi in atto per attirare l'attenzione di alcuni predatori ed allontanarli dalle tane dei cuccioli oppure fingersi morti per catturare animali che si cibano di carogne; ad un grado superiore poi troviamo quei comportamenti ingannevoli messi in atto generalmente da animali domestici e legati all'apprendimento per indurre i propri padroni ad elargire cibo. Ultimo grado di complessità troviamo la menzogna deliberata, esclusiva della nostra specie e di altri primati; essa viene pianificata in maniera cosciente con l'intento descritto prima di ottenere un vantaggio o per evitare un danno. In ottica evoluzionista questo comportamento può essere considerato a tutti gli effetti una strategia di sopravvivenza e di conservazione della specie; da alcune ricerche effettuate emerge che coloro che tendono a ricorrere con frequenza alla menzogna, hanno una maggiore facilità di trovare lavoro e di attirare membri del sesso opposto. Secondo altre ricerche il ricorso alla menzogna aumenta in funzione del volume neo-corticale: i membri della specie con cervelli più voluminosi sono più inclini ad ingannarsi a vicenda. In considerazione che gli esseri umani hanno l'indice di encefalizzazione (rapporto tra il volume dell'encefalo e peso corporeo) di circa nove volte superiore agli altri mammiferi si evince dunque come essa sia molto più frequente nella nostra specie ma si ipotizza anche che questo sia il motivo principale per la quale gli esseri umani hanno una fortissima inclinazione anche ad ingannarsi da soli tramite l'autoinganno.

Dr Michele Passarella

Il disturbo bipolare

Ogni persona, durante il corso di una giornata o nella normalità della propria esistenza, sperimenta sia variazioni del tono dell'umore che cambiamenti nell'equilibrio dell'espressione delle proprie emozioni e degli stati emotivi che identificano la personale capacità e modalità di pensare, comunicare e di agire nel mondo: l'umore rappresenta quindi l'insieme delle caratteristiche affettive che condizionano e definiscono la nostra esistenza. Il tono dell'umore può essere metaforicamente collocato su un asse nella quale posizionare lo stato umorale  verso un polo depresso oppure espanso con tutte le variazioni intermedie possibili. Come già detto, tristezza ed euforia, più o meno marcati a seconda del momento, rappresentano due aspetti tipici del nostro vivere quotidiano e sono solitamente la conseguenza di eventi che si susseguono nel corso della propria esperienza. Quando il tono dell'umore si manifesta in maniera marcata e tendenzialmente stabile verso uno dei due poli e non causati da un evento specifico si parla di disturbo dell'umore. Tra i disturbi dell'umore più diffusi vi è sicuramente il disturbo bipolare: come si evince dal nome stesso questo disturbo è caratterizzato dall'alternanza di momenti di euforia ed eccitamento a quello di depressione: l'alternanza di questi episodi è mutevole, ciascuno può durare un tempo variabile tra giorni o mesi; in alcuni casi le persone affette da questo disagio non sperimentano mai dei veri e propri viraggi umorali ma vivono entrambe le condizioni contemporaneamente. In passato le persone che manifestavano queste alternanze di umore spesso venivano considerati posseduti da demoni o altre entità metafisiche soprattutto a causa delle manifestazioni della fase maniacale la quale induce nella persona eccitazione, allegria irrefrenabile e spesso immotivata, comportamenti particolarmente seduttivi e tendenza alla promiscuità sessuale, incapacità di pianificare e gestire le proprie finanze con conseguenze disastrose sul piano economico, ridotto bisogno di sonno e di cibo, eloquio sconnesso ed eccessivamente fluente. Successivamente, con il progresso della medicina, queste manifestazioni sono state considerate come i sintomi di un disturbo mentale alla quale fu dato il nome di psicosi maniaco-depressiva per poi essere successivamente denominato appunto disturbo bipolare. Gli studi epidemiologici hanno messo in evidenza che questo disturbo è diffuso in tutte le culture e le etnie con caratteristiche invariabili; l'età di insorgenza è intorno ai 21 anni mentre si stima che la popolazione affetta a livello mondiale sia del 5,5%. Il disturbo è cronico e risulta invalidante se non trattato adeguatamente. Sulle cause gli studi sono ancora in corso ma si ipotizza che, nonostante non sia stato ancora individuato un gene specifico, esso abbia una componente biologica ed ereditaria; alla vulnerabilità biologica si sovrappongono frequentemente degli eventi stressanti che il più delle volte rappresentano il fattore scatenante. Le ricerche evidenziano inoltre che tra le persone affette dal disturbo bipolare vi è una percentuale molto alta di suicidi e tentati suicidi. Anche in virtù di questo aspetto si rivela di estrema importanza un intervento adeguato al fine di garantire il trattamento sintomatologico e la qualità di vita. Gli interventi psicofarmacologici sono il principale strumento di intervento alla quale risulta opportuno affiancare una psicoterapia mirata principalmente a favorire il processo di accettazione della propria condizione psichica, condizione indispensabile per seguire un trattamento farmacologico, ed anche per riuscire a convogliare le energie fisiche e psichiche verso obiettivi ritenuti prioritari dalla persona affetta. Agli interventi individuali sulla persona si aggiungono, dove vi sono le condizioni per attuarli, interventi di supporto ai familiari (famiglie singole oppure gruppi di famiglie) mirati a gestire lo stress alla quale sono sottoposti ma anche a sviluppare competenze emotive  e capacità gestionali finalizzate a prevenire una crisi oppure un tentativo di suicidio.

