Il nuovo romanzo di Anna R. G. Rivelli*, “Se ci sono due alberi” pubblicato da Eretica edizioni, è da leggere assolutamente, sorprende e coinvolge piacevolmente il lettore con la sua atmosfera narrativa molto originale. L’intenso libro è dedicato “A chi ha paura di vivere perché ne trovi il coraggio”. Una citazione di Oscar Wilde è messa in esergo: “Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto”.
La protagonista Lu è stata trovata priva di sensi, senza documenti e con febbre altissima sul sedile di un treno. Si risvegliava senza memoria in un luogo “scialbamente condizionato e condizionante” e si domanda continuamente: “Se ci sono due alberi in fondo alla strada, perché ostinarsi a negarne uno?”. Le sue idee logiche infastidivano la psicologa e lo psichiatra con i quali seguiva la terapia: “le risposte di Lu erano pertinenti e consequenziali sebbene a volte sembrassero estrapolate da un altro libro. Dei versi di Prevert, insomma, finiti dentro un testo di Trilussa (…) Quella ragazzetta di cui non si indovinava l’età aveva rovesciato i ruoli con un ragionamento lucido e perfetto che non faceva una piega. (…) Era lei la più forte. Lei che doveva essere guidata, ora guidava; lei che doveva essere interrogata, interrogava. E interrogava con piglio vigoroso e logica stringente, avanzando come un esercito pur sembrando soltanto un disertore. (…) La paziente ragionava benissimo. (…) Lu insegnava invece di apprendere, curava invece di guarire: aveva rovesciato il suo mondo, quello appreso dai libri e quello incontrato nell’esperienza della sua ancora giovane età”.
“Io sono una ragazza, ma ho i ricordi di un uomo. (…) Avevo trent’anni, forse quaranta (…) Cosa c’è di impossibile? Forse vuoi dire che è strano, ma impossibile non è, non può essere impossibile una cosa che accade perché tu non sai perché accade” dichiarava Lu nel suo racconto al dottor Aicardi “intrecciando due storie inconciliabili, parallele in spazi e tempi divergenti”. I fatti fanno pensare alla reincarnazione. Si accusava di un omicidio, raccontava di aver sparato colpendo una persona che poi ritrovava nella persona del dottor Guercioli.
Lu si abbandonava a tante riflessioni: “Non si può aprire la finestra, c’è l’aria condizionata. La cosa non le piacque. Condizionata come la libertà condizionata. (…) Il fluttuare dei suoi pensieri cercava la libertà. (…) E nel bicchiere gracidano le rane; di sicuro sono quelle di Chomsky che si lasciano morire nell’acqua calda appagate dalla menzogna.” Lu “meditava sul fatto che là dentro si riusciva a stare bene solo fingendo, solo mettendo da parte la verità e credendo alla menzogna come se fosse il Verbo. (…) ma possibile che il vivere sia questo qui? Così rigido, un po’ ipocrita, fatto di norme e codicilli incomprensibili da rispettare comunque? (…) Là dentro la confondevano, straniavano la realtà. Avevano deciso come dovesse essere il mondo e vivevano come così fosse davvero. (…) Non poteva essere una tana la vita, né una lista di cose da fare; non poteva avere padroni né dei, perché era la vita stessa padrone e dio di sé, capace di comandarsi, punirsi, premiarsi. Perché la vita è un moto incessante e senza scampo e se sei vivo non hai la vita, coincidi con la vita, sei tu la vita e dentro te imprimi ciò che non si annulla, che resta vita anche quando vita non sarai più tu”.
La storia del libro di Anna R. G. Rivelli ci fa pensare al romanzo “Creatura di sabbia” di Tahar Ben Jelloun: nella società marocchina, un uomo aveva sette figlie e stabilisce che il prossimo bambino che nascerà sarà un maschio, anche se dovesse nascere una femmina. L’ottava bambina è infatti cresciuta come un maschio.
Identificati i genitori di Lu, la madre Elide raccontava le vicende della figlia: “quel bambino che sarebbe nato sul finire dell’autunno. Mi avevano assicurato che sarebbe stato un maschio. (…) Così continuammo a chiamarlo Luca. Luca era un nome di famiglia, e mio marito ci teneva molto. (…) invece alla nascita ci dissero che era una bambina. Non potevamo crederci. La bambina per me rimase per giorni senza nome; l’avevo chiamata Luca per così tanto tempo e con così tanta gioia che mi pareva di aver cambiato figlio, qualsiasi nome io pensassi piangevo e mi pareva che per tutta la vita non sarei mai riuscita a chiamarla con nessun altro nome che Luca. Poi il padre mi disse che l’aveva registrata come Lu, solo Lu. (…) La portammo all’asilo in pantaloni e da allora non ha mai più indossato una gonna”.
Con la complicità di Martin, Lu andava sul terrazzo dove ritrovava una forma di libertà, si metteva rischiosamente sul muretto ritrovando tanti ricordi, “sentì che su quel terrazzo si addensavano come un vapore tutte le meschinità degli uomini”.
La scrittrice, con uno stile molto elaborato, utilizza un linguaggio scorrevole. Durante la presentazione del suo romanzo, il 18 dicembre 2015 alla Biblioteca Nazionale di Potenza, l’autrice Anna R. G. Rivelli affermava: “La storia del libro è la storia di noi tutti che siamo tirati e risucchiati continuamente in un’omologazione, in uno spazio ristretto che non può essere la vita, in un’aria condizionata che non può essere la vita… mai come in questo tempo, e soprattutto quello che dico in questo momento lo dedico ai miei ragazzi che sono lì in fondo, perché sono le cose che io dico sempre a scuola. La vita non può essere una tana pensa Lu, non può essere uno spazio ristretto e non può essere una costrizione a fare quello che gli altri decidono che noi facciamo. E purtroppo noi abbiamo paura di vivere perché abbiamo paura della diversità, abbiamo paura delle novità, abbiamo paura di vedere quello che vediamo e che ci ostiniamo a negare perché vorremo non vederlo, e non sappiamo credere nella vita; invece noi dobbiamo credere nella vita e, come ha fatto il personaggio Lu, liberarci dalle sovrastrutture e vivere a pieno, saper discernere, saper riconoscere quello che noi nella vita viviamo, perché la vita coincide con noi, vivere significa essere la vita, noi siamo la vita. E quello che noi facciamo nella vita resta, il male, il bene, resta tutto, nulla si cancella, per cui dobbiamo imparare a vivere e soprattutto dobbiamo trovare il coraggio di essere noi e di non lasciarci bollire come le rane di Chomsky, di amare quello che la vita ci dà perché tutto quello che la vita ci dà deve essere amato, può essere governato, può essere cambiato, e bisogna crederci. Ed è questo il messaggio che voglio dare.”
*Anna R.G. Rivelli è nata a Potenza dove attualmente vive e lavora. Docente di lettere presso il liceo scientifico “Galilei” del capoluogo lucano, ha pubblicato poesie, racconti, romanzi ed interventi di critica e storia dell’arte. Attiva nel sociale, ha fondato l’associazione Noicittadinilucani di cui è stata presidente ed è titolare dell’omonimo blog. Ha collaborato e collabora con diverse testate locali e nazionali. È direttore della rivista di arte e cultura “Sineresi” da lei stessa fondata.