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Al CSV Basilicata presentato il volume " La comunità di pratica come metodo di esperienza "

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In evidenza Al CSV Basilicata  presentato il volume " La comunità di pratica come metodo di esperienza "

Si è tenuta ieri presso la sede regionale del CSV  Basilicata a Potenza, la presentazione del volume “ Le comunità di pratica come metodo ed esperienza ˮ del sociologo  e ricercatore Domenico Lipari, docente dell’  Università “ La Sapienza ˮ di Roma e scritto in collaborazione con Pietro valentini. Dopo i saluti iniziali affidati al Presidente del CSV Basilicata Leonardo Vita, ad introdurre i lavori è stata  Felicia D’Anna, che si occupa di formazione per le associazioni all’interno del CSV ed è Presidente dell' AIF ( Associazione Italiana Formatori ), specificando che già l’anno scorso “ abbiamo sperimentato una serie di iniziative volte a diffondere le metodologie operative da trasmettere alle associazioni di volontariato ˮ. Serafina Pastore, ricercatore dell’Università di Bari, ha illustrato i temi caratterizzanti il testo del prof. Lipari, incentrato sul concetto di comunità di pratica, che sposando la dimensione del contesto, inteso non solo come luogo fisico, ma anche come agglomerato di persone, relazioni tra persone ed esperienze, in breve tempo è stato applicato in contesti organizzativi, come quello delle associazioni di volontariato, che esulano dai tradizionali settori di apprendimento. “ La concezione da cui hanno origine le comunità di pratica si fonda su nuove metodologie educative, di insegnamento e di apprendimento, volte ad ottimizzare le azioni individuali e collettive di quanti operano in un medesimo contesto, come può essere quello associativo e mira a produrre un cambiamento, una trasformazione degli oggetti, materiali o immateriali che siano, verso cui il sistema di azioni è indirizzato. Il testo del Lipari è suddiviso in 2 parti principali; la prima è una ricognizione teorica agile relativa agli approcci, alle teorie ed ai principi alla base della teoria sociale dell’apprendimento e della comunità di pratica, la seconda invece ha un taglio pratico e presenta una serie di esemplificazioni concrete dell’applicazione di tali teorie e principi ˮ. Il prof. Lipari si è invece soffermato sul tema della riflessività, intesa come “ la capacità della conoscenza di arrestare il flusso ordinario delle azioni di routine, per modificarle interrogandosi su di esse. Può quindi essere intesa come la capacità trasformativa che mi consente di entrare in contatto con gli altri ed il mondo, esperienza relazionale che si costruisce nel tempo assieme a quanti sono interessati ad una specifica pratica, e che ad esempio si manifesta anche nella lettura di un libro. Leggere un testo, infatti, non è un’esperienza di natura solipsistica, perché genera automaticamente delle interazioni tra il lettore ed il testo, il suo autore etc.. ˮ Non vi è alla base delle comunità di pratica un metodo stabile e statico, le cui coordinate siano fissate una volta per tutte, dato che il flusso del tempo  e delle esperienze conduce inevitabilmente ad una continua rivisitazione delle nostre azioni e di conseguenza delle nostre esperienze formative. Il metodo dunque è in continuo divenire, ed i principi e le teorie oggi conosciute alla base delle comunità di pratica vanno intesi come utili strategie ed indicazioni da mettere in pratica per contrastare quelle decisioni spesso erratiche assunte nei processi decisionali che regolano l’agire delle organizzazioni comunitarie, e che con piccoli accorgimenti, possono canalizzare le azioni nella giusta direzione. Non va né assolutizzato né inteso come un rifugio degli spiantati, a  cui quanti falliscono nella pratica teorica finiscono con l’aggrapparsi. Anche la figura del facilitatore e la concezione della postura etica di un individuo che è esterno ad un gruppo va rivista, perché per essere efficace è necessario che nelle organizzazioni comunitarie, fondate sull’organizzazione di gruppi di individui, componenti essenziali della capacità relazionale diventano la predisposizione all’ascolto e la trasformazione del facilitatore da figura in un certo senso estranea a parte integrante di un gruppo. Durante la presentazione si è anche parlato della difficoltà, quando si opera in un gruppo, ad abbandonare la propria visione e farsi carico di quella degli altri, problematicità che spesso genera conflitti interni difficili da superare. Infine si è accennato alla distinzione tra comunità di pratica e comunità di apprendimento e la sempre più diffusa pratica della certificazione delle competenze imposta anche dalle direttive europee, per sviluppare figure professionali coerenti, specializzate  e preparate in specifici settori dell’educazione e/0 insegnamento.

Emanuele Pesarini

Ultima modifica ilGiovedì, 06 Marzo 2014 18:06

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