Dr Michele Passarella

La collera

La collera rappresenta una condizione emotiva alquanto diffusa nonostante sia generalmente sottovalutata, spesso fraintesa, sia a livello istituzionale che da parte di molti psicoterapeuti. Innanzitutto va fatta una precisazione linguistica: è piuttosto diffuso utilizzare il termine rabbia per indicare uno stato emotivo caratterizzato da una crescente eccitazione che si manifesta a livello verbale, meta-verbale o motorio che può culminare in comportamenti aggressivi nei confronti di oggetti, altre persone o verso se stessi. Per quanto diffuso, tecnicamente si tratta di un errore poiché il termine rabbia è un termine medico per indicare una malattia infettiva nota anche come idrofobia; l'espressione  corretta è appunto collera oppure ira. Al di la delle precisazione linguistiche, come detto prima la collera è una emozione con forti implicazioni sociali: secondo i dati ufficiali ogni anno in Italia avvengono circa 3000 omicidi ed oltre 3000 reati di violenza; se è assolutamente improprio considerare questi comportamenti conseguenza solo di emozioni disfunzionali quali appunto la collera, appare ugualmente riduttivo ignorare l'impatto delle emozioni disfunzionali su questi comportamenti distruttivi. Possiamo inoltre ricordare l'affermazione di un noto medico che ebbe a dire di aver visto più vittime causate da litigi e risse che suicidi e tentati suicidi causati dalla depressione. Oltre ad avere un impatto sociale la collera ha anche un impatto sul piano individuale: molti Psicologi hanno studiato la correlazione tra disturbi cardiaci e struttura di personalità individuando una correlazione appunto tra cardiopatie, ipertensione  ed emozioni quali la collera; quest'ultima inoltre pare essere correlata all'aumento abnorme dei livelli di colesterolo i quali si accumulerebbero nelle micro lesioni arteriose causate dagli eccessi di ira. Come sappiamo bene, la collera mina anche i rapporti interpersonali, sopratutto quelli affettivi nonché spesso è causa di problemi al lavoro compreso il licenziamento. Essa è una emozione universale sperimentata da tutti in determinate circostanze; sul piano evoluzionistico si ritiene sia una reazione per far fronte a pericoli e sopratutto a difendersi dinnanzi ad aggressioni; sul piano cognitivo è causata dalla valutazione degli eventi effettuata ed in particolare quando si ritiene sia violato un diritto proprio od altrui oppure una regola esplicita o implicita finalizzata alla convivenza. Per quanto sia una reazione universale, rappresenta un pericolo per se stessi e per gli altri nel momento in cui l'emozione viene sperimentata con eccessiva frequenza oppure con eccessiva intensità: in Psicologia sono stati elaborati dei programmi di gestione dell'ira alcuni dei quali risultano alquanto efficaci. Anche se questo è incoraggiante bisogna sottolineare che gli eccessi di ira sono spesso correlati a tratti di personalità ed in considerazione delle conseguenze deleterie sulla salute, per coloro che soffrono di eccessi di collera appare opportuno intraprendere una psicoterapia al fine non di gestire l'emozione ma di modificare i proprio tratti di personalità che ne sono la causa.

