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Michele Passarella

Michele Passarella

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Gli stereotipi

Tutti noi abbiamo nella nostra mente schemi precostituiti sia relativi alle singole persone che riguardanti interi gruppi: gli schemi di questo genere sono chiamati stereotipi. Lo stereotipo può essere definito come una opinione precostituita che prescinde dalla valutazione del singolo caso ed è il frutto di un antecedente processo di ipergeneralizzazione e/o ipersemplificazione ovvero il risultato di una falsa operazione deduttiva. Indipendentemente da quanto sia accurata la rappresentazione mentale stereotipata di un singolo o di un gruppo, essa ha il potere di distorcere il nostro giudizio sia in senso positivo che negativo. In Psicologia si è soliti distinguere tre diversi livelli di stereotipi: pubblico, privato ed implicito; il livello pubblico si riferisce a ciò che esprimiamo pubblicamente in merito ad un singolo individuo o gruppo; il livello privato si riferisce a quello che pensiamo ma non condividiamo con altri mentre quello implicito si riferisce all'insieme di associazioni mentali apprese che governano i nostri giudizi in merito agli stereotipi; sono questi ultimi a favorire lo sviluppo di azioni ed attribuzioni inficiate dai pregiudizi. Gli studi di laboratorio rivelano la profonda penetrazione degli stereotipi impliciti nella popolazione generale ed i contenuti di questi dirigono pensieri e comportamenti anche in coloro i quali verbalmente affermano di non esserne influenzati evidenziando il ruolo dei processi di apprendimento e di condizionamento in merito. Oltre ad influenzare azioni ed atteggiamenti, gli stereotipi alimentano le nostre aspettative nei confronti degli altri; queste aspettative di conseguenza possono creare conflitti  quando queste non vengono confermate soprattutto in merito agli stereotipi positivi; da sottolineare però che la sconferma di una aspettativa negativa solitamente non induce un cambiamento dello schema precostituito. Gli stereotipi possono essere alla base di Profezie autoavverate nonché di pregiudizi e discriminazioni: essi si formano a causa del principio di economia della mente umana; elaborare giudizi generalizzati e semplificati e la successiva applicazione riduce il carico di lavoro del sistema cognitivo il quale è impegnato costantemente nell'elaborazione delle informazioni le quali non possono essere tutte processate e valutate in maniera approfondita. Gli studi di laboratorio confermano una maggiore tendenza a ragionare in maniera stereotipata quando la mente è affaticata oppure è preoccupata da qualcosa: lo stereotipo dunque rappresenta una scorciatoia automatica utilizzata dai processi di valutazione quando mancano energie mentali, tempo a disposizione oppure motivazioni ad elaborare giudizi con criteri strettamente logici. Gli stereotipi possono essere superati aumentando le conoscenze in merito a coloro i quali sono investiti dai giudizi stereotipati nonché aumentando la consapevolezza dei processi mentali che generano questi giudizi.

