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VERSO UNA NUOVA DEFINIZIONE DI “DISAGIO”

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VERSO UNA NUOVA DEFINIZIONE DI “DISAGIO”

 

Oggi per noi educatori ed insegnanti si pone l’obbligo di approfondire la conoscenza di tutte le occasioni evolutive che caratterizzano lo sviluppo del discente, fin dalla più tenera età.

Ogni situazione in cui l’individuo ha la possibilità di sviluppare nuove interazioni, riuscendo ad ampliare così il proprio repertorio comportamentale, è un’importante occasione di evoluzione. Gli psicologi amano usare il termine “stadio”, proprio per descrivere la successione delle infinite e complesse interazioni che influenzano e determinano lo sviluppo.   Man mano che procede la maturazione biologica, il bambino affina e si appropria di capacità ed abilità relazionali, sia con l’ambiente fisico e corporeo, sia sociale.   Si sviluppa così una progressiva padronanza dei repertori conoscitivi che potremmo definire squisitamente “scolastici” (capacità di lettura, scrittura, calcolo matematico, etc.), ma anche morali e sociali che permettono di intrattenere relazioni sociali complesse con i coetanei e gli adulti.

L’ingresso nella scuola (archetipo di tutte le istituzioni sociali) segna pertanto il delicatissimo passaggio dallo stadio di base a quello societario, che durerà per il resto della vita.

Negli anni ’60 il concetto di “ritardo mentale” è stato oggetto di accese diatribe, per le sue rilevanti implicazioni legali ed educative. Si è cercato di identificarne le cause fondamentali, distinguendo:

  • Patologia biomedica, diagnosticata anche tenendo conto delle condizioni culturali e familiari;
  • Funzionamento intellettuale inferiore alla media (basso livello intellettuale);
  • Inefficiente funzionamento cognitivo;
  • Fattori psicoanalitici e comportamentali.

La mera considerazione di malattie e lesioni che possono determinare una disfunzione cerebrale o uno sviluppo mentale incompleto non è esaustiva ai fini dell’individuazione della più idonea strategia educativa e didattica. Occorre tenere conto anche del cosiddetto “status socio-culturale”, per individuare con precisione la matrice del ritardo stesso, che alcuni studiosi distinguono in esogena, ovvero riconducibile al danno cerebrale sensu strictu, ed endogena, connessa invece a condizioni culturali/familiari/sociali svantaggiate.

Questa importante considerazione ci permette di sviluppare degli specifici programmi educativi e riabilitativi, molto utili nella gestione di tutti quei casi di alunni con danni cerebrali minimi, ma provenienti da contesti sociali svantaggiati.

Partendo dall’importante constatazione che un cosiddetto basso livello intellettivo, cioè un funzionamento intellettuale generale inferiore alla media, si associa spesso ad un impoverimento del comportamento adattativo nel periodo di sviluppo, possiamo senz’altro sottolineare l’esistenza di una sostanziale continuità delle abilità e delle caratteristiche fra individui cosiddetti ritardati, borderline e normali, e soprattutto rifiutare l’antiquata nozione di persone ritardate come qualitativamente diverse da quelle normali.

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