Dr. Michele Passarella

Lo stress

In Psicologia con il termine Stress si indica una reazione emozionale intensa attivata da una serie di stimoli esterni che mettono in moto risposte fisiologiche e psicologiche di natura adattiva. Il termine stress, mutuato dalla Meccanica, è stato introdotto in biologia negli anni '30 ma solo negli anni '70 si è avviato un processo di concettualizzazione e di ricerca scientifica sia in Medicina che in Psicologia. Tecnicamente un processo stressogeno viene diviso in tre fasi distinte: la fase di allarme nella quale la persona percepisce un esubero di richieste ambientali e di conseguenza avvia la messa in moto di risorse per affrontarle; la fase di resistenza nella quale la persona stabilizza le sue condizioni e si adatta alla nuova situazione; la fase di esaurimento nella quale si registra la caduta delle risorse e delle difese rendendo la persona vulnerabile e predisponendola verso lo sviluppo di sintomi sia fisici che psichici. Un evento stressante può essere acuto oppure cronico; lo stress cronico può a sua volta essere distinto in fasi intermittenti o costanti; quest'ultima è la condizione che maggiormente implica risposte psicologiche e fisiologiche che protraendosi nel tempo possono nuocere alla salute; sappiamo infatti che molte condizioni cliniche  come alopecia, sindrome del burnout, eczemi, gastralgia, emicranee ed altre sindromi, sono strettamente correlate alla risposta ormonale e psicologica agli stimoli stressogeni. Ognuno di noi sa per esperienza personale che lo stress è assolutamente inevitabile motivo per la quale esso non può essere considerato una condizione patologica, eccezion fatta appunto per le sindromi appena citate la quale necessitano di trattamenti medici o psicoterapeutici appropriati. Di conseguenza molti Psicologi sono attivamente impegnati in programmi finalizzati alla gestione dello stress ed alla prevenzione di malattie ad esso correlato. Alcuni eminenti ricercatori affermano che il principale modello di  "stress management" si avvale di tre componenti: la verbalizzazione degli stati emotivi, tecniche di rilassamento e programmi di problem solving. Gli interventi di stress management, pur condividendone alcuni aspetti, non sono degli interventi psicoterapeutici poiché finalizzati appunto alla gestione di situazioni difficili ed alla prevenzione delle suddette complicazioni. In merito, pur non essendoci dati certi,  si ipotizza che un intervento psicologico atto a gestire le situazioni stressanti oltre a comportare conseguenze positive per il singolo individuo, potrebbe comportare anche un beneficio in termini di riduzione dei costi della spesa pubblica evitando assenze sul lavoro nonché accertamenti e procedure mediche.