Dr Michele Passarella 

L'alessitimia

Gli stimoli che producono uno stato di attivazione fisiologica solitamente provocano anche sentimenti quali rabbia, gioia, paura e via dicendo che nel linguaggio comune chiamiamo emozioni: gli Psicologi sono soliti definire l'emozione come un tipo particolare di esperienza provocata da oggetti od eventi, reali od immaginari altamente significativi per l'individuo e strettamente soggettivi. Esse tendono ad insorgere in maniera spontanea, rapida ed automatica e sono il frutto della valutazione individuale della realtà che ci circonda; si è sviluppata attraverso la selezione naturale ed è finalizzata sia alla sopravvivenza individuale che della specie. Tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anno '70 del secolo scorso gli Psicologi notarono che alcune persone non erano in grado di discriminare le emozioni provate oppure non erano in grado di nominarle; in merito fu coniato il termine "Alessitimia": dal greco antico, mancanza di parole per le emozioni. Inizialmente questa condizione era stata notata in utenti con problematiche all'epoca definite "psicosomatiche" e fu considerata una possibile causa: queste persone non riuscivano a dare un nome alle proprie emozioni che venivano confuse sistematicamente con le sensazioni corporee: l'incapacità di dare un nome alle proprie emozioni si rifletteva di conseguenza sul corpo la quale reagiva sviluppando disturbi somatici. Nelle persone nella quale veniva individuata l'Alessitimia si riscontrava inoltre un impoverimento della comunicazione, una postura rigida nonché scarsa capacità empatica. In estrema sintesi  le possibile cause sono state individuate in un deficit del funzionamento dell'emisfero cerebrale destro oppure in un deficit della comunicazione tra i due emisferi del cervello. Dall'esperienza e dalle ricerche degli Psicologi oggi sappiamo che questa determinata caratteristica non è presente solo in persone con problemi di somatizzazione; essa è riscontrabile anche in utenti con altre tipologie di problemi di salute quali cardiopatie o disturbi emotivi oppure in persone con difficoltà relazionali ed isolamento sociale. Pur essendo piuttosto rara e di conseguenza di difficile individuazione, non pochi Psicologi hanno riscontrato l'Alessitimia anche in persone prive di problemi di salute, fisica o psichica, considerandola però come un fattore di rischio; naturalmente questa è stata riscontrata con diversi gradi di pervasività e compromissione. Come è stato accennato in precedenza questa condizione non è particolarmente diffusa e gli Psicologi sono impegnati nel comprendere se si tratta di uno stato raro oppure diffuso ma non individuato: sono stati elaborati in merito alcuni test per la valutazione ma per quanto riguarda il trattamento molti ricercatori sono alquanto pessimisti sull'individuazione di un trattamento realmente efficace: la Psicoterapia rappresenta la strada elettiva anche se il percorso psicoterapeutico con persone alessitimiche si connota per tempi molto lunghi e difficoltà marcate rispetto ad altre tipologia di utenza.

Dr Michele Passarella

La memoria

La memoria rappresenta una della facoltà mentali superiori di inestimabile importanza per la nostra vita quotidiana; alcuni eminenti Psicologi l'hanno paragonata alla digestione in quanto tendiamo a darla per scontata e molti di noi  si accorgono di possederla solo quando non funziona bene. La memoria è strettamente correlata all'apprendimento ed al linguaggio ma anche all'identità  ed alla personalità; è utile ricordare che essa non è localizzata in una zona specifica del cervello anche se vi sono alcune zone sottocorticali, come l'ippocampo, maggiormente coinvolti nei processi mnestici. In sintesi essa consiste in un insieme di procedure per la conservazione, la gestione e l'uso delle informazioni in nostro possesso. E' importante sottolineare il concetto relativo alle procedure al fine di evitare l'appiattimento o l'esasperazione della metafora con il magazzino, molto diffuso anche in ambito accademico, in quanto la memoria è una facoltà cognitiva dinamica e creativa il cui funzionamento non è statico ma rappresenta sempre un processo attivo: la nostra mente infatti non evoca ricordi ma li ricostruisce sistematicamente. Didatticamente la memoria si divide in memoria sensoriale, memoria di lavoro (in passato questa era chiamata memoria a breve termine) e memoria a lungo termine. La memoria sensoriale, la cui capacità ritentiva è stimata di 1 secondo circa, elabora ed eventualmente invia alla memoria a lungo termine gli stimoli sensoriali percepiti: si ipotizza una diversa memoria per ogni sistema sensoriale anche se quelli sulla quale la Psicologia si è maggiormente focalizzata è relativa alle sensazioni visive (memoria iconica) e quelle uditive (memoria ecoica). Alcuni ricercatori tendono a differenziare la memoria di lavoro da quella a breve termine ma le recenti acquisizioni della ricerca sostengono una sostanziale sovrapposizione di queste due tipologie; il termine memoria di lavoro è da preferire in quanto sottolinea il carattere funzionale del processo di immagazzinamento finalizzato alla creazione di nuove tracce mnestiche permanenti. Si stima che la capacità della memoria di lavoro sia di circa 7 spam mnestici oltre la quale il processo cognitivo si sovraccarica vanificando l'intero percorso di consolidamento. La memoria a lungo termine rappresenta il concetto più comune di memoria in quanto in essa è conservato tutto quello di cui una persona è a conoscenza: la memoria a lungo termine è divisa in semantica, nella quale sono presenti i concetti ed i significati (come comprendere e produrre il linguaggio parlato); episodica, nella quale sono presenti gli eventi alla quale abbiamo preso parte (questa tipologia ha una forte componente autobiografica); e procedurale, nella quale sono presenti i ricordi in merito alle azioni e comportamenti (come ad esempio la scrittura o la guida).  Per quanto sia piuttosto difficile elaborare una teoria olistica per spiegare il funzionamento di questa facoltà cognitiva si è soliti suddividere i processi del funzionamento mnestico in processi di acquisizione e codifica; processi di ritenzione ed immagazzinamento e processi di recupero dell'informazione. Alcune teorie sostengono che la mente umana non dimentica nulla, semplicemente non riesce a rievocare un ricordo; attenendoci alle conoscenze acquisite con la ricerca scientifica sappiamo che in realtà i ricordi immagazzinati possono andare incontro al processo di oblio; questo è dovuto probabilmente a deficit delle procedure di immagazzinamento e o di recupero: anche la cosi detta amnesia infantile, fenomeno sostanzialmente universale, è a tutti gli effetti un processo di oblio; esso non è dovuto a fantomatici processi di rimozione ma a deficitarie capacità di consolidamento tipiche dell'età infantile nonché a processi biochimici in atto nella fase di sviluppo. Come è stato accennato in precedenza la capacità di ricordare in realtà è un fenomeno di costruzione e ricostruzione degli eventi; in merito è da sottolineare anche la possibilità di creare falsi ricordi di eventi mai percepiti o alla quale non si è mai assistito; questo fenomeno è spesso associato alla suggestionabilità della persona  nonché dalla situazione contingente nella quale i ricordi vengono elaborati: questi fenomeni sono ben noti agli inquirenti ed a coloro che sono addetti alla raccolta delle testimonianze: da sottolineare inoltre che anche i ricordi emersi durante l'ipnosi non sono esenti da questo fenomeno inducendo molto Psichiatri e Psicoterapeuti a diffidare da questa pratica.