Dr Michele Passarella

La dissonanza cognitiva

Verso la fine degli anni 50 e l'inizio degli anni 60 in Psicologia si è sviluppato un crescente interesse nei confronti dei fenomeni cognitivi e del loro impatto sul comportamento umano; si parla comunemente di rivoluzione cognitiva, epoca nella quale la Psicologia ha conosciuto uno dei periodi più floridi nel campo della ricerca e nella scoperta o concettualizzazione delle dinamiche cognitive e di come esse intervengano nel comportamento umano e nelle relazioni sociali. I ricercatori impegnati nello studio della motivazione e della presa di decisione hanno presto compreso la necessità da parte del sistema cognitivo di una coerenza interna soprattutto tra il proprio stile di pensiero, spesso frutto di educazione o della cultura di riferimento, ma anche di questo stile di pensiero con il proprio comportamento. Dalla ricerca ma anche dall'esperienza quotidiana sappiamo però che questo molte volte non avviene e che tra i pensieri ed i comportamenti non vi è la suddetta coerenza: la sensazione, spesso spiacevole, che si associa alla consapevolezza che due o più delle proprie cognizioni sono in contraddizione tra di loro generano uno stato di dissonanza cognitiva.  Il disagio provocato è alla base di molti meccanismi motivazionali precedenti la presa di decisione: per lenire questo disagio le persone giungono modificare proprie convinzioni oppure mettere in atto processi di autoinganno, nonché cambiamenti comportamentali. Uno dei principali teorici della dissonanza cognitiva utilizzava come esempio coloro che odiano i ladri ma si trovano nella possibilità di acquistare dei prodotti a prezzi estremamente vantaggiosi tali da far propendere per essere il frutto di un furto; a quel punto la persona per mantenere la coerenza con i propri convincimenti in merito o rinuncia all'acquisto oppure metterà in atto processi cognitivi tali o da riabilitare coloro che rubano oppure da giustificare il proprio acquisto. Le ricerche ci ricordano come questi meccanismi cognitivi siano alquanto diffusi spesso messi in atto in maniera automatica e senza rifletterci molto.

Dr Michele Passarella

La comunicazione

Comunicare deriva dalle parole latine cum e munire ovvero mettere in comune, far partecipare. La comunicazione rappresenta un punto di incontro di svariate discipline la quale hanno approfondito questo aspetto partendo ognuna dai propri settori di interesse. Anche la Psicologia fin dai suoi esordi ha riservato a questo fenomeno un interesse particolare studiandone nei dettagli i suoi aspetti ed utilizzando ai fini pratici i risultati delle ricerche effettuate. Per comprendere l'importanza della comunicazione nella nostra vita quotidiana basta citare una celebre frase di un notissimo Psicologo la quale affermava "non si può non comunicare": ogni aspetto del comportamento umano ed animale ha una componente di messaggio agli astanti, siano essi conosciuti o sconosciuti. La comunicazione umana può essere divisa in tre settori: la sintassi, la semantica e la pragmatica. La sintassi riguarda i problemi relativi la trasmissione dell'informazione (codificazione, ridondanza, rumori). La semantica riguarda il significato dei messaggi mentre la pragmatica si riferisce all'influenza che la comunicazione ha sul comportamento: questi tre aspetti sono interdipendenti. Nella comunicazione umana ci sono possibilità diverse di far riferimento agli oggetti: dando loro un nome e quindi verbalmente oppure rappresentandoli con una immagine e dunque analogicamente; per comunicazione analogica si intende di conseguenza ogni forma di comunicazione non verbale (CNV). Elementi della comunicazione analogica sono la gestualità, la posizione del corpo, l'espressione del volto, l'inflessione della voce, il ritmo delle parole ed ogni aspetto della manifestazione non verbale di cui un individuo è capace. La comunicazione non verbale ha le sue radici nei periodi arcaici dell'evoluzione animale e rappresenta un repertorio innato nell'essere umano come dimostrano anche gli studi relativi lo sviluppo del linguaggio del neonato nel primo anno di età: prima di sviluppare una competenza linguistica, il bambino utilizza canali e modalità non verbali per comunicare con l'adulto, instaurando un rapporto strutturato sull'alternanza di compiti, turni e sulla complementarietà di ruoli e regole, riconosciuti da entrambi. Nonostante le differenze tra comunicazione umana e quella di altri mammiferi per tutti la comunicazione analogica definisce gli aspetti relazionali dell'interazione sociale ed i rapporti tra individuo ed ambiente; i due aspetti della comunicazione, verbale ed analogico coesistono e si integrano divenendo uno complementare all'altro. Sarà la contestualizzazione del messaggio comunicativo che ci consentirà di comprendere appieno il significato delle espressioni non verbali; dalla conoscenza del contesto possiamo infatti comprendere se piangere sia segno di gioia oppure di tristezza, sorridere se espressione di comprensione oppure di disprezzo e così via. Le ricerche hanno ripetutamente confermato quando l'esperienza comune ci insegna ovvero che la CNV essendo più primitiva e diretta ha una maggiore efficacia; se il messaggio verbale non coincide od è in contrasto con il non verbale il ricevente tende a considerare come veritiero il messaggio non verbale o al limite ignorare l'intero atto comunicativo al fine di non entrare in confusione. Questo perché la comunicazione è un processo di incontro e di collegamento tra le persone che entrano in contatto tra loro, che instaurano una relazione partecipativa, uno sforzo congiunto che implica un dare ed avere teso verso la comprensione comune. In merito alcuni ricercatori tendono a distinguere due tipi di comunicazione: simmetrica e complementare; la prima è caratterizzata dall'uguaglianza e dalla minimizzazione delle differenze mentre la seconda riguarda il processo opposto (un esempio tipico di questa comunicazione è quella del medico che comunica una diagnosi e fornisce spiegazioni tecniche al proprio paziente); in ogni caso il loro significato non è assoluto ed ognuno di noi può intraprendere una comunicazione simmetrica o complementare in base al contesto ed alle necessità. 