Dr Michele Passarella

Il concetto di sè e l'autostima

Il concetto di sè e l'autostima hanno ricevuto considerevole attenzione nella letteratura psicologica; alcuni autori, forse in maniera eccessiva, considerano l'autostima come metro di valutazione della salute mentale individuale. il concetto relativo all'autostima è emerso solo in anni relativamente recenti: nel medioevo era praticamente sconosciuto; la nostra idea di individuo come unità autonoma, autodeterminante capace di prendersi la responsabilità della propria esistenza è emersa nel rinascimento e soprattutto nell'illuminismo, anche se è possibile affermare che l'idea di sentirsi competenti e percepire una sensazione di efficacia sia quasi un bisogno intrinseco della natura umana. Sinteticamente si può definire l'autostima come la valutazione emessa in merito alle informazioni di cui siamo in possesso su noi stessi, mentre si è soliti distinguere, in maniera didattica, l'autostima in stabile o fluttuante nonché in specifica o generale. La valutazione di sè stessi è influenzata dagli apprendimenti e dalle esperienze maturate nell'infanzia nonché dai comportamenti dei genitori e degli adulti significativi verso il bambino la quale inevitabilmente creerà dei giudizi ricalcando gli esempi alla quale è esposto. Il concetto di sè e l'autostima hanno una importanza notevole in ogni dominio psicologico influenzando motivazione, emozioni, atteggiamenti e comportamenti sociali ma soprattutto focalizzazione dell'attenzione e memoria: alcune ricerche suggeriscono che selezioniamo gli stimoli alla quale siamo sottoposti e li interpretiamo secondo  canoni conformi al concetto che abbiano di noi stessi. Quest'ultimo fattore ha indotto molti Psicologi e Psicoterapeuti a considerare l'autostima come una trappola la cui sottovalutazione potrebbe avere spiacevoli conseguenze. A parte il rischio di cadere in tentazione affermando frasi banali e fuorvianti tipo "se credi in te stesso, anche gli altri lo faranno" e similari,  se selezioniamo ed interpretiamo gli stimoli circostanti in maniera conforme al nostro concetto di sè e di conseguenze in maniera conforme alle nostre aspettative, si crea il rischio di generare un circolo vizioso nella quale la valutazione finale alimenterà quella iniziale amplificando di conseguenza la valutazione di sè indipendentemente se essa era positiva o negativa. Anche l'idea di aumentare la stima di sè è una trappola alla quale molte figure, più o meno riconosciute, spesso cadono; infatti l'idea dell'esistenza di alta o bassa autovalutazione si basa su costrutti soggettivi e non realmente codificabili rendendo impossibile stabilire realmente cosa fare e quali criteri adottare per stabilire cosa significa avere una autostima alta oppure bassa.

Dr Michele Passarella

La profezia che si autoavvera

Nel 1968 due noti Psicologi nord-americani somministrarono dei test di intelligenza fittizi in una scuola elementare; successivamente al corpo insegnanti di quella scuola fecero credere che questi test avevano individuato alcuni bambini particolarmente dotati e che a distanza di poco avrebbero fatto un salto di qualità nella crescita intellettiva con un elevato profitto scolastico: i bambini, assolutamente ignari, furono segnalati ai rispettivi insegnanti. Naturalmente i test non avevano nessun valore ma i bambini casualmente etichettati come prossimi a quell'incremento di profitto a distanza di otto mesi avevano realmente ottenuto un profitto scolastico migliore rispetto ai compagni e sottoposti a test di abilità intellettiva reali ottennero dei risultati migliori rispetto al resto dei bambini di quella scuola. Dalle indagini successive emerse che gli insegnanti, in quegli otto mesi, avevano avuto nei confronti dei bambini segnalati un atteggiamento più affettuoso, lasciavano più tempo a disposizione  per rispondere alle domande, assegnavano compiti a casa più impegnativi, notavano e rinforzavano, nonché stimolavano maggiormente i comportamenti e le attività intraprese da quei bambini. In definitiva, gli insegnanti crearono per quegli allievi un ambiente che favoriva un migliore apprendimento ovvero un ambiente nella quale le loro aspettative fossero favorite e dunque crearono una profezia che si autoavvera. Le nostre credenze e le nostre aspettative, che siano o meno corrispondenti al vero, possono in certa misura creare la realtà attraverso la loro influenza sul nostro e sull'altrui comportamento: questi effetti sono appunti noti come "Profezie che si autoavverano" o "Effetto Pigmalione". Numerosi esperimenti hanno dimostrato che questa dinamica mentale esiste ed influenza in maniera notevole il nostro comportamento: se una persona A crede, o viene indotta a credere, che una determinata persona Z sia in possesso di una determinata caratteristica, il comportamento di A verso Z può indurre quest'ultimo a manifestare esattamente quella caratteristica trovando conferma implicitamente od esplicitamente al proprio assunto di partenza. Questo tipo di comportamento è facilmente riscontrabile negli stereotipi culturali ed in alcune forme di pregiudizi; anche altre forme di comportamenti facenti leva sulla suggestionabilità degli uditori, come cartomanzia, astrologia ma in parte anche grafologia fanno leva su questa dinamica mentale alla quale ognuno di noi difficilmente può sottrarsi.

Dr Michele Passarella

La Psicologia Ingenua

Noi esseri umani siamo per natura animali sociali: l'evoluzione ci ha resi dipendenti gli uni dagli altri per la soddisfazione dei nostri bisogni, compresi quelli più essenziali. La conseguenza ovvia di questo è che all'interno della società si è reso indispensabile acquisire conoscenze dagli altri e mettere in comune le proprie di conoscenze al fine di sopravvivere e prosperare. Anche a causa di queste relazioni, parte di ciò che ogni essere umano pensa è costituito da pensieri su se stessi, le altre persone, le nostre relazioni e le convenzioni sociali, siano essere regolamentate da norme istituzionalizzate oppure implicitamente accettate e rispettate. Non è raro ascoltare frasi del tipo "anche io sono un po' Psicologo": se questa frase risulta mortificante per coloro i quali hanno dedicato parte della propria esistenza a studiare e diventare Psicologo, in realtà non è completamente errata. Già negli anni '50 del 20° secolo, Psicologi di rilievo parlavano di Psicologia Ingenua riferendosi alla naturale inclinazione di ogni individuo a valutare i tratti di personalità o le caratteristiche psicologiche delle persone con la quale si relazionavano. Questo comportamento ha una valenza evoluzionistica in quanto soddisfa una chiara funzione adattiva: comprendere se le persone con la quale ci relazioniamo possono essere di aiuto o procurarci un danno ci permette di prevederne il comportamento e di decidere come interagire con loro. Le ricerche hanno evidenziato che persone anche prive di competenze nel campo della Psicologia sono spesso molto precise e veloci nel valutare la personalità altrui attraverso l'osservazione del comportamento. Tuttavia la precisione con cui formulano questi giudizi sugli altri è spesso inficiata da alcuni errori o vizi sistematici determinati prevalentemente dall'utilizzo ridotto delle facoltà mentali, oppure dalla disponibilità di informazioni limitate sulla quale ragionare, oppure quando motivazioni particolari inducono a trarre determinate conclusioni, spesso in linea con le aspettative di partenza. Queste tipologie di errori però rappresentano un'area di indagine molto interessante per gli Psicologi di professione poiché forniscono informazioni sui processi mentali che contribuiscono alla formazione della percezione altrui e sui giudizi emessi, siano essi accurati od inesatti. Elaborare valutazioni sui comportamenti degli altri dunque rappresenta un comportamento inalienabile alla quale ognuno di noi non può sottrarsi; le conclusioni alla quale arriviamo indirizzeranno il nostro agire e condizionerà quello degli altri. L'aggettivo ingenuo non si riferisce necessariamente ad una errata o superficiale valutazione ma si riferisce, tra l'altro,  al fatto che a differenza di una valutazione effettuata in ambito professionale le conclusioni alla quale giungiamo non sono particolarmente accurate, anche per via della velocità di valutazione e dal tempo, spesso ridotto a disposizione per elaborare la stessa, nonché della verifica alla quale la valutazione viene sottoposta una volta elaborata.

Dr Michele Passarella

La psicoterapia.

 

Nonostante l'ampia diffusione della Psicologia e della figura dello Psicologo, appare evidente come vi sia molta confusione in merito alla professione di Psicologo e sopratutto come si tenda comunemente a confondere lo Psicologo con lo Psicoterapeuta. Lo Psicoterapeuta è un professionista che si adopera nel settore della salute mentale proponendosi come obiettivo sia l'intervento clinico che la prevenzione del disagio psicologico ed a differenza dello Psicologo esercita interventi terapeutici e/o riabilitativi sia individuali che di gruppo estremamente complessi e variegati, spesso effettuati in un lasso di tempo continuato e durevole.

La Psicoterapia non è una disciplina recente anche se non è possibile stabilire in modo chiaro la nascita di questa pratica; sappiamo, ad esempio, che  già alla fine del 1700 in medicina molti specialisti che si occupavano di disagio mentale praticavano tecniche oggi considerate psicoterapeutiche.