Dr Michele Passarella

Il disturbo d'accumulo

Conservare, accumulare e collezionare sono comportamenti largamente presenti non solo nella specie umana ma anche in quella animale; sul piano evoluzionistico questo può essere letto come un comportamento adattivo e finalizzato alla sopravvivenza nell'evenienza di scarsità delle risorse; nella specie umana questo è osservabile  anche nei confronti di oggetti non indispensabili o privi di utilità ma con un valore affettivo. E' esperienza comune per ognuno di noi interrogarci sulla possibilità di acquistare così come buttare o dar via oggetti non più utilizzati; questi dubbi possono variare da un estremo completamente adattivo ad un altro eccessivo oppure palesemente patologico. Nella letteratura specializzata già nel 1893 furono descritti comportamenti definiti di policollezionismo e policleptocollezionismo, entrambi caratterizzati da una raccolta ed un accumulo indiscriminato di oggetti di scarso valore, alcuni dei quali ottenuti a seguito di furti. Nel corso dei decenni queste tipologie di comportamenti disfunzionali sono stati poco studiati e considerati comportamenti secondari ad altre forme di disagio psicologico su tutti il disturbo ossessivo compulsivo. Successivamente i ricercatori hanno posto maggiore attenzione su questa problematica sostenendo che esso rappresenti una categoria specifica definendola disposofobia, dal greco paura di buttare. Il disturbo da accumulo patologico è definito sia dall'acquisizione e conservazione di un gran numero di oggetti apparentemente inutili o di scarso valore, sia dalla difficoltà ed il disagio di disfarsi dei propri oggetti; gli oggetti possono cambiare tra persone diverse così come presentarsi solo per alcuni oggetti e non per altri. Secondo alcuni studi epidemiologici si stima che tra il 2 ed i 5% della popolazione abbia un problema di accumulo con conseguente disagio che interferisce con la propria qualità di vita; altri ricercatori ritengono che la stima è sottodimensionata in quanto questi comportamenti tendono a non essere manifestati al di fuori delle mura domestiche; inoltre la disposofobia, come detto precedentemente, si manifesta anche in altre forme di disagio psicologico quali disturbo ossessivo compulsivo, depressione, fobia  sociale ed ansia generalizzata e sottovalutati dai clinici che se ne occupano. Al momento non sembrano esserci differenze di genere significative mentre chi ne è affetto presenta dei tratti di personalità simili ed alquanto stereotipati. Si presume che questi tratti di personalità rappresentino un fattore di rischio per lo sviluppo del disturbo in questione. Gli Psicologi che se ne occupano rilevano spesso come la differenza tra la patologia e la normalità sia alquanto sottile e questo rende ulteriormente complicato individuare la cause che inducono questi comportamenti. Al momento sono due le ipotesi maggiormente studiate: una si focalizza su dei deficit nella capacità di elaborare informazioni rendendo troppo difficile per la persona capire quali oggetti non acquisire oppure buttare; questa ipotesi è al momento suffragata da molte ricerche. Una seconda ipotesi si rifà al concetto di ansia da separazione che si manifesterebbe nel momento di decidere se buttare o meno un oggetto; per ridurre l'ansia la persona rinuncia a disfarsene: questa ipotesi non spiega in maniera esaustiva la tendenza all'acquisto di oggetti non necessari o completamente inutili. Le ricerche sono tutt'ora in corso e mirano a comprendere sia le cause ma anche i possibili rimedi per aiutare chi ne soffre; al momento pare che una combinazione di psicofarmaci e psicoterapia inducono dei miglioramenti nella sintomatologia e sulla qualità di vita delle persone affette. 