Nel 20° secolo lo sviluppo delle teorie psicologiche e gli esperimenti effettuati nei laboratori di Psicologia interessarono anche la Psicopatologia e la Psicoterapia gradualmente si affrancò dalla Psichiatria senza però creare una reale contrapposizione tra i diversi professionisti. La Psicoterapia è un metodo di intervento che si occupa prevalentemente, ma non solo, della sofferenza psicologica; viene applicata come intervento terapeutico per disturbi psichici di varia natura e gravità (gli studi di efficacia sostengono come più un disturbo psichico è pervasivo ed invalidante più è opportuno affiancare ad un trattamento farmacologico quello psicoterapeutico) ma si propone come intervento per molte tipologie di problematiche: la Psicoterapia infatti è un percorso che ha come obiettivo il cambiamento individuale e si serve delle risorse interne della persona che in pratica dirige questo cambiamento verso modalità emotive, cognitive e comportamentali da essa auspicate.

La Psicoterapia si basa sul colloquio e sopratutto sulla relazione terapeutica, tipologia di relazione "sui generis" non paragonabile ad altre relazione conosciute: colloquio e relazione sono però solo la cornice all'interno della quale avviene il processo di cambiamento: le tecniche utilizzate sono particolarmente complesse e variabili la cui applicazione richiede una formazione specialistica particolare non possibile da acquisire, come molti pensano, solo con l'esperienza. La Psicoterapia è una disciplina non omogenea e si possono contare svariate forme di Psicoterapia, alcune tra loro molto distanti e differenti tutte però accomunate dagli obiettivi e dal modus operandi, su tutti il presupposto di indagare ed affrontare le cause del problema e non, dunque, focalizzandosi solo sul problema presentato o sintomo nel caso dei disturbi psichici. In virtù della complessità dell'applicazione di un intervento psicoterapeutico, lo Psicoterapeuta prima di esercitare è obbligato ad un percorso formativo lungo e complesso alla quale è possibile accedere dopo la laurea in Psicologia o Medicina; come per lo Psicologo, anche per lo Psicoterapeuta si ravvisano molti casi di abuso della professione, condotta grave che si ripercuote sull'efficacia dell'intervento a scapito dell'utente: non appare superfluo ricordare anche a coloro i quali scelgono di rivolgersi ad uno Psicoterapeuta di accertarsi di interagire con un professionista abilitato.

 

Dr Michele Passarella

 

 

 

 

L'atleta e la sua personalità

 

Tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso, la Psicologia ha cominciato ad interessarsi in maniera professionale allo sport ed alle dinamiche psicologiche che caratterizzano l'atleta professionista anche se abbiamo notizie di pregressi contatti tra Psicologi ed atleti. Infatti già agli inizi del '900 gli Psicologi avevano avviato studi sugli aspetti psicologici dei ciclisti e delle dinamiche emotive e collaborative che si creavano tra questi atleti durante le cosi dette fughe; si trattava più che altro di teorizzazioni basate su colloqui con gli atleti coinvolti e non di studi strutturati. Lo Psicologo dello sport si occupa prevalentemente di collaborare con l'atleta e/o il gruppo sportivo al fine di indagare e favorire i tratti di personalità, le motivazioni, le capacità di gestione delle emozioni, di problem solving, di cooperazione con tecnici ed allenatori nonché, per gli sport di squadra, la collaborazione tra atleti. Ciò che caratterizza un atleta che pratica attività agonistica è la motivazione al risultato e soprattutto i tratti di personalità che ne favoriscono il raggiungimento. In maniera un po' sorprendente, apprendiamo dagli studi di personalità dell'atleta che le differenze sostanziali e significative non sono tra atleta e non atleta ma tra atleti di livello diverso, raggiunto o raggiungibile.L'atleta professionista o agonista deve possedere dei tratti di personalità flessibili che lo aiutano ad adattarsi alle condizioni di vita necessarie alla pratica sportiva, a sottoporsi ad allenamenti e regimi alimentari complessi  e spesso faticosi, a sopportare il dolore fisico, a superare delusioni e paure e soprattutto ad avere la giusta dose di agonismo che lo guidano ad raggiungimento dei risultati.

Tra gli innumerevoli esempi da citare, è noto che nella Lega Professionistica di Pallacanestro Nord Americana (NBA), l'ultimo vincitore del premio di miglior giocatore della stagione da ragazzo era stato escluso da svariati osservatori a causa di parametri fisici non pienamente soddisfacenti; gli psicologi consultati misero in evidenza come le caratteristiche psicologiche possedute dall'atleta potessero sopperire a quelle fisiche, caratteristiche psicologiche che hanno, tra le altre cose, contribuito  proprio al potenziamento di alcuni dei parametri fisici, consentendo così all'atleta non solo l'accesso nel mondo dei professionisti ma anche di divenire uno dei giocatori in assoluto più forti ed apprezzati del mondo.

 

Dr Michele Passarella 

L'annosa disputa natura-cultura

Come in altre discipline, anche in Psicologia si è dibattuto a lungo sulla natura umana ed in particolare se il funzionamento mentale ed il comportamento fossero il risultato dell'influenza della biologia oppure della cultura. Questa disputa tra innatisti ed ambientalisti è sorta fin dalla nascita della Psicologia ed è stata al centro di numerosi ed accesi dibattiti, in realtà non ancora conclusi. Come spesso accade in Psicologia, entrambe le parti in causa hanno condotto prove ed esperimenti e portato evidenze a favore della proprio posizione. Ad esempio, agli inizi del '900 due scuole di pensiero hanno arricchito questa contrapposizione: la Scuola della Gestalt e la Scuola Behaviorista.

I Gestaltisti eseguirono esperimenti evidenziando come i fenomeni percettivi, soprattutto visivi, non potessero essere spiegati come abilità apprese asserendo che questi risultati potessero essere estesi anche ad altri aspetti del comportamento umano. Dal canto loro i Behavioristi, estremizzando la posizione ambientalista, evidenziarono come la natura umana fosse determinata dagli apprendimenti e dai condizionamenti  dell'ambiente, introducendo concetti successivamente ripresi dalla medicina e dalla politica per riformare le istituzioni manicomiali.

Negli anni '50 la posizione Behaviorista sembrò essere superata a seguito degli studi sullo sviluppo del linguaggio: fu evidenziato come fosse impossibile che il linguaggio, facoltà cognitiva complessa, potesse essere il frutto dell'apprendimento come sostenuto dai teorici di questa scuola di pensiero: furono evidenziate molte prove che ridimensionavano la posizione ambientalista. La soluzione a questo dibattito però non fu trovata li poiché si mise in evidenza che dallo studio dei casi fin li conosciuti, rarissimi, di bambini cresciuti in isolamento, emergeva che questi, una volta inseriti in società non acquisirono mai, nonostante programmi educativi ed abilitativi intensi successivamente attuati, le competenze non solo linguistiche ma anche comportamentali degli umani cresciuti e che si erano relazionati fin dalle primissime fasi di vita con i propri simili: la posizione ambientalista e Behaviorista dunque non poteva essere accantonata come si era, un po riduttivamente, creduto.

Negli anni '70 in Psicologia si è sviluppato un filone di ricerca con l'obiettivo di trovare una sintesi delle due posizioni elaborando il cosi detto modello Bio-Psico-Sociale: questo modello si propone lo studio della mente umana cercando di considerare sia le componenti biologiche che psicologiche, portando la ricerca in Psicologia a fare un salto di qualità pur non trovando una soluzione definitiva alla contrapposizione tra innatisti ed ambientalisti.