Dr Michele Passarella

I falsi ricordi

Nella seconda metà degli anni '70 negli Stati Uniti d'America si registrarono degli episodi che indussero le autorità locali ad indagare su un numero molto elevato di abusi sessuali denunciati e verificatisi all'interno delle famiglie. Ciò che attirò l'attenzione fu la modalità con la quale vennero scoperti: gli abusi in questione emersero durante le sedute di psicoanalisi e verificatisi molti anni prima e dunque nell'infanzia di coloro che li denunciarono. A seguito di lunghe ed approfondite indagini venne accertato che quello che gli psicoanalisti, sulla scia delle teorie freudiane,  consideravano ricordi rimossi emersi durante le sedute in realtà si rivelarono dei falsi ricordi, ovvero eventi mai accaduti ma che la mente aveva creato di sana pianta. Si accertò che gli psicoanalisti coinvolti, convinti del fatto i disturbi accusati dai propri clienti fossero il frutto di un abuso sessuale subito nell'infanzia e rimosso, concentrarono le proprie attenzioni su questo ponendo domande sempre più pressanti, invitando i propri assistiti ad evocare l'evento rimosso; i clienti, fortemente suggestionati, cominciarono a parlare del suddetto abuso creando dal nulla il ricordo che a quel punto divenne un evento reale e sopratutto realmente accaduto. Le persone coinvolte in questi episodi furono gravemente danneggiati, sia i clienti degli psicoanalisti che svilupparono non solo la consapevolezza di aver subito un abuso ma anche che l'autore era, nella maggioranza dei casi, un proprio caro, che gli stessi familiari  che si videro accusati di atti terribili senza averli realmente commessi. Questa vicenda drammatica mise in evidenza l'esistenza dei falsi ricordi eventi di cui la Psicologia si era già occupata ma sulla quale vi erano ancora moltissime discordanze; si avviò di conseguenza un approfondito lavoro di ricerca sia per evidenziarne definitivamente l'esistenza ma sopratutto per comprendere i meccanismi alla base della creazione. Oggi sappiamo che i falsi ricordi possono essere stabili o temporanei e creati a seguito di eventi particolarmente suggestivi (come quelli appena menzionati), oppure fantastici cioè nascono spontaneamente da idee stravaganti e ricorrenti e che successivamente divengono ricordi e convinzioni pur non essendo mai accaduti; questi ultimi spesso, ma non necessariamente, si creano in persone in momenti di difficoltà  o affetti da varie forme di disagio psichico. Alcune ricerche evidenziano anche come i falsi ricordi possono essere creati a seguito di traumi neurologici con conseguenti lesioni cerebrali così come a seguito di abuso di droghe. In merito alle cause psicologiche attualmente vi sono tre scuole di pensiero: una, basandosi sulla teoria della memoria come processo costruttivo, sostiene che è il ragionamento sugli stimoli percepiti che crea i falsi ricordi; una seconda teoria mette in evidenza il ruolo determinante delle fonti dalla quale provengono gli stimoli mentre una terza teoria mette in rilievo il ruolo dell'evento e del significato attribuito e la relativa coerenza tra essi. Ognuna di queste tre teorie si focalizza su alcuni aspetti specifici non necessariamente in contrasto tra di loro. L'esperienza comune ci dice che i falsi ricordi raramente assumono connotati drammatici ma che il più delle volte coinvolge ognuno di noi su questioni non particolarmente rilevanti e con conseguenze spesso neanche avvertite. Discorso diverso riguarda la raccolta delle testimonianze in materia giuridica dove i particolari rievocati possono avere conseguenze importanti; in merito è necessario che chi raccoglie le informazioni sia qualificato e ben consapevole dell'influenza del proprio ruolo, cosa già ampiamente nota a coloro che se ne occupano. Gli Psicologi nel corso degli anni hanno elaborato dei test per la verifica dell'attendibilità dei ricordi ma anche dei metodi di raccolta delle informazioni attendibili e poco inclini a raccogliere dati non attinenti con i fatti realmente accaduti.