Va ricordato che a se seguito della mappatura del DNA umano, è stato possibile osservare un numero molto elevato di studi la quale collegavano singoli geni a determinati comportamenti, compresi gusti cromatici oppure la predilezione per le ore notturne rispetto a quelle diurne; queste ricerche non sembrano però dare risposte esaustive  e bisogna sottolineare che anche quando le neuroscienze muovevano i primi passi si osservò un fenomeno simile: ogni comportamento o facoltà mentale aveva (o si presumesse avere) una specifica area cerebrale. In attesa di nuove acquisizione scientifiche, oggi è possibile affermare che la complessità del comportamento umano risiede proprio nell'intreccio complesso di fenomeni biologici e genetici, psicologici e sociali.

 

Dr. Michele Passarella

L'immagine mentale

 

L'immaginazione è la capacità di rappresentare mentalmente qualcosa in sua assenza oppure non percepita in quel momento dagli organi di senso; l'attività immaginativa coinvolge rappresentazioni mentali di ciascuna modalità sensoriale quali vista, olfatto, udito, gusto, cinestesia. Essa rappresenta una delle facoltà cognitive superiori ed è strettamente connessa ad altre facoltà mentali in modo particolare memoria, apprendimento,  percezione ed anche i processi creativi: non è una facoltà mentale esclusiva dell'essere umano in quanto presente in molte specie animali, non solo mammiferi. Pur essendo un'attività mentale pervasiva, essa non ha ricevuto particolari attenzioni da parte della comunità scientifica fino agli anni '60 del secolo scorso quando in Psicologia è cominciata la cosi detta rivoluzione cognitiva; da allora l'immaginazione è stata oggetto di numerose ricerche che ne hanno rivelato il funzionamento ed il rapporto con altri processi mentali e relazionali nonché stimolando dibattiti tra ricercatori e lo sviluppo continuo di ipotesi, su tutte, quelle che maggiormente hanno interessato i ricercatori, riguarda  l'immaginazione come una rappresentazione analogica oppure una rappresentazione proposizionale della realtà: in merito sono state portate evidenze empiriche a sostegno di entrambe le posizioni.  Particolare attenzione ha ricevuto l'immaginazione visiva le cui ricerche hanno, ad esempio, chiarito alcuni aspetti sull'attività onirica e su possibili funzioni dei sogni e la loro incidenza sul comportamento. In merito all'attività onirica è utile ricordare due fenomeni non molto frequenti ma fonte di paura e preoccupazione pur essendo assolutamente fisiologici: le immagini ipnagogiche e le immagini ipnopompiche. Queste sono immagini che si creano quando si passa dallo stato di sonno a quello di veglia (ipnagogiche) oppure viceversa nella fase di addormentamento (ipnopompiche) nella quale le immagini mentali (non solo quelle visive) appaiono come particolarmente vivide e presenti materialmente pur essendo irreali: alcuni ricercatori sostengono essere materiale onirico. Lo studio di questa facoltà cognitiva ha portato dei benefici nelle attività di abilitazione o riabilitazione in persone affette da deficit sensoriali congeniti oppure acquisiti a seguito di traumi, inoltre sono molto utilizzate, tra le molte discipline psicologiche, in Psicologia dello sport al fine della preparazione mentale degli atleti. Ampio è invece il capitolo dell'utilizzo di queste conoscenze in Psicoterapia in modo particolare per il trattamento dei disturbi fobici o di disturbi post traumatici con risultati particolarmente convincenti. Tra le moltissime che meriterebbero di essere menzionate, ricordiamo come dall'esperienza degli Psicoterapeuti che utilizzano l'immaginazione nei loro trattamenti si è sviluppata la Psicoterapia basata sulla realtà virtuale, attualmente in uso presso alcuni eserciti (il costo dei materiali impiegati è notevole) per il recupero di soldati affetti da disturbo da stress post traumatico.

Dr Michele Passarella

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