Dr Michele Passarella

L'agorafobia

Il termine agorafobia deriva dal greco antico e significa letteralmente "paura della piazza" e con esso si indica l'ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile o imbarazzante allontanarsi o nei quali può non essere disponibile aiuto in caso di attacchi di ansia o per altre necessità. Sul piano epidemiologico spesso l'agorafobia si manifesta in comorbilità al disturbo di panico anche se non necessariamente le due condizioni sono associate. Bisogna sottolineare che a differenza dell'etimologia questo termine si usa anche quando l'ansia si manifesta quando si è soli in casa, quando si viaggia su mezzi pubblici o privati, in mezzo alla folla oppure in coda presso negozi o altri ambienti. Una delle caratteristiche delle persone con agorafobia è l'evitamento delle situazioni temute; l'evitamento genera un abbassamento dell'ansia la quale rinforza le dinamiche psicologiche che hanno generato il disturbo alimentando così un circolo vizioso che tende successivamente a rendere cronico il disturbo in questione. Per quanto sia impossibile definire in maniera generica le cause, sappiamo che spesso dietro l'agorafobia vi sono degli eventi particolari vissuti e o interpretati come nocivi dalla persona che li ha sperimentati; anche le reazioni delle persone care a quell'evento può incidere; è possibile che vi siano delle predisposizioni neurobiologiche ma in merito la ricerca non ha ancora sviluppato conoscenze definitive. I dati epidemiologici suggeriscono che l'insorgenza del disturbo avviene con maggiore frequenza nella tarda adolescenza mentre sulla diffusione non ci sono dati certi; sappiamo però che è più diffuso nelle donne la quale manifestano, generalmente, sintomi collaterali più marcati; anche il trattamento nelle donne appare più complesso. La qualità della vita delle persone che soffrono di agorafobia è particolarmente ridotta e molti di loro finiscono a vivere la propria esistenza entro confini ben precisi ed immodificabili, non allontanandosi dalla propria abitazione o uscendo di casa senza allontanarsi se non di qualche centinaio di metri; alcuni non riescono a recarsi presso luoghi dalla quale non è visibile la propria casa. Questo porta inevitabilmente ad un impoverimento delle relazione sociali, tensioni nelle relazioni familiari ed in alcuni casi anche perdita del lavoro. Nei casi più gravi l'agorafobia diviene pervasiva e debilitante divenendo a tutti gli effetti una patologia invalidante. Tra le persone affette si registra un consumo eccessivo di farmaci ansiolitici così come è maggiore il rischio di sviluppare comportamenti nocivi quali abuso di alcol.  Come spesso accade nelle condizioni di sofferenza psicologica, una delle aggravanti principali è rappresentato  dalla difficoltà per le altre persone a comprendere il disagio di chi è affetto da agorafobia aumentando di conseguenza le sofferenze. La difficoltà ad allontanarsi da casa rende ovviamente complesso sia l'individuazione che il trattamento del disturbo; solitamente la persona affetta necessità di una motivazione particolarmente forte a recarsi presso un professionista per un consulto. Gli studi d'efficacia indicano la psicoterapia come un trattamento affidabile e con percentuali di remissioni incoraggianti; anche in questi casi, quando i sintomi ansiosi sono particolarmente invalidanti, l'abbinamento della psicoterapia con un trattamento farmacologico aumenta la possibilità di un ritorno ad un funzionamento soddisfacente per la persona.

Dr Michele Passarella

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